Cassazione 4

Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza 8 maggio 2015, n. 19158

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FIANDANESE Franco – Presidente

Dott. DAVIGO Piercamillo – Consigliere

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere

Dott. BELTRANI Sergio – Consigliere

Dott. RECCHIONE Sandra – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 1543/2009 CORTE APPELLO di ROMA, del 23/10/2012;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 20/03/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. SANDRA RECCHIONE.

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Oscar Cedrangolo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

Udito il difensore Avv. (OMISSIS) di (OMISSIS) che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Roma, in parziale riforma della sentenza di primo grado, condannava il (OMISSIS) alla pena di anno uno mesi due di reclusione ed euro 140 di multa in relazione ai due episodi di tentata estorsione ai danni di (OMISSIS). Si contestava all’imputato di avere minacciato gravi danni alla persona offesa per indurla a consegnare la somma di euro 1.000,00, necessaria per pagare l’avvocato che doveva difendere il ricorrente nel processo nel quale il (OMISSIS) aveva reso dichiarazioni accusatorie a carico del (OMISSIS).

2. Avverso tale provvedimento ricorreva per cassazione la difesa del (OMISSIS) deducendo i seguenti motivi di ricorso.

2.1. Inosservanza di norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilita’. Ci si doleva del fatto che per l’accertamento della responsabilita’ era stato utilizzato il contenuto di una registrazione effettuata dall’offeso su sollecitazione della polizia giudiziaria procedente. Tale operazione era stata autorizzata solo verbalmente dal pubblico ministero, il che non era sufficiente ad integrare gli estremi del provvedimento motivato necessario per rendere legittima la captazione di conversazioni effettuate da privato su sollecitazione ed impulso della polizia giudiziaria procedente;

2.2. vizio di motivazione. Si denunciava il travisamento della testimonianza dell’offeso (OMISSIS) resa in dibattimento il 12 Gennaio 2007. Nella prospettiva difensiva, dalla lettura dell’allegato verbale di trascrizione della testimonianza dibattimentale dell’offeso non sarebbe emerso alcun comportamento minaccioso riferibile all’imputato; emergerebbe invece che il (OMISSIS) si era risolto a denunciare il (OMISSIS) perche’ intimorito dalla situazione nel suo complesso e non dal comportamento dell’imputato. Dalla lettura della trascrizione stenotipica non emergerebbe inoltre non un comportamento minatorio, ma piuttosto la richiesta di aiuto per pagare l’avvocato, che era costoso.

2.3. Vizio di motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento psicologico: non sarebbe stato adeguatamente considerato l’atteggiamento psicologico dell’imputato che non era finalizzato ad ottenere un profitto ingiusto ma ad invocare l’aiuto economico dell’amico, con il quale peraltro, in passato, aveva acquistato sostanza stupefacente.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso e’ infondato.

1.1. Deve premettersi che, in via di principio, la giurisprudenza della corte di cassazione e’ costante nel ritenere che le registrazioni di conversazioni tra presenti, compiute di iniziativa da uno degli interlocutori, non necessitano dell’autorizzazione del giudice per le indagini preliminari, ai sensi dell’articolo 267 c.p.p., in quanto non rientrano nel concetto di intercettazione in senso tecnico, ma si risolvono in una particolare forma di documentazione, che non e’ sottoposta alle limitazioni ed alle formalita’ proprie delle intercettazioni (Sez. 1 , 14-4-1999, Iacovone; Sez. 1 , 14-2-1994, Pino; Sez. 6 , 8-4-1994, Giannola).

Al riguardo, e’ stato acutamente evidenziato dalle Sezioni Unite che, in caso di registrazione di un colloquio ad opera di una delle persone che vi partecipi attivamente o che sia comunque ammessa ad assistervi, “difettano la compromissione del diritto alla segretezza della comunicazione, il cui contenuto viene legittimamente appreso soltanto da chi palesemente vi partecipa o vi assiste, e la “terzieta’” del captante. La comunicazione, una volta che si e’ liberamente e legittimamente esaurita, senza alcuna intrusione da parte di soggetti ad essa estranei, entra a far parte del patrimonio di conoscenza degli interlocutori e di chi vi ha non occultamente assistito, con l’effetto che ognuno di essi ne puo’ disporre, a meno che, per la particolare qualita’ rivestita o per lo specifico oggetto della conversazione, non vi siano specifici divieti alla divulgazione (es.: segreto d’ufficio). Ciascuno di tali soggetti e’ pienamente libero di adottare cautele ed accorgimenti, e tale puo’ essere considerata la registrazione, per acquisire, nella forma piu’ opportuna, documentazione e quindi prova di cio’ che, nel corso di una conversazione, direttamente pone in essere o che e’ posto in essere nei suoi confronti; in altre parole, con la registrazione, il soggetto interessato non fa altro che memorizzare fonicamente le notizie lecitamente apprese dall’altro o dagli altri interlocutori.

