Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza 6 dicembre 2013, n. 27409

Svolgimento del processo

Con atto di citazione ritualmente notificato, i sigg. S.A. ed Al. convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Torino, la s.a.s. Immobiliare S.N. di Scibetta Salvatore, nonché i sigg. A.V. , B.P. e D.G. chiedendo, in via principale, che venisse accertata e dichiarata la nullità o, comunque, l’invalidità od inefficacia, sia nei loro confronti che nei riguardi della pretesa rappresentante A.V. , oltre che verso la predetta società Immobiliare SN, dell’atto di compravendita stipulato a rogito del notaio Goria in data 8 marzo 2001 (rep. 58.038/21.949), trascritto alla Conservatoria dei RR.II. di Torino al n. 5666 part. n. 9143, riguardante l’unità immobiliare ubicata in Torino, piazza Conti di Rebaudengo, n. 19, con il conseguente ordine di trascrizione dell’emananda sentenza e la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni, ovvero, in via subordinata (e per l’eventualità in cui l’atto di compravendita fosse stato ritenuto valido ed efficace), per la condanna della sig.ra A.V. a corrispondere, in favore di esso S.A. , la complessiva somma di L. 85.000.000 percepita quale prezzo del contratto ed indebitamente trattenuta oltre che al risarcimento del danno.
La domanda era stata fondata sul presupposto che la società acquirente fosse stata a conoscenza, al momento della stipula del rogito notarile di compravendita, dell’avvenuta revoca della procura (intervenuta in data 13 ottobre 2000 con dichiarazione autenticata dal notaio La Placa) loro conferita alla rappresentante A.V. (a cui tale revoca era stata comunicata il 20 ottobre 2010, così come era stata portata a conoscenza anche del promissario acquirente B.P. ), che, nel loro interesse, aveva partecipato alla predetta stipula.
Si costituivano in giudizio la Immobiliare SN s.a.s. e D.G. , i quali instavano per il rigetto della formulata domanda ed, inoltre, la suddetta società chiedeva, a titolo di domanda riconvenzionale, la condanna degli attori al risarcimento dei danni patiti per la mancata disponibilità dell’alloggio compravenduto, individuati nelle spese sostenute per la locazione temporanea di altro appartamento. Gli altri due convenuti, A.V. e B.P. , rimanevano contumaci.
Con sentenza n. 1384 del 2004 (depositata il 9 marzo 2004), il Tribunale adito rigettava tutte le domande proposte in via principale dagli attori; condannava gli stessi attori, in via solidale, al pagamento, in favore della Immobiliare SN s.a.s., a titolo di risarcimento del danno, della somma di Euro 15.878,85, oltre interessi legali dalla domanda al saldo; condannava, altresì, A.V. a pagare, in favore dei due attori, della somma di Euro 43.898,84, oltre interessi legali dalla domanda al saldo; condannava entrambi gli attori a rifondere, in via solidale, le spese giudiziali a vantaggio della predetta società Immobiliare e di D.G. ; condannava, invece, la convenuta A.V. al pagamento delle spese di lite in favore dei due attori, compensando integralmente le spese del giudizio relativamente al rapporto processuale intercorso tra i medesimi attori ed il convenuto B.P. . Interposto appello da parte di S.A. e Sa.Al. e nella resistenza dei soli appellati D.G. ed Immobiliare SN s.a.s. (poiché anche in secondo grado l’A.V. e il B.P. rimanevano contumaci), la Corte di appello di Torino, con sentenza n. 1367 del 2007 (depositata il 10 settembre 2007), in accoglimento del formulato gravame principale, dichiarava la nullità e l’inefficacia, sia nei confronti dei due S. che nei riguardi di A.V. oltre che dell’Immobiliare SN s.a.s., dell’atto di compravendita dedotto in giudizio (con conseguente ordine al competente Conservatore dei RR.II. della trascrizione dell’emessa