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Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza 31 marzo 2014, n. 7510

REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ODDO Massimo – Presidente
Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere
Dott. NUZZO Laurenza – Consigliere
Dott. MATERA Lina – rel. Consigliere
Dott. PICARONI Elisa – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 11356-2008 proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) SPA (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 48/2007 della CORTE D’APPELLO di TRENTO sezione distaccata di BOLZANO, depositata il 05/03/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/01/2014 dal Consigliere Dott. LINA MATERA;
udito l’Avvocato (OMISSIS), difensore del resistente che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo, assorbiti i restanti motivi di ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 5-3-2001 la (OMISSIS) s.p.a. proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso in data 13-1-2001 dal Tribunale di Bolzano, Sezione Distaccata di Merano, con il quale, ad istanza di (OMISSIS), le era stato intimato il pagamento di somme per prestazioni professionali giornalistiche svolte negli anni 1997, 1998, 1999 e 2000.Con sentenza in data 26-7-2005 il Tribunale di Bolzano, Sezione Distaccata di Merano, revocava il decreto ingiuntivo opposto e condannava la (OMISSIS) s.p.a. a pagare all’ (OMISSIS) la somma di euro 230.086,07, oltre accessori, per prestazioni di lavoro autonomo rese in suo favore dall’opposto.
Avverso la predetta decisione proponeva appello la (OMISSIS) s.p.a..
Con sentenza in data 5-3-2007 la Corte di Appello di Trento, Sezione Distaccata di Bolzano, in parziale riforma della sentenza di primo grado, determinava in lire 88.289.273, da convertirsi in euro, oltre accessori, l’ammontare del credito dell’ (OMISSIS), e condannava la societa’ (OMISSIS) al pagamento delle spese di doppio grado.
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso (OMISSIS), sulla base di quattro motivi.
La (OMISSIS) s.p.a. ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli articoli 409, 646 e 647 c.p.c.. Deduce che il rapporto giornalistico instauratosi tra l’ (OMISSIS) e la (OMISSIS) s.p.a. il 9-6-1997 e continuato ininterrottamente senza soluzione di continuita’ fino al giugno 2000, con la pubblicazione sul quotidiano “(OMISSIS)” di un totale di 2.371 pezzi, a prescindere dalla sua qualificazione come subordinato o autonomo, si concretava in una prestazione d’opera personale continuativa e coordinata, di cui all’ultima parte dell’articolo 409 c.p.c., n. 3. Sia il Tribunale che la Corte di Appello, pertanto, avrebbero dovuto rilavare che la causa introdotta dalla (OMISSIS) s.p.a. con l’opposizione a decreto ingiuntivo nelle forme ordinarie riguardava un rapporto rientrante tra le controversie individuali di lavoro, si sensi del citato articolo 409 c.p.c., e disporre il passaggio dal rito ordinario al rito speciale. L’assoggettamento ab initio della causa al rito del lavoro, peraltro, comportava che l’opposizione a decreto ingiuntivo andava proposta con ricorso depositato in Cancelleria entro il termine di cui all’articolo 641 c.p.c., comma 1; con la conseguenza che, nella specie, essendo stata l’opposizione proposta con atto di citazione, questa avrebbe dovuto essere depositata in Cancelleria nel termine perentorio predetto. Poiche’, al contrario, l’opposizione a decreto ingiuntivo notificato il 29-1-2001 e’ stata proposta con citazione notificata il 2-3-2001 e tale atto non e’ stato depositato entro il termine del 10-3-2001, l’opponente e’ incorsa nella decadenza del diritto di proporre opposizione, rilevabile d’ufficio anche in sede di legittimita’.
Il motivo e’ inammissibile per la novita’ della questione posta, che, presupponendo accertamenti in fatto in ordine alla sussistenza dei requisiti (carattere continuativo, coordinato e prevalentemente personale dell’attivita’ svolta) che connotano il rapporto di collaborazione ai sensi dell’articolo 409 c.p.c., n. 3. (c.d. parasubordinazione), non puo’ essere fatta valere per la prima volta in sede di legittimita’.
