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Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza n. 9359 del 17 aprile 2013

Svolgimento del processo
1) Il 19.12.2003 il giudice di pace di Vasto, adito da Ca. An. e O. Z., riconosceva la parziale responsabilità del convenuto condominio (omissis) “e, per esso, ex art. 1169 c.c., della ditta C.C. nella causazione dei danni lamentati dagli attori”, derivati dall’esecuzione di opere edili nella copertura dell’edificio condominiale.
Condannava pertanto il C. al pagamento della somma di Euro 1.105,00 in favore degli attori, quale risarcimento per i danni subiti dal loro appartamento.
1.1) Su appello del C. e appello incidentale del Condominio, il tribunale di Vasto confermava che i danni erano stati esattamente quantificati dal consulente in 1.700 Euro ed stati attribuiti a responsabilità del condominio nella misura del 65%, dovendo gli attori rivolgersi per il residuo al proprietario del lastrico solare.

Il giudice di appello riformava la sentenza solo con riguardo alla rilevanza delle posizioni soggettive, poiché riteneva responsabile il Condominio nei confronti degli attori e rilevava che essi non avevano formulato alcuna domanda nei confronti del C. Condannava quest’ultimo a tenere indenne il condomino (omissis). Il C. ha proposto ricorso per cassazione con sette motivi. Condominio (omissis) e i coniugi Ca. hanno resistito con separati controricorsi.
La trattazione della causa è stata rinviata una prima volta per acquisire la delibera condominiale di autorizzazione dell’amministratore a stare in giudizio e il 20 settembre 2012 per astensione di uno dei difensori dalle udienze.

Motivi della decisione

2) Divenuta definitiva, per mancata impugnazione, la condanna del Condominio (omissis) al risarcimento dei danni in favore degli attori Ca. e Z., l’odierno ricorso mira a vanificare la condanna del C. a tenere indenne il Condominio.
Decisivo è, a questo fine, l’esame del secondo motivo.
Con esso il ricorrente lamenta “violazione e falsa applicazione del disposto di cui agli artt. 180, 269, 311 e 320 c.p.c.”.
Si duole del fatto che la chiamata in causa sia stata richiesta e autorizzata dopo la prima udienza, giacché inizialmente il Condominio era stato dichiarato contumace e solo alla seconda udienza – tenutasi il 9.11.2001 – aveva formulato la “richiesta subordinata di chiamata in garanzia della Ditta C. “.
Deduce che in tal modo sarebbe stato violato il disposto normativo, secondo il quale (art. 167 cpc) il convenuto che voglia chiamare un terzo in causa deve costituirsi con comparsa di risposta, nei termini di cui all’art. 167 c.p.c., farne dichiarazione nella stessa comparsa e provvedere ai sensi dell’art. 269.
Ricorda inoltre che, secondo la giurisprudenza, il rigore di queste due norme è accentuato nel giudizio di fronte al giudice di pace, dal disposto di cui all’art. 320 c.p.c..
2.1) La censura è fondata, nonostante la parziale inesattezza dei riferimenti normativi invocati.
Occorre preliminarmente disattendere l’eccezione di inammissibilità sollevata da parte Ca. , che ha notato come la denunciata violazione rientri “nella fattispecie degli errores in procedendo censurabili unicamente sub art. 360 punto n. 4 e non come violazione di legge o vizio di motivazione”.
L’eccezione non ha pregio, sia perché la neutra formula della violazione di legge, usata in rubrica, è compatibile con la qualificazione della censura ex art. 360 n. 4 c.p.c., sia perché in ogni caso la individuazione esposta nella rubrica del ricorso non è vincolante.
È infatti dall’insieme delle deduzioni svolte nel motivo di ricorso che il giudice deve desumere il corretto inquadramento, che può prescindere dalla errata configurazione datagli dal ricorrente.
3) Dalle sentenze di merito emerge la fedeltà del ricorso allo svolgimento della vicenda processuale.
L’atto introduttivo citava in giudizio il Codominio per l’udienza del 30 luglio 2001, slittata al 20 settembre 2001, come il ricorso puntualizza, coerentemente con le difese dei resistenti. All’udienza di rinvio del 9 novembre 2001 il condominio si costituì, chiedendo e ottenendo la autorizzazione alla chiamata in causa del C.
Secondo il giudice di pace e il tribunale, la chiamata in causa era consentita e non è

da considerare tardiva, perché il concetto di “prima udienza” ex art. 269 cod. proc. civ., agli effetti della chiamata del terzo, deve essere inteso in senso non meramente cronologico, bensi1 sostanziale, come indicativo della fase in cui si abbia una effettiva trattazione e cioè esercizio di attività istruttoria oppure la risoluzione di questioni insorte fra le parti, senza, quindi, che la preclusione per tale chiamata possa verificarsi, qualora, esaurite le attività preparatorie attinenti alla comparizione e costituzione delle parti, si siano avute udienze di mero rinvio, ma non anche espletamento, sia pure in parte, di attività istruttoria o decisoria, a pregiudizio definitivo del terzo chiamato (Cass. 3156/02).
L’applicabilità di questa tesi al caso di specie non è condivisa dal Collegio.

