Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza del 26 luglio 2012, n. 30686

 

 

Ritenuto in fatto

1.1) B.G. , M.A. ricorrono per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze in data 14.01.2011 che aveva confermato la decisione del Tribunale di Pistoia del 18.05.2009, di condanna di entrambi gli imputati per concorso nel reato di truffa ex art. 640 cp, aggravata ex art. 61 n. 7 cp, perché il B. quale sedicente proprietario ed il M. quale procuratore del B. , con artifici e raggiri consistiti nella falsa rappresentazione della piena proprietà dell’immobile oggetto del preliminare, inducevano in errore I.M. che versava a titolo di caparra l’importo di Euro 130.000 senza conseguire il diritto di proprietà sul bene oggetto del preliminare;
Fatti del (…) , con la recidiva specifica e reiterata per B. ;
2.0) – Motivi ex art. 606, 1 co. lett. b), e) c.p.p.. B. :
2.1) – Nullità della sentenza per avere ritenuto la penale responsabilità del ricorrente senza considerare:
– che mancava l’estremo del raggiro atteso che, al di là dell’improprio termine “proprietario” menzionato dal B. nell’atto, nello stesso contratto si affermava in maniera chiara che il bene era intestato al sig. Ma.Bu. come emergeva dall’atto notarile di provenienza;
– che, in ogni caso, il B. aveva titolo per vendere l’immobile, avendone successivamente conseguita la titolarità in data (…) in virtù dell’arbitrato che lo riconosceva proprietario dell’unità immobiliare;
– che era erronea la considerazione della Corte di appello, nella parte in cui aveva sottolineato come l’illiceità del comportamento del B. discendeva dal non avere restituito la caparra, atteso che la corte del merito non aveva considerato adeguatamente che era in corso un giudizio per l’adempimento del preliminare da entrambi le parti, sicché la trattativa poteva concludersi favorevolmente per tutte le parti stesse;
– che non era dimostrata la sussistenza dell’aggravante ex art. 61 n. 7 cp che andava rapportata al patrimonio della parte contraente.
M. :
2.2) – Nullità della sentenza per avere omesso di rilevare, nonostante specifico motivo di appello, che la prima notifica per il giudizio di primo grado effettuata in data 19.06.2007 riguardava l’udienza del 18.07.2007 e quindi non rispettava il termine libero a comparire, con evidente nullità del giudizio;
2.3) – Nullità del giudizi di primo grado atteso che all’imputato all’udienza del 17.02.2009 era stato nominato un difensore di ufficio senza regolare notifica di tale atto allo stesso imputato, con conseguente nullità del giudizio.
2.4) – Nullità della sentenza per mancata assunzione della prova decisiva consistente nell’assumere gli accessi dell’arch. C.P. , consulente della parte lesa, onde ricercare presso l’Agenzia del Territorio di Pistoia delle bollette di pagamento delle visure da cui sarebbe emerso che la parte lesa, tramite il proprio tecnico di fiducia avrebbe potuto verificare lo stato delle trascrizioni sul bene promesso in vendita e rendersi conto così dell’effettiva titolarità dello stesso;
2.5) – Il reato si sarebbe in ogni caso prescritto già prima della sentenza di appello.