1.2. Puo’ dunque essere affermato il principio che la registrazione della conversazione effettuata da uno degli interlocutori all’insaputa dell’altro non e’ classificabile come intercettazione, ma rappresenta una modalita’ di documentazione dei contenuti della conversazione, gia’ nella disponibilita’ di chi effettua la “documentazione” e potenzialmente riversabili nel processo attraverso la testimonianza.

1.3. L’acquisizione al processo della documentazione fonica del colloquio puo’ avvenire attraverso il meccanismo di cui all’articolo 234 c.p.p., comma 1, che qualifica documento tutto cio’ che rappresenta fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo (Cass. sez. 2 n. 7035 del 29/010/2014 Rv 258551).

1.4. Diversa e’ l’ipotesi, ricorrente nel caso di specie, di registrazione eseguita da un privato, su indicazione della polizia giudiziaria ed avvalendosi di strumenti da questa predisposti. In giurisprudenza, a fronte di decisioni che hanno escluso l’esistenza di decisivi elementi differenziali tra la fonoregistrazione effettuata d’iniziativa del privato con apparato nella sua diretta disponibilita’ e quella ottenuta con un apparecchio fornito dagli inquirenti (Cass. Sez. 2 , 5-11-2002 n. 42486), si e’ ritenuta, invece, l’inutilizzabilita’ di registrazioni di conversazioni effettuate, in assenza di autorizzazione del giudice, da uno degli interlocutori dotato di strumenti di captazione predisposti dalla polizia giudiziaria; e cio’ sul rilievo che, in tal modo, si verrebbe a realizzare un surrettizio aggiramento delle regole che impongono il ricorso a strumenti tipici per comprimere il bene costituzionalmente protetto della segretezza delle comunicazioni (Cass. Sez. 6 , 6-11-2008 n. 44128).

Sul punto il collegio condivide l’interpretazione offerta dalla Corte di Cassazione secondo cui “per la soluzione della questione, recependo anche il suggerimento offerto dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 320 del 2009, occorre prendere le mosse dalla pronuncia delle Sezioni Unite nella sentenza 28-3-2006 n. 26795, nella quale – con riferimento alla materia delle videoregistrazioni -, e’ stata rimarcata la distinzione esistente tra documento e atto del procedimento oggetto di documentazione. In tale decisione e’ stato chiarito che le norme sui documenti, contenute nel codice di procedura penale, sono state concepite e formulate con esclusivo riferimento ai documenti formati fuori (anche se non necessariamente prima) e, comunque, non in vista e in funzione del processo nel quale si chiede o si dispone che essi facciano ingresso”. Da cio’ si e’ dedotto, con riguardo alle videoriprese che solo quelle effettuate fuori dal procedimento possono essere considerate prova documentale; laddove quelle effettuate dalla Polizia Giudiziaria nel corso delle indagini costituiscono “documentazione dell’attivita’ investigativa”, inquadrabile nella categoria delle prove atipiche, previste dall’articolo 189 c.p.p..

Il regime processuale delle videoriprese puo’ essere esteso alla documentazione fonica della conversazione effettuata da uno degli interlocutori, dato che la compressione del diritto alla riservatezza ed alla segretezza delle comunicazioni appare assimilabile (Cass. sez. 2 n. 7035 del 29/010/2014 Rv 258551).

Quando la documentazione visiva o fonica viene etero diretta dalla polizia giudiziaria il diritto alla segretezza delle conversazioni e delle comunicazioni viene inciso con una precisa finalita’ investigativa dato che i relativi contenuti sono destinati certamente ad entrare a far parte del compendio probatorio del procedimento in corso.