Dalla lettura della sentenza impugnata, infatti, si evince che il giudice di primo grado ha condannato la (OMISSIS) s.p.a. a pagare all’ (OMISSIS) la somma di euro 230.086.07, oltre accessori, “per prestazioni di lavoro autonomo” rese in suo favore dall’opposto; e che quest’ultimo, nel costituirsi in appello, si e’ limitato a chiedere il rigetto del gravame, senza dedurre che si trattava di un rapporto di lavoro parasubordinato, ma dando atto di aver agito in giudizio per il pagamento di compensi per “credito di lavoro autonomo relativo a prestazioni svolte negli anni 1997, 1998, 1999 e 2000”.
Cio’ posto, si rammenta che i motivi del ricorso per cassazione devono investire a pena di inammissibilita’ questioni che hanno formato oggetto del giudizio di secondo grado, non essendo consentito in sede di legittimita’ la proposizione di nuove questioni di diritto, ancorche’ rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, quando esse presuppongano o comunque richiedano nuovi accertamenti o apprezzamenti di fatto preclusi alla Corte di Cassazione (tra le tante v. Cass. 9-7-2013 n. 17041; Cass. 13-9-2007 n. 19164; Cass. 17-4-2007 n. 9143; Cass. 27-8-2003 n. 12571; Cass. 24-5-2003 n. 8247).
2) Il rigetto del primo motivo di ricorso comporta l’assorbimento del secondo, con cui viene denunciata la violazione dell’articolo 416 c.p.c., che, in relazione alle cause soggette al rito del lavoro, impone l’obbligo di specifica contestazione delle allegazioni di parte attrice.
3) Con il terzo motivo il ricorrente si duole della violazione degli articoli 2697 e 2223 (recte, 2233) c.c.. Sostiene che la Corte di Appello ha errato nel ritenere che vi fosse stata una contestazione dell’opponente in ordine al quantum, tale da rendere necessaria la rideterminazione del compenso spettante all’opposto. La controparte, infatti, si e’ limitata a sostenere l’esistenza di un accordo in ragione del quale si sarebbe derogato ai minimi tariffari, ma non ha mai contestato la congruita’ dell’importo richiesto dalla controparte rispetto all’attivita’ svolta. Pertanto, non essendo stata provata l’esistenza dell’accordo tra le parti, l’attivita’ svolta avrebbe dovuto essere liquidata sulla base della tariffa professionale, ai sensi dell’articolo 2233 c.c.. Tale norma, infatti, prevede in materia una gerarchia di carattere preferenziale, indicando in primo luogo la pattuizione delle parti, in difetto le tariffe o gli usi, e rimettendone solo in estremo subordine la determinazione al giudice, previo parere dell’associazione professionale.
Il motivo e’ infondato.
Deve premettersi che, in tema di opposizione a decreto ingiuntivo avente ad oggetto il pagamento di prestazioni professionali, la parcella corredata dal parere del competente Consiglio dell’ordine di appartenenza del professionista, mentre ha valore di prova privilegiata e carattere vincolante per il giudice ai fini della pronuncia dell’ingiunzione, non ha – costituendo semplice dichiarazione unilaterale del professionista – valore probatorio nel successivo giudizio di opposizione, nel quale il creditore opposto assume la veste sostanziale di attore e su di lui incombono i relativi oneri probatori ex articolo 2697 c.c., ove vi sia contestazione da parte dell’opponente in ordine all’effettivita’ ed alla consistenza delle prestazioni eseguite o all’applicazione della tariffa pertinente ed alla rispondenza ad essa delle somme richieste. Al fine, inoltre, di determinare il suddetto onere probatorio a carico del professionista e di investire il giudice del potere-dovere di verificare la fondatezza della contestazione mossa dall’opponente, non e’ necessario che quest’ultima abbia carattere specifico, essendo sufficiente anche una contestazione di carattere generico (tra le tante v. Cass. 30-7-2004 n. 14556; Cass. 25-6-2003 n. 10150).