sentenza) e rigettava, invece, le domande riconvenzionali avanzate dalla convenuta Immobiliare SN s.a.s., con correlata condanna, in virtù del principio della soccombenza finale, di tutte le parti appellate, in solido fra loro, alla rifusione delle spese di entrambi i gradi di giudizio in favore degli appellanti S. . A sostegno dell’adottata decisione, la Corte piemontese rilevava che, all’esito dell’espletata istruzione probatoria della controversia, erano emersi elementi gravi, precisi e concordanti (dettagliatamente esposti in parte motiva), i quali convergevano univocamente nel senso che tutte le parti del negozio – e, segnatamente, non solo la rappresentante revocata ma anche l’acquirente dell’immobile – fossero a conoscenza, anteriormente alla stipula del rogito notarile di alienazione, dell’avvenuta revoca operata a carico dell’A.V. e della conseguente carenza di poteri rappresentativi in capo a quest’ultima, in tal senso, perciò, dovendosi ritenere assolto l’onere della prova sulle circostanze che, nella specie, escludevano l’apparenza del diritto e l’incolpevole affidamento dei terzi. In particolare, con la sentenza di secondo grado, la Corte territoriale evidenziava che la Immobiliare SN era risultata a piena conoscenza dell’inesistenza dei poteri rappresentativi in capo all’A.V. anteriormente alla stipula del contratto definitivo di compravendita per cui era controversia, che, perciò, si sarebbe dovuto dichiarare nullo e privo di effetti giuridici in difetto di valido consenso espresso da soggetto legittimato alla negoziazione e, quindi, nello specifico, sprovvisto di efficacia nei confronti degli appellanti. La Corte torinese ravvisava, infine, l’infondatezza della pretesa risarcitoria della Immobiliare SN s.a.s., stante l’insussistenza del dedotto danno (comunque non comprovato e non riconducibile, in ogni caso, alla condotta degli appellanti principali).
Avverso la suddetta sentenza di appello (non notificata) hanno proposto ricorso per cassazione la Immobiliare S.N. s.a.s. e il sig. D.G. , articolato in sette motivi.
Gli intimati S.A. e Sa.Al. si sono costituiti ritualmente con controricorso, mentre le altre due parti intimate non hanno svolto attività difensiva nemmeno nella presente sede di legittimità.
I difensori delle parti costituite hanno anche depositato memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo i ricorrenti hanno dedotto – in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c. – la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 324, 342, 359 e 163 c.p.c., nonché dell’art. 2909 c.c., sul presupposto che la Corte territoriale non aveva rilevato la formazione del giudicato interno conseguente all’omessa specificazione dei motivi di appello. A corredo di tale censura i ricorrenti hanno indicato – ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. (“ratione temporis” applicabile nella fattispecie, risultando la sentenza impugnata pubblicata il 10 settembre 2007) – il seguente quesito di diritto: “dica la S.C. se l’omessa specificazione dei motivi di appello avverso il capo di sentenza che respinge la domanda della parte venditrice di nullità e/o annullamento del contratto di compravendita immobiliare, asseritamente stipulato da una rappresentante priva di poteri, statuendo il mancato raggiungimento dell’onere della prova, a carico della stessa parte venditrice rappresentata, circa la conoscenza della parte acquirente dell’avvenuta revoca della procura in precedenza conferita dalla parte venditrice alla rappresentante, nonché l’inammissibilità, anche in relazione al divieto della doppia presunzione, dei mezzi di prova orali (interrogatorio e testi) dedotti per dimostrare la detta conoscenza, comporta o meno il formarsi del giudicato interno sulle relative questioni?”.
