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Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza 31 ottobre 2014, n. 23284

Svolgimento del processo

Con sentenza 23.4.2004 il Tribunale di Milano respingeva l’opposizione proposta da F.M.A. avverso il decreto ingiuntivo emesso a suo carico, per la somma di L. 15.478.606, oltre interessi e spese, su ricorso dell’avv. S.M. , per il pagamento di attività professionali a questi spettanti.
Avverso tale decisione il F. proponeva appello cui resisteva il S..
Con sentenza depositata in data 11.12.2007 la Corte di Appello di Milano confermava la sentenza di primo grado condannando il F. al pagamento delle spese del grado e ribadiva, in conformità a quanto rilevato dal giudice di prime cure, che il S. aveva provato di aver svolto nell’interesse del F. le prestazioni professionali in questione (denuncia querela nei confronti del coniuge R.A. ; redazione del ricorso per separazione personale del F. dalla medesima; smobilizzo, presso la banca di (…), di valori mobiliari cointestati a detti coniugi).
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il F. sulla base di cinque motivi. Resiste con controricorso S.C. . Le parti hanno depositato memoria.

Motivi della decisione

Il ricorrente deduce:
1) violazione e falsa applicazione degli artt. 2233 e 2697 c.c. nonché della tariffa forense (tabella A, B, C, e D) di cui al D.M. 5.10.1994 n. 584, per non avere il giudice di merito posto a carico del S. , convenuto opposto, ma attore in senso sostanziale, l’onere di provare le attività di cui aveva richiesto il pagamento, come indicate nelle note del (…), avendo il F. , convenuto in senso sostanziale, contestato lo svolgimento di alcune di dette attività attraverso le prove documentali e testimoniali fornite in sede di opposizione; in particolare, era stato contestato che l’Avv. S. avesse svolto ulteriori attività rispetto all’assistenza prestata nella riunione tenutasi presso la banca di (…), nonché rispetto alla redazione del ricorso di separazione giudiziale e dell’atto di denuncia-querela depositato presso la Procura della Repubblica di Milano; la Corte di merito aveva, inoltre, omesso di pronunciarsi sulla contestazione relativa al valore della causa;riguardante la pratica stragiudiziale di assistenza nella riunione presso la banca di (…), limitandosi a considerare la liquidazione della parcella da parte del consiglio dell’ordine Forense, non tenendo conto che, ai fini della liquidazione della parcella stessa, il giudicante ha il potere-dovere di verificare la effettività e consistenza delle prestazioni eseguite senza che occorra una contestazione specifica da parte de cliente, essendo sufficiente “anche una sua genericità”.
La censura si conclude con il quesito di diritto che può così sintetizzarsi: se sia da ritenere adempiuto, da parte dell’avvocato che agisce per il pagamento di proprie parcelle, l’onere di provare lo svolgimento di tutte le prestazioni professionali in esse indicate, a fronte della contestazione del cliente circa lo svolgimento di tali attività e se l’avvocato abbia diritto al pagamento dei diritti e degli onorari sulla base della semplice produzione della parcella professionale liquidata dall’Ordine degli Avvocati;
2) omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 2697 c.c. ed alla tariffa forense di cui al D.M. 5.10.1994 n. 584, per avere la Corte di appello disatteso, in quanto generiche, le contestazioni del F. sulle prestazioni professionali effettivamente eseguite, senza spiegare le ragioni della ritenuta genericità delle doglianze benché specificatamente indicate e non tenendo conto, peraltro, che secondo la pronuncia della S.C. n. 8397/08, è sufficiente anche una generica contestazione. A conclusione della censura viene formulato il seguente quesito:
“se, sia omessa, insufficiente e/o contraddittoria la motivazione di una sentenza che ritenga irrilevanti le contestazioni da parte del cliente in ordine alla effettività ed alla consistenza delle prestazioni eseguite, in quanto ritenute generiche e in particolare, faccia ciò in un caso in cui le contestazioni stesse siano, per di più specifiche, senza indicare perché ritiene le stesse generiche”;
3) violazione e falsa applicazione degli artt. 228,229 e 117 c.p.c. e degli artt. 2730-2733 e 267 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., laddove la Corte territoriale aveva disatteso la richiesta del F. di acquisire, ex art. 345 c.p.c., gli atti del procedimento penale per il reato di falsa testimonianza addebitato alle testimoni M.A. e Fo.Mi. , in relazione alle dichiarazioni rese dalle stesse in ordine alle prestazioni professionali rese dall’avv. S. nella riunione presso la banca di (…); il giudice di appello aveva erroneamente interpretato le risultanze probatorie, ritenendo che la dichiarazione resa dal F. , all’udienza in data 8.3.2002, al di fuori di un interrogatorio formale, integrassero una confessione in ordine alla pretesa del S. all’intero compenso per la pratica relativa a detta riunione del 16.3.1998.