Tale vocazione processuale della registrazione effettuata d’intesa con la polizia giudiziaria consente di inquadrare la relativa operazione come atto di indagine e non come documento; il che consente la assimilazione del relativo regime processuale a quello ideato per le videoriprese; la registrazioni visive come anche quelle audio nella misura in cui non preesistono alla attivita’ investigativa, ma costituiscono uno sviluppo delle stessa comporta una compressione del diritto alla riservatezza ed alla segretezza delle comunicazioni che richiede una tutela assonante seppur non coincidente con quella che presidia le intercettazioni.

Si condivide pertanto la necessita’ che tale compressione di diritti costituzionalmente tutelati avvenga sulla base di un provvedimento dell’autorita’ giudiziaria. Si ribadisce tuttavia che il controllo di legittimita’ implicito nella autorizzazione non richiede il rispetto delle norme che regolano l’intercettazione di conversazioni o comunicazioni in quanto “le registrazioni fonografiche, per il diverso livello di intrusione nella sfera di riservatezza che ne deriva, non possono essere assimilate, nemmeno nell’ipotesi considerata, alle intercettazioni telefoniche o ambientali e non possono, quindi, ritenersi sottoposte alle limitazioni ed alle formalita’ proprie di queste ultime” (Cass. sez. 2 n. 7035 del 29/010/2014 Rv 258551).

Le registrazioni fonografiche eseguite da uno degli interlocutori con strumenti di captazione forniti dagli organi investigativi essendo effettuate col pieno consenso di uno dei partecipi alla conversazione, implicano un minor grado di intrusione nella sfera privata rispetto alla intercettazione ovvero alla captazione dei colloqui che intercorrono tra persone inconsapevoli; il che consente di ritenere sufficiente un livello di garanzia minore che puo’ essere assicurato da un decreto del pubblico ministero. “Tale provvedimento, infatti, rappresenta il livello minimo di garanzie richiamato in varie pronunce della Corte Costituzionale (sentenze n. 81 del 1993 e n. 281 del 1998) e al quale la giurisprudenza di legittimita’ ha fatto riferimento, in mancanza di una specifica normativa, sia in materia di acquisizione dei tabulati contenenti i dati identificativi delle comunicazioni telefoniche (Sez. Un. 23-2-2000 n. 6), sia in tema di videoriprese eseguite in luoghi non riconducibili al concetto di domicilio, ma meritevoli di tutela ai sensi dell’articolo 2 Cost., per la riservatezza delle attivita’ che vi si compiono (Cass. Sez. Un. 28-3-2006 n. 26795)” (Cass. sez. 2 n. 7035 del 29/010/2014 Rv 258551).

Nel caso di specie, tale livello minimo di garanzia non e’ stato rispettato, in quanto la Polizia Giudiziaria, pur avendo fornito all’offeso – come si legge a pag. 3 della sentenza impugnata – l’attrezzatura per captare le conversazioni con l’imputato, ha agito sulla base di “una autorizzazione verbale del pubblico ministero procedente”.

La mera autorizzazione verbale non e’ tuttavia sufficiente a garantire la tutela del diritto alla segretezza delle comunicazioni. La compressione di tale diritto per finalita’ investigative deve essere compiuta con atto scritto, fruibile e sottoponibile a future critiche processuali.

1.5. Puo’ dunque essere affermato che la registrazione di conversazioni effettuata da un privato su impulso della polizia giudiziaria non costituisce una forma di documentazione dei contenuti del dialogo, ma una vera e propria attivita’ investigativa che comprime il diritto alla segretezza con finalita’ di accertamento processuale. Tale compressione del diritto alla segretezza delle comunicazioni ha una matrice pubblica resa evidente dal fatto che il contenuto della registrazione e’ destinato ad entrare nel compendio probatorio del procedimento in corso; la finalita’ investigativa della registrazione e la conseguente limitazione del diritto alla segretezza delle comunicazioni impongono l’intervento di un provvedimento dell’autorita’ giudiziaria, ovvero un decreto motivato del pubblico ministero. La finalita’ di garanzia del provvedimento autorizzatorio impone la forma scritta con conseguente ostensione e fruibilita’ processuale della motivazione: si tratta di una forma di garanzia che non si ritiene soddisfatta attraverso la mera autorizzazione orale.