1.1. Rileva il collegio che il motivo è destituito di fondamento dal momento che – per come rilevabile dallo stesso contenuto dell’atto di appello (esaminabile anche in questa sede di legittimità, stante la natura processuale del vizio denunciato) – le censure mosse dagli appellanti avverso la sentenza di primo grado erano state sufficientemente complete ed incidenti sul complessivo “thema decidendum”, Dalla stessa sentenza qui impugnata (v. pag. 15) si desume che il proposto gravame era stato sufficientemente articolato – nel rispetto del disposto di cui all’art. 342 c.p.c. (nella versione “ratione temporis” applicabile, ovvero in quella antecedente alla modifica sopravvenuta per effetto della recente legge n. 134 del 2012, di conversione, con modif., del d.l. n. 83 del 2012) – in una serie di doglianze (per l’esattezza cinque) riferibili all’omesso esame delle risultanze istruttorie da considerarsi rilevanti ai fini della dimostrazione della ricostruzione fattuale, al travisamento del fatto siccome in contrasto con le risultanze acquisite, al difetto di motivazione per l’avvenuta obliterazione o sottovalutazione di elementi probatori decisivi, alla mancata ammissione di ulteriori indagini istruttorie (per l’eventualità della loro rilevata necessità) e alla manifesta ingiustizia del capo relativo all’accoglimento della domanda riconvenzionale di risarcimento avanzata dalla Immobiliare S.N. s.a.s. a titolo di ristoro di un inesistente e, comunque, non comprovato pregiudizio sofferto.
2. Con il secondo motivo i ricorrenti hanno denunciato – ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. – il vizio di omessa ed insufficiente motivazione circa i fatti controversi e decisivi per il giudizio riguardanti la conoscenza, da parte dell’acquirente, dell’avvenuta revoca della procura alla rappresentante dei venditori. A tal proposito gli stessi ricorrenti ripercorrono svariati passaggi dell’impianto motivazionale della sentenza impugnata, ponendo in risalto supposte incongruenze sul piano dell’apprezzamento probatorio dei plurimi elementi ritenuti, invece, gravi, precisi e concordanti dalla Corte territoriale ai fini della valutazione di fondatezza del proposto gravame.
2.1. La censura si profila inammissibile perché, oltre a risollecitare una rivalutazione degli accertamenti di merito sulla decisiva circostanza dedotta, non risulta corredata da un idoneo e specifico assolvimento del requisito prescritto dall’art. 366 bis c.p.c. (“ratione temporis” – come detto – applicabile nel caso in esame).
Sul punto, sul piano generale si osserva (cfr., ad es., Cass. n. 4556/2009) che l’art. 366-bis c.p.c., nel prescrivere le modalità di formulazione dei motivi del ricorso in cassazione, comporta, ai fini della declaratoria di inammissibilità del ricorso medesimo, una diversa valutazione da parte del giudice di legittimità a seconda che si sia in presenza dei motivi previsti dai numeri 1, 2, 3 e 4 dell’art. 360, comma 1, c.p.c., ovvero del motivo previsto dal numero 5 della stessa disposizione. Nel primo caso ciascuna censura deve, all’esito della sua illustrazione, tradursi in un quesito di diritto, la cui enunciazione (e formalità espressiva) va funzionalizzata, come attestato dall’art. 384 c.p.c., all’enunciazione del principio di diritto ovvero a “dieta” giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare importanza, mentre, ove venga in rilievo il motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. (il cui oggetto riguarda il solo “iter” argomentativo della decisione impugnata), è richiesta una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione. Da ciò si inferisce anche che il quesito di diritto così come la specifica indicazione del fatto controverso (in ordine al quale si dovrebbe ritenere emergente la carenza assoluta o la contraddittorietà della motivazione) e l’appropriata ed autonoma sintesi del vizio motivazionale (con riferimento alla dedotta insufficienza del percorso logico seguito nella sentenza oggetto di ricorso) non possono essere implicitamente desunti dall’esposizione complessiva del motivo di ricorso.
In particolare, deve essere ribadito il principio (v., a tal riguardo, Cass. n. 8897 del 2008 e, da ultimo, Cass. n. 5858 del 2013) secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, con cui si deduca il vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso e decisivo per la controversia, l’onere di indicare chiaramente tale fatto, ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art. 366-bis c.p.c., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma anche formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un “quid pluris” rispetto alla illustrazione del motivo, così da consentire al giudice di valutare immediatamente la ammissibilità del ricorso stesso; tale sintesi, peraltro, non si identifica con il requisito di specificità del motivo ex art. 366 comma 1, n. 4 c.p.c, ma assume l’autonoma funzione volta alla immediata rilevabilità del nesso eziologico tra la lacuna o incongruenza logica denunciata ed il fatto ritenuto determinante, ove correttamente valutato, ai fini della decisione favorevole al ricorrente.