Al riguardo vengono sottoposti a questa Corte i quesiti così sintetizzati: se possa ritenersi provato, con efficacia di confessione, un fatto affermato come vero dalla parte cui esso è sfavorevole, nel corso dell’interrogatorio libero delle parti ex art. 117 c.p.c. ritenendo, inoltre, provati anche fatti antecedenti e/o successivi (nella specie attività preparatorie, quali telefonate anche a terzi e pareri) al fatto affermato come vero dalla parte nel corso dell’interrogatorio libero;
4) omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio con riferimento all’art. 116 c.p.c. ed alla valutazione delle risultanze della prova testimoniale espletata; la Corte di Appello aveva ritenuto superata la falsità delle dichiarazioni rese dalle testimoni M. e Fo. , benché, con sentenza del 7.4.2006, le stesse fossero state condannate per il reato di falsa testimonianza “circa la durata delle attività svolte dal S. il 16.3.1998 presso la Banca di (…)”; nel corso dell’interrogatorio libero, peraltro, il F. si era limitato a riconoscere che il S. era stato con lui in una riunione presso la banca di (…), senza confessare lo svolgimento di attività preparatoria o esecutiva per la durata di 11 ore; 5) violazione e falsa applicazione della tariffa forense di cui al D.M. 5.10.1994, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. in conseguenza di quanto rilevato nei precedenti motivi.
Il ricorso è infondato.
In ordine ai primi due motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente in quanto connessi, si osserva che, contrariamente a quanto rilevato dal ricorrente, il giudice di appello non ha affatto invertito l’onere probatorio a carico delle parti, avendo, invece, dato conto, con adeguata motivazione, delle prove acquisite in primo grado ed offerte dall’avv. S. in ordine alla effettiva attività professionale da questi svolta in favore del F. ed alla congruità del compenso.
In particolare,la sentenza impugnata ha confermato quella di primo grado, dando atto della prova testimoniale sulla effettività della prestazione e sulla congruità della pretesa, suffragata dalla liquidazione effettuata dal competente Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, precisando che il giudice di prime cure, “una volta appurato che l’avv. S. aveva assolto l’onere della prova che a lui competeva”, aveva sottolineato l’inidoneità delle le prove addotte dall’opponente a superare quanto dimostrato dall’appellato.
La pronuncia della S.C., citata dal ricorrente (Cass. n. 8397/08) sulla sufficienza di una contestazione generica, da parte del cliente, in ordine all’effettività e consistenza delle prestazioni eseguite non si attaglia, quindi, al caso di specie in quanto, come evidenziato dal giudice di appello, a fronte delle prove offerte dall’appellato, l’appellante aveva contestato in modo assolutamente generico la regolarità della parcella dell’avv. S. , facendo un’inammissibile riserva di essere più preciso nel corso del giudizio di appello, né sul punto, ai fini del requisito di autosufficienza del ricorso risulta indicato quando sarebbe intervenuta la precisazione delle dedotte contestazioni.
Va aggiunto che la parcella del difensore, ove genericamente contestata, costituisce fonte presuntiva sia delle attività indicate, sia del valore della lite in relazione alla quale il compenso preteso, riguardando la stessa lo svolgimento di prestazioni comprovate da atti processuali o intimamente connesse a tali atti sicché le contestazioni non possono che riguardare specificatamente le singole voci esposte che, in caso contrario, debbono ritenersi provate nel loro fondamento di fatto (Cass. n. 4409/1979).
La terza e la quarta doglianza, anch’esse da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono infondate. Va innanzitutto rilevato che, in relazione alla dedotta erronea interpretazione delle prove testimoniali e delle dichiarazioni rese dal F. in sede di interrogatorio formale,non viene specificato il criterio ermeneutico violato né è dato ravvisare la violazione dell’art. 117 c.p.c. per avere la Corte di merito attribuito valore confessorio alle dichiarazioni rese spontaneamente dal F. con riferimento al fatto che l’avv. S. si era recato presso la Banca di (…) tra le 14,30 e le 17 (pag. 4 sent.imp.), come pure confermato dalla prova testimoniale il cui apprezzamento esula dal sindacato di legittimità anche quanto all’attendibilità dei testimoni.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte non è, infatti, da escludere la configurabilità di una confessione giudiziale spontanea anche in sede di interrogatorio non formale, qualora risulti dal verbale che la dichiarazione della parte sia stata resa spontaneamente, come avvenuto nella specie (Cass. n. 122/1983; n. 11403/2006) e, comunque, quanto dichiarato dal F. integra, quanto meno, un’ammissione rimessa alla valutazione del giudice di merito.
Va, infine, disattesa l’ultima censura, una volta esclusa la fondatezza delle contestazioni sulle voci delle parcella poste a fondamento della decisione impugnata, in difetto, fra l’altro, di una specifica indicazione delle presunte violazioni della tariffa forense.
Alla stregua di quanto osservato il ricorso va rigettato.
Consegue, secondo il criterio della soccombenza, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che si liquidano in Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.

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