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suprema CORTE DI CASSAZIONE

sezione II

SENTENZA 9 luglio 2014, n. 30022

Ritenuto in fatto

C.T., tramite il difensore, ricorre per Cassazione avverso la sentenza con la quale la Corte d’Appello di Trieste, lo ha condannato alla pena di mesi tre di reclusione per il reato di cui all’art. 641 c.p., per avere “dissimulando il proprio stato di insolvenza contratto un’obbligazione con il proposito di non adempierla, in particolare per avere consegnato a R.G. , titolare dell’autofficina RG MOTORS con sede in Tolmezzo, per il pagamento di prestazioni fornite dalla predetta officina, un assegno bancario privo della relativa copertura monetaria (ab nr. (omissis) Banco di Roma del 4.8.2006)” Fatto commesso in (omissis). La difesa dell’imputato chiede l’annullamento della decisione impugnatanon essendo sufficiente la circostanza della semplice disamina dell’estratto di conto corrente; la difesa pone in evidenza che manca anche la prova di qualsiasi atto con il quale lo imputato abbia ‘dissimulato’ la propria condizione di insolvenza.

Motivi della decisione

 

 Il ricorso è manifestamente infondato.

Con riferimento alla mancanza di prova sufficiente idonea a dimostrare l’esistenza dell’elemento del dolo quale previsione e consapevolezza del C. di non adempiere l’obbligazione di pagare l’autofficina ove aveva portato il proprio veicolo va osservato che la Corte d’Appello ha fondato il proprio diverso giudizio sulla circostanza, provata, che da più di un mese il conto corrente dell’imputato non solo era privo di fondi, ma presentava un saldo netto negativo. Nella specie la Corte d’Appello ha fondato la propria valutazione su uno specifico elemento di fatto esattamente individuato e descritto. La valutazione della Corte d’Appello non appare manifestamente illogica e non si pone in contraddizione con nessun altro elemento emergente dalla decisione. Conseguentemente si deve rilevare che la doglianza mossa dalla difesa non attiene ad aspetti censurabili in sede di legittimità, ma ad aspetti di merito quale la valutazione di un elemento di prova, profilo quest’ultimo che non è suscettibile di sindacato in questa sede se non negli stretti limiti dettati dall’art. 606 1 comma lett. e) cpp, dal cui ambito sfugge la censura mossa.

Con riferimento al secondo motivo di ricorso inerente alla insussistenza della dimostrazione di un qualsivoglia atto di dissimulazione da parte del C. del proprio stato di insolenza, va osservato che la critica è manifestamente infondata alla luce della costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità: la condotta dissimulativa della propria condizione di insolvenza, ex art. 641 cp, è integrata da chi, scientemente, consapevole della propria condizione economica, nulla riferisca alla persona con la quale contrae un’obbligazione. Per cui anche il semplice ‘silenzio’ può integrare la condotta dissimulatoria, perché in pieno contrasto con i principi cardine di correttezza e buona fede, cui deve essere improntato il comportamento del privato nella stipulazione di qualsiasi negozio giuridico. L’atto di tacere in modo preordinato delle proprie condizioni economiche ai fini della capacità di assolvimento di un’obbligazione, costituisce violazione del principio di buona fede contrattuale e vale ad integrare la dissimulazione (cioè il nascondimento) della propria condizione di insolvenza [Cass. sez. II 22.5.2009 n. 3980 in Ced Cass. Rv 245237; Cass. sez. n 11.7.2006 n. 34192 in Ced Cass. Rv 234774] quale elemento costitutivo del delitto di cui all’art. 641 cp. L’apprezzamento della ‘qualità’ o della ‘finalità’ del silenzio è demandato al solo ed esclusivo giudizio di merito nel quale può tenersi conto di qualsiasi elemento di fatto circostanziale volto a conferire significato alla condotta silenziosa.

Per le suddette ragioni il ricorso è manifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile. Il Ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende, così equitativamente determinata la sanzione amministrativa prevista dal’art. 616 cp, da comminarsi alla luce del comportamento processuale del ricorrente che versa in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.

P.Q.M.

 Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro.1000,00 alla Cassa delle ammende.

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