In applicazione di tali principi, nella fattispecie, non evincendosi, all’esito della completa rappresentazione della censura motivazionale, l’assolvimento del predetto requisito, la stessa non può propriamente qualificarsi come ammissibile.
Peraltro, non può sottacersi che la sentenza impugnata risulta adeguatamente e logicamente motivata in ordine all’accertamento delle controversa circostanza e, come tale, non può considerarsi censurabile nella presente sede di legittimità.
In particolare, la Corte piemontese – a sostegno della sua logica conclusione alla quale è giunta – ha congruamente affermato, in punto di fatto, che gli attori avevano provato che era pervenuta piena comunicazione, con adeguati mezzi di partecipazione, a tutte le parti interessate, dell’avvenuta revoca dei poteri rappresentativi alla signora A.V. , risultando nota sia alla stessa, sia all’originario promissario acquirente, sia al suo successore rag. D.G. , sia alla definitiva acquirente, identificantesi con la Immobiliare S.N. s.a.s. di Scibetta Salvatore, designata dal predetto rag. D. ex art. 1401 c.c., in virtù dello stipulato contratto preliminare. A tal proposito, la Corte territoriale ha posto riferimento (v. pagg. 16-21 della sentenza impugnata) a plurimi ed univoci elementi (caratterizzati anche dai requisiti della gravità e della precisione) convergenti, in modo complessivo, nel senso che tutte le parti del negozio – e, soprattutto e segnatamente, l’acquirente dell’immobile – fossero a conoscenza, anteriormente alla stipula della compravendita, della sopravvenuta revoca della procura precedentemente conferita all’A. e della sua conseguente carenza di poteri rappresentativi.
Nel percorso argomentativo della Corte di secondo grado risultano, invero, valorizzate numerose circostanze di fatto acclarate che – complessivamente valutate – hanno legittimamente indotto la stessa Corte a ritenere pienamente assolto l’onere probatorio incombente sugli appellanti circa l’esclusione della configurabilità delle fattispecie giuridiche dell’apparenza del diritto e dell’incolpevole affidamento dei terzi, sulle quali i ricorrenti hanno fondato essenzialmente la loro difesa. In tal senso la Corte territoriale ha, in particolar modo, sottolineato la circostanza che il B. , al quale era stata notificata la revoca della procura, fosse intervenuto all’atto di compravendita stipulato dalla Immobiliare S.N. (che aveva già fissato la propria sede sociale proprio nei locali oggetto della convenzione, ancor prima che fosse stato perfezionato l’acquisto), nella sua qualità di originaria parte promissaria, avesse dichiarato di nominare quale definitivo acquirente proprio la predetta società, rinunciando ad ogni ragione o diritto che a lui sarebbero potuti derivare dal preliminare (in special modo alla restituzione della caparra), dopo una trattativa che aveva visto la stipulazione, con l’assenso del B. , di altro preliminare tra l’A. ed il D. , sempre per persona da nominare. Il giudice di appello ha, poi, evidenziato che i rappresentati avevano già provato, nel corso del giudizio di prime cure, con documentazione esaustiva (tale da rendere superflua ogni ulteriore istruttoria), la circostanza principale che la Immobiliare S.N era risulta a piena ed effettiva conoscenza dell’inesistenza dei poteri rappresentativi in capo all’A.V. anteriormente alla stipula del contratto definitivo di compravendita, il quale, conseguentemente, si sarebbe dovuto ritenere del tutto inefficace nei confronti degli appellanti.
Del resto, in linea generale, deve ribadirsi che – secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte – il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione ex artt. 360, 1 co. n. 5, c.p.c. si configura solamente quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione, non consistendo nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove preteso dalla parte rispetto a quello operato dal giudice di merito. La sua deduzione con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale bensì la mera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, di dare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti.