Nella specie, la Corte di Appello ha accertato che vi era stata, da parte dell’opponente, una contestazione, sia pure generica, della correttezza della proposta di liquidazione formulata dall’ (OMISSIS) ed asseverata dall’associazione professionale. Tale valutazione costituisce espressione di un apprezzamento in fatto che avrebbe potuto, in ipotesi, essere censurato solo sotto il profilo del vizio di motivazione, nella specie non dedotto; sicche’ essa non puo’ essere riposta in discussione in questa sede.
A fronte delle contestazioni mosse dall’opponente e del rilievo secondo cui il conteggio posto a base del ricorso per ingiunzione era stato effettuato con riferimento a un dato (tiratura di 40.000 copie al giorno) che non trovava alcuna conferma negli atti di causa (punto, questo, che non ha costituito oggetto di censura da parte del ricorrente), legittimamente il giudice del gravame ha ritenuto di disporre consulenza tecnica d’ufficio onde acquisire elementi di valutazione oggettiva in ordine al pregio della prestazione dell’ (OMISSIS).
Cosi’ statuendo, la Corte territoriale si e’ conformata al principio, affermato dalla giurisprudenza, secondo cui, in tema di compenso per l’attivita’ svolta dal professionista, il giudice, indipendentemente dalla specifica richiesta del medesimo, a fronte di risultanze processuali carenti sul “quantum” ed in difetto di tariffe professionali e di usi, non puo’ rigettare la domanda di pagamento del compenso, assumendo l’omesso assolvimento di un onere probatorio in ordine alla misura del medesimo, bensi’ deve determinarlo, ai sensi degli articoli 1709 e 2225 c.c., con criterio equitativo ispirato alla proporzionalita’ del corrispettivo con la natura, quantita’ e qualita’ delle prestazioni eseguite e con il risultato utile conseguito dal committente (Cass. 18-9-1995 n. 9829).
Non ha pregio, d’altro canto, l’assunto del ricorrente, secondo cui, ai sensi dell’articolo 2233 c.c., in mancanza di un accordo tra le parti sulla misura del compenso, il giudice di merito non avrebbe potuto disporre consulenza tecnica d’ufficio per la determinazione del corrispettivo dovuto all’ (OMISSIS), ma avrebbe dovuto procedere alla relativa liquidazione sulla base della tariffa professionale.
Come e’ noto, il citato articolo 2233 c.c. pone una gerarchia di carattere preferenziale tra i vari criteri di determinazione del compenso per le prestazioni di opera professionale, attribuendo rilevanza, in primo luogo, all’accordo delle parti, in mancanza di tale accordo alle tariffe o agli usi e, da ultimo, alla valutazione del giudice, previo parere dell’associazione professionale.
Nella specie, il ricorrente non ha censurato l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui le tariffe professionali previste in materia di lavoro giornalistico sono prive di cogenza “erga omnes”, costituendo dei semplici parametri indicativi provenienti dall’associazione professionale del settore.
E, in effetti, in relazione alle prestazioni professionali giornalistiche, non esistono vere e proprie tariffe professionali, ma solo una tabella dei “compensi minimi”, varata di anno in anno, con riferimento alla Legge 3 febbraio 1963, n. 69, articoli 2, 11 e 35 dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti; tabella che, in mancanza di specifiche disposizioni legislative che attribuiscano al predetto Ordine Professionale il potere di fissare compensi minimi inderogabili, assume un carattere meramente indicativo e non vincolante.
Deve aggiungersi, comunque, che il ricorrente non ha affatto dedotto che la liquidazione operata dal giudice di appello ha violato i minimi previsti dal tariffario in parola; tariffario che, come si evince dalla lettura della sentenza impugnata, e’ stato tenuto in debito conto dal C.T.U. nel determinare il compenso dovuto all’ (OMISSIS) in relazione alle prestazioni in concreto rese.
