Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza del 20 novembre 2012, n. 45243

Ritenuto in fatto

1 Il Tribunale di Modena, con sentenza del 17.12.2009, dichiarava L.G. colpevole dei reati di truffa aggravata in danno di B.G. , tentata violenza privata in danno dello stesso B.G. , così riqualificato il reato di tentata estorsione di cui al capo B) (esclusa invece la colpevolezza dell’imputato per il reato di estorsione consumata accorpato nello stesso capo a), e indebita utilizzazione di carta di credito appartenente alla soc. M., Adottava le conseguenti statuizioni per spese e danni in favore di B.G. , costituitosi parte civile. Assolveva invece N.A. dal reato di truffa ascrittole in concorso con il L. per non avere commesso il fatto, rigettando nei suoi confronti le domande della parte civile.
2. La vicenda processuale, alla stregua della ricostruzione dei fatti operata dai giudici territoriali, si era sviluppata in margine al fallimento della soc. M. R.s.r.l.,; i soci dell’epoca, e cioè, il L. , il T. e il S. , si erano accordati per spartirsi i beni della società prima di cederla a terzi ormai priva di risorse patrimoniali, perché i cedenti si incaricassero di avviarla al fallimento. Il L. aveva ottenuto il ramo di azienda di (…) ; gli altri due soci si erano aggiudicati il ramo di azienda reggiano. Il L. aveva quindi progettato la costituzione fraudolenta di una società (la M.s.r.l.), che apparisse come acquirente del ramo di azienda di (…) ; a tal fine, aveva mostrato al B. e a tale M. , già dipendenti della soc. M. R. s.r.l., per convincerli ad aderire all’operazione, una scrittura privata datata 15.5.2003 che accennava alla cessione, pur non contenendo alcuna formale attribuzione al L. del potere di concluderla per conto della soc. cedente. Il B., tratto in inganno sull’effettiva realizzabilità dell’operazione, aveva acconsentito a partecipare alla costituzione della M., rilasciando al L. , per l’avviamento e l’uso del marchio, un assegno post-datato al 30.4.2004, di Euro 116.000 e, successivamente, altro assegno di Euro 206.000 a garanzia, titoli entrambi intestati alla N. , moglie del L. . L’accordo stipulato da L. con il B. prevedeva in realtà il pagamento frazionato e dilazionato della soma di Euro 116.000,00, ma il L. , ottenuto l’assegno in garanzia, aveva preteso l’immediato pagamento dell’importo del primo titolo, effettuato in effetti in contanti dal B. nel gennaio del 2004 con un versamento su un conto corrente della N. La richiesta di pagamento anticipato sarebbe stata poi accompagnata dal L. con toni minacciosi e aggressivi. Nell’ambito dei suoi rapporti con il B. , infine, il L. avrebbe tentato di forzare la volontà del B. per indurlo ad acconsentire all’acquisto, da parte della M., della soc. Mo.; quale amministratore della M., infine, il L. avrebbe indebitamente utilizzato per spese personali una carta di credito intestata alla società.
2.1. Il Tribunale riteneva le dichiarazioni della persona offesa lineari, coerenti e complessivamente riscontrate da plurime risultanze istruttorie; ne risultava, secondo il giudice di primo grado, la prova dell’inganno in relazione al reato di truffa, ma anche del reato di tentata violenza privata, così riqualificato il fatto di cui al capo B) in relazione alle pressioni esercitate dall’imputato sul B. per convincerlo ad acquistare la soc. Mo., prospettandogli, in caso di rifiuto, di mettere all’incasso l’assegno di garanzia rilasciato dalla stessa persona offesa, e di revocare le garanzie prestate dalla N. al momento della costituzione della società M. I movimenti della carta di credito intestata alla M., convincevano infine il giudice territoriale della responsabilità dell’imputato in ordine al reato di cui all’art. 12 L. 143/1991 e succ. modd.
2.2 Nel pervenire al giudizio di colpevolezza del L. nei termini sopra indicati, il Tribunale si incaricava anche di confutare la spiegazione alternativa dei propri rapporti con il B. tentata dal L. , che aveva riferito il rilascio di assegni in suo favore da parte della persona offesa, alla restituzione di prestiti personali, dei quali però, secondo il giudice di primo grado, non era risultata alcuna prova.
3. Il tribunale riteneva invece insufficiente la prova della partecipazione alla truffa della N. , rilevando in sostanza che la stessa sarebbe intervenuta solo nella fase finale della vicenda, “come collettore del profitto illecito” realizzato dal marito, in assenza di prove significative del suo concerto criminale iniziale con il marito.
4. La Corte di Appello di Bologna, con sentenza del 17.6.2011, sull’appello del L. e, ai soli effetti civili, di B.G. , in riforma della sentenza di primo grado, riqualificato nei confronti del L. il reato di cui all’art. 12 L. 143/1991 ai sensi degli artt. 646 e 61 nr. 11 c.p. ed effettuato in termini di equivalenza il giudizio di comparazione tra le attenuanti generiche e l’aggravante contestata per lo stesso reato, riduceva la pena inflitta all’imputato; riconosceva inoltre “virtualmente” il concorso della N. nel reato di truffa, e la condannava in solido con il L. , al risarcimento del danno e alla rifusione delle spese in favore del B. ; confermava nel resto.
4.1. I giudici di appello, nel condividere la ricostruzione dei fatti e la valutazione della responsabilità del L. , confutavano le ulteriori deduzioni difensive svolte nell’interesse dell’imputato con l’atto di appello (vedi pagg. 22 e ss. della sentenza) e ribadivano la rilevanza probatoria di varie deposizioni testimoniali (M. , D.L. e Me. ) in quanto convergenti con l’ipotesi accusatoria.
5. Quanto alla posizione della N. , la Corte di merito rilevava che non poteva ritenersi, come aveva affermato, invece, il giudice di primo grado, che essa fosse intervenuta nella vicenda a cose fatte; la donna aveva infatti prestato garanzie personali (peraltro poi utilizzate come strumento di pressione dal L. al fine di indurre il B. all’acquisto della “Mo.”) per favorire la nascita della M. Group s.r.l, e conosceva la situazione di dissesto della manifatture R.; era stata inoltre presente all’interno dell’ambiente aziendale in momenti significativi della vicenda processuale. Doveva quindi ritenersi provato, secondo i giudici di appello, sia pure ai soli effetti civili, il concorso della stessa N. nella truffa realizzata dal L. .
6. Ricorrono personalmente il L. e la N.
La N. eccepisce, anzitutto, la nullità dell’intero giudizio di appello e della sentenza impugnata ex art. 179 c.p.p., per mancata notificazione nei suoi confronti e nei confronti del suo difensore di fiducia, della citazione in appello in dipendenza dell’impugnazione della parte civile; Deduce, ancora, il vizio di manifesta illogicità della motivazione in ordine al riconoscimento della sua responsabilità agli effetti civili. Nel corso dell’istruttoria dibattimentale, sarebbe infatti emersa la sua estraneità alle vicende riguardanti la costituzione della M. Group, tanto risultando dalle dichiarazioni della stessa persona offesa ma anche da quelle di altri testi. La conoscenza della volontà del L. di costituire al società e la prestazione di garanzie in favore della stessa società, non potrebbero comportare la prova del coinvolgimento della ricorrente in eventuali condotte decettive del marito.
7. Il L. lamenta la manifesta illogicità della motivazione, illogicità della sentenza anche in ordine alla ritenuta configurabilità del reato di truffa. Sarebbe irragionevole ipotizzare che il B. fosse stato tratto in inganno dal L. , potendo contare sull’aiuto concreto di un commercialista informato sulle vicende societarie, ed essendo comunque inverosimile che egli potesse impiegare con così poca avvedutezza ingenti risorse finanziarie, lasciandosi fuorviare dal nebuloso contenuto di una scrittura privata.