3. Con il terzo motivo i ricorrenti hanno prospettato – con riferimento all’art. 360 n. 3 c.p.c. – la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729, oltre che degli artt. 116 e 132 c.p.c, formulando, in proposito, il seguente quesito di diritto: “dica la S.C. se, in relazione alla prova, che grava sul rappresentato, della conoscenza da parte dei terzi dell’avvenuta revoca della procura, sono inammissibili e comunque inutilizzabili ai fini della decisione le presunzioni che non rispettano il divieto della doppia presunzione; e se sono altrettanto inammissibili e comunque inutilizzabili, ai fini della decisione, le presunzioni prive dei requisiti di precisione, gravità e concordanza”.
3.1. Anche questo motivo – peraltro intimamente collegato al precedente – si prospetta privo di pregio.
Occorre, innanzitutto, rilevare che le presunzioni semplici, che devono essere gravi, precise e concordanti, consistono nel ragionamento del giudice, il quale, una volta acquisita, tramite fonti materiali di prova (o anche tramite il notorio o a seguito della non contestazione) la conoscenza di un fatto secondario, deduce da questo l’esistenza del fatto principale ignorato, dovendosi precisare che il requisito della gravità si riferisce al grado di convincimento che le presunzioni sono idonee a produrre essendo a tal fine sufficiente che l’esistenza del fatto ignoto sia desunta con ragionevole certezza, anche probabilistica; il requisito della precisione impone che i fatti noti, da cui muove il ragionamento probabilistico, ed il percorso che essi seguono non siano vaghi ma ben determinati nella loro realtà storica; il requisito della concordanza postula che la prova sia fondata su una pluralità i fatti noti convergenti nella dimostrazione del fatto ignoto.
Sulla scorta di tale premessa, la concorde giurisprudenza di questa Corte (cfr., ad es., Cass. n. 9782 del 1999; Cass. n. 5526 del 2002; Cass. n. 3321 del 2004) ha evidenziato che l’apprezzamento del giudice di merito circa il ricorso a tale mezzo di prova, la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge, la scelta dei fatti noti che costituiscono la base della presunzione e il giudizio logico con cui si deduce l’esistenza del fatto ignoto sono riservati al giudice di merito e sono censurabili in sede di legittimità sotto il profilo del vizio di motivazione unitamente all’esistenza della base della presunzione e dei fatti noti, che fanno parte della struttura normativa della presunzione.
Del resto è opportuno chiarire che perché possa ritenersi correttamente desunta una presunzione semplice è sufficiente che i fatti sui quali essa si fonda siano tali da far apparire l’esistenza del fatto ignoto come una conseguenza del fatto noto, già accertato in giudizio, alla stregua di canoni di ragionevole probabilità, dovendosi cioè ravvisare una connessione fra la verificazione del fatto già accertato e quella del fatto ancora ignoto secondo regole di esperienza che convincano il giudice circa la probabilità e verosimiglianza della verificazione del secondo quale conseguenza del primo, potendo, dunque, il relativo accertamento presentare qualche margine di opinabilità, poiché il procedimento logico di deduzione non è quello rigido che è imposto, viceversa, in caso di presunzione legale.