Non sussistono, pertanto, le dedotte violazioni di legge.
4) Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c.. Sostiene che la sentenza impugnata ha fatto acriticamente proprie le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, che si palesano erronee e contraddittorie. Rileva, in particolare, che la distinzione operata dal consulente tecnico d’ufficio tra servizi e notizie e’ del tutto arbitraria; che il C.T.U. ha proceduto ad un’analisi a campione, esaminando appena 38 pezzi su 2.371, cioe’ una percentuale di nessuna validita’ statistica; che il consulente, pur avendo affermato che la tiratura per l’individuazione delle tariffe da applicare fa riferimento anche ai quotidiani telematici, ha considerato il semplice dato della tiratura cartacea; che il C.T.U. non ha precisato la fonte del suo convincimento, secondo cui la tiratura media del giornale su cui scriveva l’ (OMISSIS) era di 21.000 copie.
Il motivo non e’ meritevole di accoglimento.
Secondo un principio affermato da questa Corte, la parte che addebita alla consulenza tecnica d’ufficio lacune di accertamento o errori di valutazione oppure si duole di erronei apprezzamenti contenuti in essa (e nella sentenza che l’ha recepita) ha, innanzitutto, l’onere di trascrivere integralmente nel ricorso per cassazione almeno i passaggi salienti e non condivisi e di riportare, poi, il contenuto specifico delle critiche ad essi sollevate, al fine di evidenziare gli errori commessi dal giudice del merito nel limitarsi a recepirla e nel trascurare completamente le critiche formulate in ordine agli accertamenti ed alle conclusioni del consulente di ufficio. Le critiche mosse alla consulenza ed alla sentenza, pertanto, devono possedere un grado di specificita’ tale da consentire alla Corte di legittimita’ di apprezzarne la decisivita’ direttamente in base al ricorso (Cass. 13-6-2007 n. 13845).
Nella specie, il ricorrente non ha riportato ne’ i brani della consulenza contestati ne’ le critiche mosse dall’appellato all’elaborato tecnico nel giudizio di merito.
Ma, anche a prescindere dalla mancata osservanza del principio di autosufficienza del ricorso, si osserva che le deduzioni svolte dal ricorrente si risolvono in sostanziali censure di merito avverso le valutazioni espresse dalla Corte di Appello, la quale, tenendo conto dei rilievi critici mossi (peraltro solo nella comparsa conclusionale) dall’appellato, ha motivatamente ritenuto affidabili le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio. Nel maturare tale convincimento, il giudice del gravame ha dato atto che il C.T.U. ha apprezzato ciascun tipo di prestazione secondo il suo effettivo pregio e risultato, ed ha determinato il complessivo credito dell’ (OMISSIS) in rapporto all’attivita’ dal medesimo effettivamente espletata sulla base dell’effettiva tiratura del quotidiano, dopo aver provveduto alla consultazione degli archivi tenuti dalla datrice di lavoro dei numeri di giornale sui quali i pezzi giornalistici sono comparsi. Il tutto sulla base di argomentazioni congruenti, con cui e’ stato evidenziato, in particolare, che, ai fini della determinazione del compenso dovuto, il C.T.U. ha correttamente distinto tra notizia, articolo e servizio, ed ha altrettanto correttamente fatto riferimento alla tiratura della testata relativamente alla sola edizione del quotidiano rivolta alla Provincia di Bolzano, nella quale comparivano i pezzi dell’ (OMISSIS), non assumendo rilievo il fatto che il giornale (in altra composizione e con altra testata) fosse diffuso anche in altro loco.
Si tratta, all’evidenza, di apprezzamenti in fatto che, in quanto supportati da una motivazione immune da vizi logici e giuridici, si sottraggono al sindacato di legittimita’, essendo riservato al giudice di merito il potere di individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute decisive.
5) Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese sostenute dalla resistente nel presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in euro 7.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

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