Ritenuto in diritto

Il ricorso è infondato e va dichiarato inammissibile.
3.1) – Il B. deduce il vizio di motivazione atteso che la Corte di appello non avrebbe considerato la sua buona fede, ma trascura di considerare la precisa motivazione della Corte territoriale che sottolinea:
– I) – che gli imputati avevano serbato il silenzio malizioso nei confronti dell’I. ;
– II) – che, difatti, lo avevano rassicurato sulla piena proprietà dell’immobile in capo al B. e, al riguardo, avevano sottoposto alla parte offesa il rogito del notaio D. ed il preliminare di vendita tra Bu. e M. , così ponendo in essere gli artifici e raggiri per fare credere alla parte offesa che era tutto a posto;
– III) – che, in ogni caso, non avevano restituito il denaro percepito a titolo di acconto, evidenziando così la piena sussistenza del dolo sin dal primo tempo.
3.2) -Si tratta di una valutazione in fatto del tutto congrua, aderente alle emergenze di causa ed esente da illogicità manifesta tale da risultare non censurabile in questa sede, ove il giudice di legittimità non è chiamato a sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine alla affidabilità delle fonti di prova, essendo piuttosto suo compito stabilire – nell’ambito di un controllo da condurre direttamente sul testo del provvedimento impugnato – se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se ne abbiano fornito una corretta interpretazione, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, se abbiano analizzato il materiale istruttorio facendo corretta applicazione delle regole della logica, delle massime di comune esperienza e dei criteri legali dettati in tema di valutazione delle prove, in modo da fornire la giustificazione razionale della scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre, Cassazione penale, sez. IV, 29 gennaio 2007, n. 12255
3.3) – Le argomentazioni dei ricorrenti sulla circostanza che, successivamente, il B. avrebbe acquisito il titolo per cedere il bene sono state correttamente ritenute irrilevanti, riguardando fatti posteriori alla stipula del contratto preliminare ed anche infondate atteso che il B. non ha mai adempiuto agli obblighi assunti con l’I.
Deve perciò ritenersi corretta la ricostruzione dei fatti così come compiuta dalla Corte di Appello che risulta ineccepibile sia sul piano fattuale che su quello giuridico, atteso che in materia di truffa contrattuale, anche il silenzio, maliziosamente serbato su alcune circostanze rilevanti sotto il profilo sinallagmatico da parte di colui che abbia il dovere di farle conoscere, integra l’elemento oggettivo del raggiro, idoneo a determinare il soggetto passivo a prestare un consenso che altrimenti avrebbe negato. (Cassazione penale, sez. II, 11/10/2005, n. 39905) ed atteso che ai fini della sussistenza del reato di truffa, l’idoneità dell’artificio e del raggiro deve essere valutata in concreto, ossia con riferimento diretto alla particolare situazione in cui è avvenuto il fatto ed alle modalità esecutive dello stesso; tale idoneità non è perciò esclusa dall’esistenza di preventivi controlli, né dalla scarsa diligenza della persona offesa nell’eseguirli, quando, in concreto, esista un artificio o un raggiro posto in essere dall’agente e si accerti che tra di esso e l’errore in cui la parte offesa è caduta sussista un preciso nesso di causalità. (Cassazione penale, sez. V, 27/03/1999, n. 11441).
3.4) – Del tutto infondato è il motivo sull’aggravante ex art. 61 n.7 cp, atteso che ai fini della sussistenza della circostanza aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità (art. 61 n. 7, cp), preliminare e decisivo è l’esame dell’oggettiva rilevanza economica del danno, desunta essenzialmente dal livello economico medio della comunità sociale nel momento storico, in cui il reato viene commesso, indipendentemente dalla consistenza patrimoniale del danneggiato: principio che vale “a fortiori” in presenza di un valore economico di autoevidente oggettiva rilevanza, come nella specie. (Cassazione penale, sez. IV, 23/06/2011, n. 27741).
3.5) – ugualmente infondato è il motivo proposto dal ricorrente M. riguardo al termine a comparire per il giudizio di primo grado, atteso che l’eventuale inosservanza di detto termine per l’udienza del 18.07.2007 è restata senza effetti, atteso che quell’udienza è stata rinviata senza compiere attività istruttorie sicché il nuovo termine, sommato a quello precedente, ha consentito il pieno esercizio del diritto di difesa.
Si è ritenuto in fattispecie analoga, che la violazione del termine a comparire davanti al Tribunale, previsto dall’art. 552, comma terzo, cod. proc. pen., in giorni sessanta, non determina la nullità assoluta del decreto di citazione a giudizio, bensì una nullità generale di carattere intermedio, rilevabile d’ufficio ex art. 180 cod. proc. pen. e deducibile, ex art. 182, comma secondo, cod. proc. pen., dalla parte interessata all’osservanza della norma violata, a pena di decadenza, prima dell’apertura del dibattimento, sicché qualora venga dedotta è sufficiente il rinvio, ex art. 184, comma secondo, cod. proc. pen., per un termine a difesa che deve essere tale da assicurare all’imputato il godimento dei termini complessivamente stabiliti dall’art. 552, comma terzo, cod. proc. pen. a fare data dalla prima notifica. (Cassazione penale, sez. V, 28/11/2007, n. 1765).