Orbene, nell’esaminare la seconda censura, si è già posto in risalto come la motivazione svolta dalla Corte di secondo grado sia da ritenersi assolutamente logica ed adeguata nella valorizzazione dei plurimi elementi (dettagliatamente descritti ed avvalorati dai riscontri istruttori acquisiti, anche documentali) che hanno indotto lo stesso giudice di merito – alla stregua della loro convergenza (nella ricostruzione storico-fattuale), della loro particolare puntualità e della loro univoca propensione ad indurre al risultato della ragionevole certezza nell’accertamento del fatto principale costituito dalla circostanza centrale che non solo la rappresentante pacificamente revocata ma anche l’acquirente dell’immobile fosse a conoscenza, anteriormente alla compravendita del bene stesso, dell’avvenuta revoca della procura e della conseguente carenza di poteri rappresentativi in capo all’A.V. . La doglianza in questione, quindi, è da ritenersi destituita di fondamento perché tende alla confutazione della concordanza degli elementi presuntivi congruamente giustificata dalla Corte territoriale e, quindi, attinge – in effetti – un complessivo apprezzamento di fatto adeguatamente motivato dal giudice del merito e, quindi, come tale incensurabile in questa sede di legittimità. Né può ritenersi che, nella fattispecie, la Corte territoriale sia incorsa nel divieto della c.d. “praesumptio de praesumpto”, dal momento che il globale ragionamento presuntivo operato dal giudice di appello – ispirato ai criteri della certezza e della concretezza (cfr. Cass. n. 1044 del 1995 e Cass. n. 14115 del 2006) – ha trovato fondamento in plurime e convergenti circostanze di fatto oggettivamente rilevate e, quindi, note ed accertate (elencate analiticamente nella sentenza impugnata, alle pagg. 16-21, dal n. 1 al n. 16), dalle quali è stata univocamente tratta, in virtù di un ragionamento logico e congruo, la conclusione in via presuntiva relativa alla decisiva circostanza che l’acquirente dell’immobile dedotto in controversia era venuta a conoscenza, antecedentemente alla stipula definitiva della compravendita del bene stesso, dell’intervenuta revoca della procura (e, quindi, della conseguente esclusione dei relativi poteri rappresentativi) in capo all’A.V. .
Del resto, è risaputo che il principio dell’apparenza del diritto, riconducibile a quello, più generale, della tutela dell’affidamento incolpevole, può essere invocato con riguardo alla rappresentanza allorché, indipendentemente dalla richiesta di giustificazione dei poteri del rappresentante a norma dell’art. 1383 c.c., non solo sussista la buona fede del terzo che ha concluso atti con il falso rappresentante, ma ci si trovi in presenza di un comportamento colposo – non meramente omissivo – del rappresentato, tale da ingenerare nel terzo la ragionevole convinzione che il potere di rappresentanza sia stato effettivamente e validamente conferito al rappresentante apparente. L’accertamento sulla idoneità o meno degli elementi obiettivi a giustificare la ragionevole convinzione del terzo circa la corrispondenza della situazione apparente a quella reale – e, cioè, degli elementi richiesti perché si possa attribuire rilevanza giuridica alla situazione apparente – è riservato istituzionalmente al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione. E, nella fattispecie, la Corte territoriale, con motivazione congrua e logica fondata su plurimi e convergenti elementi, ha escluso che si sia venuta a configurare una concreta situazione di fatto tale da poter comportare la legittima applicabilità del principio dell’apparenza del diritto.
4. Con la quarta censura i ricorrenti hanno denunciato – sempre in virtù dell’art. 360 n. 3 c.p.c. – la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1223, 1470, 1476, 1490 e 1492 c.c. individuando il correlato quesito di diritto nei seguenti termini: “dica la S.C. se il ritardo ovvero la mancata consegna dell’immobile compravenduto costituisce inadempimento ed espone il venditore all’obbligo di risarcimento dei danni, commisurati alle spese sostenute dall’acquirente per procurarsi “medio tempore” la disponibilità di altro immobile, restando invece ininfluente, ai fini risarcitori, la fissazione della sede sociale presso l’immobile da parte della società acquirente qualche giorno prima del rogito notarile di compravendita”.
4.1. Questa censura si prospetta inammissibile perché – a parte, in ogni caso, l’adeguata valutazione compiuta dalla Corte piemontese (v. pagg. 25-26 della sentenza impugnata) sulla insussistenza delle condizioni per la configurazione dei presupposti in concreto del fatto generatore dei pretesi danni e sulla esclusione di ogni ipotesi di responsabilità causatrice degli appellanti principali, dovendosi, piuttosto, la Immobiliare S.N. rivolgere all’A. le proprie pretese risarcitorie, ove provate nel “quantum” – deve rilevarsi che la doglianza investe, in effetti, un aspetto della vicenda sostanziale sul quale il giudice di appello ha ultroneamente motivato, atteso che la pronuncia sui supposti danni si sarebbe dovuta ritenere assorbita da quella sulla dichiarata inefficacia dell’atto di vendita per essere stata l’acquirente a conoscenza, anteriormente alla stipula della vendita, della carenza di potere della procuratrice dei venditori, in tal modo escludendosi l’operatività del principio dell’apparenza del diritto e, quindi, la buona fede in capo alla stessa compratrice.
