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Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza  n. 18425 dell’1 agosto 2013

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ODDO Massimo – Presidente –
Dott. BURSESE Gaetano Antonio – rel. Consigliere –
Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –
Dott. MATERA Lina – Consigliere –
Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 21815-2007 proposto da:
D.G.E. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in
ROMA, V. MONTE ZEBIO 19, presso lo studio dell’avvocato DE
PORCELLINIS CARLO, rappresentato e difeso dall’avvocato SANTULLI
RAFFAELE;
– ricorrente –
contro
M.T., M.A., M.M.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 2870/2006 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,
depositata il 15/09/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
11/06/2013 dal Consigliere Dott. GAETANO ANTONIO BURSESE;
udito l’Avvocato SANTULLI RAFFAELE difensore del ricorrente che ha
chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
CAPASSO Lucio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’Appello di Napoli, pronunciandosi con sentenza n. 2870/06, sull’appello proposto da D.G.E. e M.M., M.T. e M.A., avverso la decisione del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere del 23.1.2003, in accoglimento del gravame, accoglieva la domande proposta dal loro dante causa Ma.An. e dichiarava che il locale terraneo sito in (OMISSIS), di proprietà della convenuta D.G. E., era gravato da servitù di lume di grotta, per cui condannava l’appellata a ripristinare lo stato dei luoghi, ingiungendole di non impedire o turbare l’esercizio di tale servitù, e condannandola inoltre al pagamento delle spese del doppio grado, che compensava per il 50%.

La Corte partenopea sulla base delle dichiarazioni dei testi escussi, riteneva che il lume di grotta oggetto del contendere, inteso come servitù negativa ed apparente, era stato eliminato da oltre venti anni, per essere stato coperto con materiali vari, per cui la ridetta servitù avrebbe dovuto ritenersi prescritta. Aggiungeva però la Corte che la D.G. aveva rinunciato a tale maturata prescrizione, come poteva ricavarsi da un’espressione contenuta nel rogito notarile di compravendita del suo locale e dal fatto che la medesima, nel contesto di lavori di pavimentazione del locale in parola, disponeva la rimozione delle tavole di legno che l’ostruivano e l’apposizione di una grata metallica apribile, cioè di una struttura che consentiva il passaggio di luce ed aria nella sottostante grotta, la quale, da tale data, iniziava di nuovo ad essere utilizzata dal proprietario. Nel ricordato rogito del 21.12.1989, era infatti contenuta la seguente clausola: “La cessionaria d.G.E. dichiara di essere a conoscenza che il terraneo a lei ceduto con il presente atto è gravato dalla servitù di lume di grotta a favore di altri condomini dello stesso edificio, come risulta dai titoli di provenienza menzionati in premessa. ” Avverso la suddetta decisione ricorre per cassazione D.G. E. sulla base di n. 3 mezzi; gli intimati non hanno svolto attività difensiva.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Con il primo motivo la ricorrente denunzia il vizio di motivazione. Sostiene che dalla frase contenuta nell’atto di compravendita del 21.12.1989, come sopra riportata, non può evincersi alcuna rinunzia (peraltro tacita) della maturata prescrizione da parte di D.G.E. anche perchè la stessa non aveva alcun plausibile motivo per farlo, visto che nessuno fino allora glielo aveva mai chiesto o sollecitato”. Evidenzia l’esponente che: “quella frase estrapolata… da un più ampio contesto, non ha proprio nulla a che vedere con l’oggetto del rogito, al quale…. non hanno partecipato nè le attuali controparti, nè i loro danti causa”. La frase in questione poi – secondo la Corte napoletana – non costituirebbe esplicitazione di rinuncia alla prescrizione, bensì manifestazione tacita di volontà di rinuncia.

Con il 2^ motivo la D.G. denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2937 c.c.; si riferisce sempre alla dichiarazione contenuta nel rogito di cui sopra sottolineando l’erroneo inquadramento della materia del contendere nell’ambito della norma stessa. A conclusione del mezzo, vi è il seguente quesito di diritto: “Se la dichiarazione della D.G.E. contenuta nel rogito 21.12.1989 per notar Farinaro (….di essere a conoscenza che il terraneo a lei ceduto con il presente atto è gravato dalla servitù di lume di grotta a favore di altri condomini dello stesso edificio, come risulta dai titoli di provenienza menzionati in premessa.”) possa ritenersi – alla stregua degli atti di causa e dei rilevi argomentativi illustrati – rinunzia alla prescrizione e, pertanto, inquadrarsi nell’art. 2937 c.c.”.

Entrambe le doglianze – congiuntamente esaminate essendo strettamente connesse – sono fondate.

La sentenza impugnata – come si sopra fatto cenno – ha desunto la rinuncia alla prescrizione:

a) dalla sopra riportata dichiarazione contenuta nel rogito di compravendita del (OMISSIS);

b) dalla riattivazione del lume successivamente consentita dalla ricorrente al proprio inquilino per riporre vino o comunque utilizzare la grotta.

Osserva il Collegio – alla luce di tali premesse – che non può desumersi da queste circostanze un’inequivoca rinuncia della D. G. al diritto da lei acquisito di maturata prescrizione della servitù in parola.

Giova sottolineare al riguardo che mentre il riconoscimento dell’altrui diritto che valga ad interrompere la prescrizione (art. 2944 c.c.), costituisce una dichiarazione di scienza, la rinuncia alla prescrizione, invece, integra un atto negoziale caratterizzato dalla manifestazione della volontà di dismettere definitivamente il proprio diritto alla liberazione di un obbligo (v. Cass. n. 5982 del 15/03/2007: “Il soggetto che riconosca l’altrui diritto compie una dichiarazione di scienza, e non un atto negoziale dagli effetti esclusivamente interruttivi della prescrizione stessa, avente ad oggetto il diritto della controparte; per contro, il diverso istituto della rinuncia alla prescrizione è caratterizzato dalla manifestazione di una volontà negoziale con effetto definitivamente dismissivo e avente ad oggetto il proprio diritto alla liberazione dall’obbligo di adempimento: ne consegue che al riconoscimento non si applicano le regole proprie dei negozi giuridici dettate in tema di volontà e di rappresentanza“).

Da ciò consegue l’inadeguatezza della motivazione della sentenza che non ha accertato se la convenuta fosse stata consapevole al momento dell’atto dell’acquisto (e, per quel che può valere, del consenso prestato al suo inquilino per la riapertura della luce), dell’avvenuta maturazione del termine di prescrizione della servitù, in particolare considerando che sia la dichiarazione che il comportamento della D.G. di per sè deponevano per la conoscenza della servitù, ma non anche per l’avvenuta prescrizione di essa.

Peraltro, la Corte territoriale ha ritenuto che trattavasi di rinuncia tacita della prescrizione, per cui – come ha sottolineato questa S.C. – ai fini della sussistenza della stessa occorreva che nel comportamento del “debitore” fosse insita la di lui inequivocabile volontà di non avvalersi della causa estintiva del diritto altrui (Cass. n. 21248 del 29/11/2012), elemento questo certamente non riscontrabile nella dichiarazione contenuta nel rogito in parola.

Conclusivamente devono essere accolti i motivi suddetti (assorbito il 3^ motivo violazione dell’art. 92 c.p.c.); la sentenza va cassata in relazione ai medesimi, e rinviata, anche per le spese di questo giudizio, ad altra sezione della Corte d’Appello di Napoli.

P.Q.M.

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese di questo giudizio, ad altra sezione della Corte d’Appello di Napoli.

Così deciso in Roma, il 11 giugno 2013.

Depositato in Cancelleria il 1 agosto 2013

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