1.6. Nel caso di specie la Corte territoriale riteneva sufficiente per garantire la legittimita’ della operazione di registrazione, la sola autorizzazione orale del pubblico ministero, contrariamente a quanto indicato dalle sopra esposte linee interpretative. I relativi contenuti probatori devono pertanto essere dichiarati inutilizzabili.

Nella sentenza impugnata l’erronea affermazione circa l’utilizzabilita’ della registrazione della conversazione sulla base della mera autorizzazione orale del pubblico ministero non incide, tuttavia, sulla tenuta dell’impianto motivazionale della affermazione di responsabilita’ che “resiste” alla elisione dell’elemento di prova inutilizzabile.

Come osservato dalla stessa Corte di appello l’accertamento di responsabilita’ riposa sulle dichiarazioni della persona offesa nonche’ sulle dichiarazioni testimoniali “a conferma”, oltre che sulle dichiarazioni dell’indagato e sulla provata esistenza del procedimento penale connesso per spaccio di stupefacenti a carico del (OMISSIS). Si tratta evidentemente di un impianto probatorio in grado di sostenere l’accertamento di responsabilita’ anche a prescindere dall’utilizzo della registrazione contestata.

Il collegio condivide sul punto la giurisprudenza della Corte di cassazione secondo cui nel giudizio di legittimita’, i casi di rettificazione elencati nell’articolo 619 c.p.p., commi 1 e 2, non sono tassativi ed e’ quindi suscettibile di rettificazione ogni altro erroneo enunciato contenuto nella sentenza impugnata, del quale sia palese e pacifica la riconoscibilita’, qualora non comporti la necessita’ dell’annullamento (Cass. sez. 1, n. 35423 del 18/06/2014 Rv. 260279).

2. Il motivo di ricorso relativo alla inesistenza della minaccia e’ infondato.

2.1. Il comportamento minatorio attribuito all’imputato risulta attestato dal (OMISSIS) il quale ha dichiarato di “avere percepito essendo stato presente, alle reazioni di forte turbamento suscitate nel (OMISSIS) dal colloquio telefonico da questi avuto con il (OMISSIS), a seguito del quale e’ maturata nel medesimo (OMISSIS) la decisione di andare a sporgere denuncia, ed ha riferito che il (OMISSIS) gli ha dichiarato di essere stato in quella occasione minacciato dal predetto (OMISSIS)” (pagg. 4 e 5 della sentenza impugnata).

Il collegio condivide sul punto l’orientamento giurisprudenziale secondo cui ai fini della configurabilita’ del reato di estorsione, il carattere minaccioso della condotta e la idoneita’ della stessa a coartare la volonta’ del soggetto passivo vanno valutate in relazione a concrete circostanze oggettive, non rendendosi necessario che si sia verificata l’effettiva intimidazione del soggetto stesso (Cass. sez. 2, n. 36698 del 19/06/2012, Rv. 254048).

Pur non essendo necessaria la verifica della concreta efficacia intimidatoria della minaccia non puo’ tuttavia negarsi che ogni volta, come nel caso di specie, tale evidenza sia disponibile, la stessa possa essere utilmente valutata per verificare l’esistenza della minaccia. L’effetto intimidatorio, pur non costituendo un elemento necessario per la configurazione della minaccia diventa cioe’ un elemento di prova utile per verificare in concreto l’esistenza di un comportamento qualificabile come minatorio.

2.1. Puo’ dunque essere affermato che, per quanto il comportamento minatorio debba essere sempre valutato nella sua portata oggettiva a prescindere dall'”efficacia” dello stesso, che dipende dall’imponderabile livello di resilienza soggettiva della persona minacciata, tuttavia la prova degli esiti soggettivi della minaccia e’ valutabile per l’accertamento in concreto della condotta minatoria.

3. Anche le contestazioni relative all’elemento soggettivo devono essere respinte essendo emerso un comportamento minatorio finalizzato a farsi pagare il legale, in assenza di qualunque obbligo in tal senso dell’offeso; si tratta di una azione pacificamente rivolta all’ottenimento di un ingiusto profitto, che non si presta in alcun modo ad essere inquadrata come richiesta di “aiuto” considerate le modalita’ violente con cui e’ stata posta in essere.

4. Ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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