5. Con il quinto motivo i ricorrenti hanno inteso dedurre – ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. – il vizio di omessa ed insufficiente motivazione in ordine ai fatti controversi e decisivi per il giudizio concernenti la conoscenza, da parte dell’acquirente, dell’avvenuta revoca della procura alla rappresentante dei venditori.
5.1. Con questo motivo – per stessa ammissione dei ricorrenti – risulta riprodotto “per relationem” il medesimo contenuto della censura di cui al secondo motivo, ragion per cui, al di là di un inidoneo assolvimento del requisito di ammissibilità prescritto dall’art. 366 bis c.p.c., la doglianza è da ritenersi destituita di fondamento per le stesse ragioni già esplicate in ordine al secondo mezzo di impugnazione.
6. Con il sesto motivo i ricorrenti si richiamano – tanto genericamente quanto inutilmente – alla censura formulata per terza (e al relativo quesito), onde – anche per questa doglianza – deve essere riconfermata la valutazione di infondatezza già precedentemente esteriorizzata.
7. Con il settimo ed ultimo motivo i ricorrenti hanno censurato la sentenza impugnata per omessa ed insufficiente motivazione circa i fatti controversi e decisivi per il giudizio costituiti dalla loro condotta e dalla loro ritenuta responsabilità per i danni subiti dalla parte acquirente a seguito della mancata consegna dell’immobile compravenduto, oltre che dalla rilevata entità dei medesimi danni.
7.1. Quest’ultima censura è inammissibile perché – oltre risollecitare, in questa sede, una non consentita rivalutazione degli accertamenti di merito sulla riportata circostanza di fatto – non risulta sorretta, in relazione all’art. 366 bis c.p.c., da una conferente indicazione del fatto controverso né da una appropriata sintesi del vizio motivazionale con riferimento alla supposta insufficienza del percorso logico seguito dalla Corte di secondo grado.
Ad ogni modo, fermo rimanendo quanto già osservato con riguardo al quarto motivo, occorre sottolineare nuovamente che il giudice di appello, con motivazione congrua e logicamente giustificata in relazione alla valorizzazione dei complessivi elementi probatori acquisiti, ha escluso che gli attuali ricorrenti avessero agito con dolo o con colpa, e, quindi, senza ingenerare affidamento in capo alle parti contrattuali, considerando anche che a promettere libero e sgombero da persone e cose l’immobile in questione – di cui sapeva di non poter disporre in alcun modo – fu la A. (con l’avallo del B. , al quale pure era stata notificata la revoca della procura e che – come già posto in risalto – intervenne in sede di stipula del contratto definitivo) e non furono certo i S. , i quali, perciò, non avevano, in alcun modo, contribuito a causare il preteso (ed insussistente) danno a carico della Immobiliare S.N., nei cui confronti essi, infatti, non avevano mai manifestato direttamente l’intento di voler concludere l’atto di compravendita in discorso (e non avevano assunto alcun obbligo di consegna).
8. In definitiva, alla stregua delle ragioni complessivamente svolte, il ricorso deve essere integralmente respinto, con la conseguente condanna dei ricorrenti, in via fra loro solidale, al pagamento – in favore dei controricorrenti – delle spese del presente giudizio, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo sulla scorta dei nuovi parametri previsti per il giudizio di legittimità dal D.M. Giustizia 20 luglio 2012, n. 140 (applicabile nel caso di specie in virtù dell’art. 41 dello stesso D.M.: cfr. Cass., S.U., n. 17405 del 2012). Non occorre, invece, adottare alcuna pronuncia sulla disciplina delle spese in ordine al rapporto processuale instauratosi tra i ricorrenti e le altre parti intimate, che non hanno svolto attività difensiva in questa fase.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido fra loro, al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 8.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori nella misura e sulle voci come per legge.

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