La chiamata in causa del terzo, nel giudizio davanti al giudice di pace, non è disciplinata dalle norme dettate dagli artt. 167, terzo comma, e 269, secondo comma, cod. proc. civ., per cui il convenuto che intende chiamare un terzo in causa non è tenuto a farne dichiarazione a pena di decadenza nella comparsa di risposta, ma può richiederla nella prima udienza di comparizione. Tale limite risponde però ad esigenze di concentrazione del processo che non possono essere superate a favore del convenuto costituitosi solo alla seconda udienza.
3.1) Risponde a più attenta lettura del sistema processuale vigente affermare, come è stato fatto, che: “Nel procedimento avanti al giudice di pace, l’art. 319 cod. proc. civ. consente alle parti di costituirsi in cancelleria o in udienza, garantendo loro libertà di forme, sicché ben può il convenuto considerarsi esonerato dall’onere di presentare la comparsa di costituzione; peraltro, non distinguendo tra udienza di prima comparizione e udienza di prima trattazione, l’art. 320 cod. proc. civ. concentra nella prima udienza tutta l’attività processuale delle parti (quali la precisazione dei fatti, la produzione dei documenti e le richieste istruttorie), consentendo (ai sensi del quarto comma) il rinvio a successiva udienza solamente quando, in relazione all’attività svolta, risultino necessarie ulteriori produzioni o richieste di prove.
Ne consegue che all’udienza che venga tenuta successivamente alla prima rimane precluso al convenuto proporre domanda riconvenzionale, né, ove rimasto contumace alla prima udienza e costituitosi solo a quest’ultima, gli è consentito svolgere attività1 difensiva diversa dalla mera contestazione delle pretese avversarie e delle prove addotte a sostegno delle medesime, come pure gli è precluso di chiamare un terzo in causa. Le suindicate preclusioni processuali non sono derogabili nemmeno da parte del giudice di pace, che non può rinviare la prima udienza al fine di consentire alle parti l’espletamento di attività precluse, trovando tale sistema fondamento e ragione nell’esigenza di garantire la celerità e la concentrazione dei procedimenti civili, a tutela non solo dell’interesse del singolo ma anche di quello della collettività”. (Cass. 7238/06; 16578/05; 9350/08). La dinamica processuale concentrata ha trovato deroga, nella preferibile giurisprudenza, solo nel peculiare caso regolato da Cass. 3326/04, nel quale in prima udienza il convenuto era comparso di persona, e il giudice, senza opposizione dell’altra parte e senza svolgere alcuna attività, aveva spostato l’udienza per consentire in quella sede al convenuto di costituirsi, formulando in quella udienza domande ed eccezioni, ivi compresa l’istanza di chiamata in causa del terzo.
Trattasi, come è palese, di tolleranza consentita dal concorso di condizioni particolari, non presenti nel caso di specie. A fronte del rilievo tempestivamente mosso dal chiamato in causa, che ha ribadito anche in appello la propria opposizione alla chiamata, i giudici di merito e in particolare il tribunale avrebbero dovuto dichiararne l’inammissibilità.
In questa sede l’accoglimento del motivo comporta la cassazione in parte qua della sentenza impugnata e consente di decidere questo residuo segmento della controversia con decisione nel merito, dichiarando la nullità della chiamata in causa del C. perché inammissibile.
Tutti gli altri motivi restano assorbiti, giacché relativi: il primo alla mancata integrazione del contraddittorio con il proprietario del lastrico solare; il terzo alla decisione con criteri equitativi; il quarto alla legittimazione degli attori (con cui non poteva sorgere rapporto processuale in carenza di rituale chiamata in causa); il quinto la valutazione della prova sul danno e il sesto le norma applicabili in tema di appalto.
Il Condominio, unico soccombente sul motivo decisivo, va condannato alla refusione delle spese di lite (oggetto dell’ultimo motivo) per tutti i gradi di giudizio.
La liquidazione è in dispositivo avuto riguardo alle notule depositate e al valore della causa.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbiti gli altri.
Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara la nullità della chiamata in causa, inammissibile.
Condanna il condominio (omissis) al rimborso in favore del ricorrente delle spese di tutti i gradi di giudizio, che liquida quanto al presente in Euro 1.200,00 di cui 200,00 per esborsi; quanto al primo grado in Euro 1.100,00 di cui 55,00 per spese; quanto al secondo grado in Euro 1.604,00 di cui 104,00 per esborsi.

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