Considerato in diritto

1. Le censure di legittimità svolte dal L. riguardo alla conferma nei suoi confronti del giudizio di responsabilità per il reato di truffa (gli altri capi di imputazione non sono investiti dal ricorso), appaiono generiche e manifestamente infondate. La Corte di merito spiega perché la scrittura privata del 12.5.2003 fosse idonea ad ingannare il B. , sia per il riferimento comunque in essa contenuto alla cessione del ramo di azienda di (…) , che peraltro risultava essere stata già effettuata in precedenza a favore di altro soggetto diverso dalla M.Group, che per i rapporti personali che legavano le parti in forza di una pluriennale, comune esperienza lavorativa. Del tutto verosimilmente il B. poteva quindi essere indotto a non dubitare del potere del L. di rappresentare la soc. cedente, che costituiva l’implicito presupposto dell’intervento dell’imputato nella contrattazione e la cui fonte, oltretutto, avrebbe potuto anche risultare da atti separati. E ricordano, i giudici territoriali (pag. 23), che anche in seguito il L. aveva in sostanza ribadito l’”effettività” della cessione.
2. Il riferimento contenuto in ricorso alla “consulenza” prestata al B. dal commercialista D.L. , è poi all’evidenza non pertinente, considerato che nella sentenza impugnata (pag. 23), sul punto in nessun modo oggetto in ricorso di contestazioni specifiche, si afferma che il rapporto professionale tra il D.L. e il B. iniziò solo verso la fine del 2004, cioè quando si era ormai registrato l’epilogo delle vicenda truffaldina, con il versamento di somme di denaro, da parte della persona offesa, nel gennaio del 2004, sul conto corrente della N.
3. È fondato invece, il ricorso della N.
La stessa ricorrente non figura infatti destinataria di alcuna citazione per il giudizio di appello, essendo stata semplicemente ignorata la necessità di assicurarle il diritto al contraddittorio.
Alla stregua delle precedenti considerazioni, va pronunciato l’annullamento della sentenza impugnata nei confronti di N.A. , e va disposta la trasmissione degli atti ad altra sezione della Corte di Appello di Bologna per l’ulteriore corso; va dichiarato inammissibile il ricorso di L.G. , con la condanna dello stesso ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 alla cassa delle ammende, commisurata al suo effettivo grado di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.

P.Q.M.

annulla la sentenza impugnata nei confronti di N.A. , e dispone trasmettersi gli atti ad altra sezione della Corte di Appello di Bologna per l’ulteriore corso; dichiara inammissibile il ricorso di L.G. , che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 alla cassa delle ammende.

Depositata in Cancelleria il 20.11.2012

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