La massima

Il temporaneo possesso della cosa che si concreta con la sottrazione, pur senza la abductio de loco in locum della refurtiva, vale ad integrare gli estremi del delitto di rapina consumata, dato che il soggetto passivo, per recuperare la refurtiva, non può prescindere dalla violenza o da altra forma di pressione sul soggetto attivo.

Suprema Corte di Cassazione 

Sez. II

Sentenza del 19.1.2012, n. 2085

Svolgimento del processo

Con sentenza del 21.5.2010, il G.U.P. del Tribunale di Forlì dichiarò Q.G. e Q.S.G. responsabili dei reati di rapina aggravata (capo a) e ricettazione (capo b), nonchè Q.G. responsabile dei reati di rapina aggravata (capo c) e ricettazione (capo d), unificati sotto il vincolo della continuazione e – concesse a Q.G. le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti, con la diminuente per il rito – condannò:

Q.G. alla pena di anni 6 di reclusione ed Euro 2.000,00 di multa;

Q.S.G. alla pena di anni 6 mesi 8 giorni 20 di reclusione ed Euro 2.060,00 di multa;

pena accessoria per entrambi.

Avverso tale pronunzia gli imputati proposero gravame e la Corte d’appello di Bologna, con sentenza del 16.3.2011, in parziale riforma della decisione di primo grado, ridusse le pene nei confronti di:

Q.G. ad anni 4 mesi 8 di reclusione ed Euro 1.460,00 di multa;

Q.S.G. ad anni 4 mesi 8 di reclusione ed Euro 1.600,00 di multa.

Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato Q. G. deducendo:

1. violazione di legge e vizio di motivazione, anche sotto il profilo del travisamento del contenuto di atti specificamente indicati, in ordine alla mancata qualificazione come tentato del delitto di rapina aggravata di cui al capo a); la Corte territoriale ha ritenuto che la testimonianza della cassiera T. proverebbe che i rapinatori entrarono in possesso del denaro, ma la stessa ha reso dichiarazioni che sarebbero contraddittorie, dicendo una prima volta di aver consegnato il denaro al rapinatore che lo prese ed una seconda volta che lo aveva messo nella borsa mentre lui la teneva aperta; peraltro la borsa rimase poi a terra in attesa dell’apertura della cassaforte e per accogliere un cliente entrato; Q.G. si trovava in altra stanza; il denaro non sarebbe rimasto per un tempo apprezzabile nella disponibilità dei rapinatori e la rapina era ancora in corso quando intervennero le Forze di Polizia; sarebbe errato far dipendere la consumazione del reato dal comportamento della vittima, giacchè in tal modo si perverrebbe alla conseguenza di far regredire il reato a tentato allorchè il rapinatore, dopo l’impossessamento si stia allontanando e la vittima reagisca; sarebbe errato escludere qualsiasi forma di vigilanza in capo alle vittime solo perchè la reazione alla minaccia sarebbe stata rischiosa;

2. violazione di legge e vizio di motivazione, anche sotto il profilo del travisamento del contenuto di atti specificamente indicati, in relazione alla determinazione della pena; le modalità esecutive della rapina, definite allarmanti, richiamate, insieme ai precedenti penali, per la determinazione della pena sarebbero smentite dalle risultanze processuali, il travisamento non sarebbe stato allarmante ma carnevalesco e non è vero che vi sia stata ripetuta minaccia di far uso delle armi, di cui gli imputati si limitarono a far intravedere il calcio; la V. fu autorizzata a rispondere al telefono; anche il cliente M. non si sarebbe accorto di nulla; il riferimento all’asserita presa in ostaggio non sarebbe stato valutato nella sua interezza e tenendo conto che le armi erano giocattolo; una volta escluse le modalità allarmanti i precedenti penali non giustificherebbero l’entità della pena inflitta; non sarebbero stati valutati gli ulteriori elementi di cui all’art. 133 cod. pen. rappresentati dalla difesa.
Motivi della decisione

Il primo motivo di ricorso è – nella parte in cui deduce il travisamento del contenuto di atti specificamente indicati – generico e manifestamente infondato.

Il motivo è generico perchè si limita a riportare brani delle testimonianze.

Questa Corte ha infatti affermato che, in forza della regola della “autosufficienza” del ricorso, operante anche in sede penale, il ricorrente che intenda dedurre in sede di legittimità il travisamento di una prova testimoniale ha l’onere di suffragare la validità del suo assunto mediante la completa trascrizione dell’integrale contenuto delle dichiarazioni rese dal testimone, non consentendo la citazione di alcuni brani delle medesime l’effettivo apprezzamento del vizio dedotto. (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 37982 del 26.6.2008 dep. 3.10.2008 rv 241023).

Peraltro le doglianze sono comunque manifestamente infondate.

Questa Corte ha chiarito che, ai fini della determinazione del momento in cui si verifica l’impossessamento – che segna la consumazione sia del delitto di rapina che di quello di furto – è sufficiente che la cosa sottratta sia passata, anche per breve tempo ed anche nello stesso luogo in cui la sottrazione si è verificata, sotto il dominio esclusivo dell’agente. Ove ciò sia avvenuto il reato non cessa di essere consumato solo perchè in un momento successivo altri abbiano impedito al suo autore di assicurarsi il possesso della cosa sottratta e di procurarsi l’impunità. Nè può ipotizzarsi il tentativo nel caso che dopo l’impossessamento di parte dei beni l’azione criminosa venga proseguita nello stesso luogo nell’intento di sottrarre altre cose. (Cass. Sez. 2 sent. n. 3768 in data 11.7.1983 dep. 28.4.1984 rv 163854).

Questa Corte ha altresì precisato che anche il temporaneo possesso della cosa che si concreta con la sottrazione, pur senza la abductio de loco in locum della refurtiva, vale ad integrare gli estremi del delitto di rapina consumata, dato che il soggetto passivo, per recuperare la refurtiva, non può prescindere dalla violenza o da altra forma di pressione sul soggetto attivo. (V. Cass. Sez. 1 sent. n. 2903 in data 11.10.1976 dep. 18.2.1977 rv 135356).

La Corte territoriale ha affermato che, dalle dichiarazioni dei testi T. e V., risulta che i rapinatori si impossessarono del denaro contante, messo in una borsa. In proposito le discrasie, riportate in sentenza, nelle dichiarazioni della T. riguardano dettagli irrilevanti ai fini della tesi difensiva volta ad escludere l’impossessamento.

Anche il secondo motivo di ricorso è – nella parte in cui deduce il travisamento del contenuto di atti specificamente indicati – generico e manifestamente infondato.

In ordine alla genericità è sufficiente richiamare quanto detto in punto di autosufficienza del ricorso.

In ordine alla manifesta infondatezza va ricordato che la determinazione in concreto della pena costituisce il risultato di una valutazione complessiva e non di un giudizio analitico sui vari elementi offerti dalla legge, sicchè l’obbligo della motivazione da parte del giudice dell’impugnazione deve ritenersi compiutamente osservato, anche in relazione alle obiezioni mosse con i motivi d’appello, quando egli, accertata l’irrogazione della pena tra il minimo e il massimo edittale, affermi di ritenerla adeguata o non eccessiva. Ciò dimostra, infatti, che egli ha considerato sia pure intuitivamente e globalmente, tutti gli aspetti indicati nell’art. 133 cod. pen. ed anche quelli specificamente segnalati con i motivi d’appello. (Cass. Sez. 6, sent. n. 10273 del 20.5.1989 dep. 12.7.1989 rv 181825. Conf. mass. N. 155508; n. 148766; n. 117242).

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di Euro mille alla Cassa delle ammende.

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