3.6) – Il principio sopra esposto evidenzia l’infondatezza anche della censura sull’omessa notifica all’imputato della nomina di un difensore di ufficio per l’udienza del 17.02.2009, atteso che in tale udienza l’imputato M. era presente, sicché ha avuto piena contezza della nomina del difensore di ufficio, risultando pertanto irrilevante il preventivo avviso.
3.7) – Parimenti infondato risulta il motivo con il quale si deduce l’omessa assunzione di una prova decisiva, consistente nell’esame del Consente della parte offesa, onde dimostrare che l’I. aveva avuto la possibilità di riscontrare la situazione di effettiva proprietà dell’immobile attraverso una visura dei registri immobiliari, atteso che la rinnovazione del dibattimento nel giudizio di appello è un istituto di carattere eccezionale al quale può farsi ricorso esclusivamente quando il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti, sicché non può essere censurata la sentenza nella quale siano indicati i motivi per i quali la riapertura dell’istruttoria dibattimentale non si reputi necessaria, (Cassazione penale, sez II, 21/09/2010, n. 36276) e la censura non tiene conto della motivazione della Corte di appello nel suo complesso che, ricostruendo la vicenda processuale, ha ritenuto implicitamente non rilevante la prova in oggetto osservando, tra l’altro, che il reato di truffa non è escluso dalla circostanza che la parte offesa avrebbe potuto avvedersi degli artifici e raggiri con l’uso dell’ordinaria diligenza. (Vedi in proposito la massima già citata al p.3.3 – Cassazione penale, sez. U, 11/10/2005, n. 39905).
3.8) – Totalmente infondato deve ritenersi anche il motivo relativo alla dedotta prescrizione del reato.
Va osservato che la sentenza di primo grado è intervenuta in data 2009, sicché alla fattispecie si applica la legislazione sulla prescrizione di cui alla riforma del 2005, con la determinazione del termine massimo di prescrizione di anni 7 e mesi 6.
Al riguardo risulta corretta l’individuazione della consumazione del reato alla data del 11.07.2003, cioè al momento in cui era promessa la stipula del contratto definitivo, perché in tale data gli imputati hanno conseguito definitivamente il profitto omettendo di trasferire la proprietà del bene, non essendo perfezionato il reato al momento in cui la parte offesa aveva corrisposto gli acconti, trattandosi pur sempre di una fase della complessa attività fraudolenta, consumata solo con il definitivo inadempimento contrattuale.
Partendo da tale data, si ricava che il termine massimo per la prescrizione andava a scadere in data 11.01.2011, al quale vanno aggiunte le sospensioni conseguenti ai rinvii su istanza di parte che portano la scadenza del termine massimo alla data del 22.03.2011, come da annotazioni dello “Ufficio spoglio”.
Ne deriva che al momento della sentenza di appello (del 14.01.2011) il reato non era ancora prescritto, senza considerare il termine più lungo da applicare per il B. , gravato dalla contestata recidiva.
3.9) – I motivi di ricorso articolati collidono con il precetto dell’art. 606 lett. e) c.p.p. in quanto trascurano di prendere in considerazione aspetti sostanziali e decisivi della motivazione del provvedimento impugnato, proponendo valutazioni giuridiche totalmente contrarie alla Giurisprudenza di legittimità, sicché sono da ritenersi inammissibili.
3.10) – L’inammissibilità dei motivi proposti in diritto ed in fatto riverbera i suoi effetti anche riguardo al motivo relativo alla dedotta prescrizione del reato, atteso che l’inammissibilità del ricorso per cassazione conseguente alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p. ivi compreso l’eventuale decorso del termine di prescrizione nelle more del giudizio di legittimità. (Cassazione penale. sez. II 21 aprile 2006, n. 19578).
3.11) – Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibili i ricorsi, gli imputati che lo hanno proposto devono essere condannati in solido al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – ciascuno al pagamento a favore della Cassa delle Ammende, della somma di Euro.1000,00, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
Segue la condanna al rimborso delle spese del grado in favore della parte civile, liquidate come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, ciascuno, della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende, nonché alla rifusione, in solido, in favore della parte civile I.M. delle spese sostenute in questo grado di giudizio liquidate in Euro 3.000,00 oltre IVA e CPA.

 

Depositata in Cancelleria il 26.07.2012

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