Suprema Corte di Cassazione
sezione II
sentenza 30 marzo 2016, n. 12840
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PRESTIPINO Antonio – Presidente
Dott. TADDEI M.B. – Consigliere
Dott. VERGA G. – rel. Consigliere
Dott. CARRELLI PALOMBI Roberto – Consigliere
Dott. AIELLI Lucia – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 324/2014 CORTE APPELLO di PALERMO, del 04/04/2014;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 15/01/2016 la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIOVANNA VERGA;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. BILLITTERI Luigi che ha concluso per il rigetto del ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con sentenza in data 4 aprile 2014 la Corte d’appello di Palermo confermava la sentenza del Tribunale di Sciacca che il 13 maggio 2013 aveva condannato (OMISSIS) perche’ ritenuta colpevole del reato di invasione di edifici pubblici per essersi introdotta, con la sua famiglia, al fine di occuparlo o di trarne altrimenti profitto, nell’immobile di proprieta’ dello IACP di Trapani.
Ricorre per cassazione l’imputata deducendo che la sentenza impugnata e’ incorsa in violazione e falsa applicazione degli articoli 633, 639 bis e 54 c.p. lamenta che i giudici di merito hanno omesso di valutare gli elementi favorevoli emersi nel corso dell’istruttoria dibattimentale. Ritiene operante l’esimente di cui all’articolo 54 c.p. considerato che la condotta e’ stata posta in essere non solo per soddisfare le esigenze abitative ma anche per la necessita’ di tutelare i componenti della famiglia da danni gravi alla persona fra i quali deve essere compreso la violazione del diritto primario di abitazione. Rileva che la donna e’ stata abbandonata dal marito con quattro figli e che in sede di separazione le era stata assegnata la casa familiare e che quindi l’occupazione non poteva considerarsi arbitraria.
Il ricorso manifestamente infondato.
Certa e’ l’occupazione dell’appartamento almeno dal 1990, non contestata neppure dalla ricorrente che si e’ limitata a lamentare il mancato riconoscimento della sussistenza dell’esimente dello stato di necessita’ considerata la precaria situazione economica in cui versava, la presenza di quattro figli e la mancanza di una abitazione. Sul punto deve ricordarsi che la giurisprudenza di questa Corte (N. 4292 del 2012 Rv. 251800, N. 19147 del 2013 Rv. 255412 n. 28067 del 2015 Rv. 264560) ha avuto modo di affermare che il dettato dell’articolo 54 c.p., che presuppone l’attualita’ del pericolo richiede che, nel momento in cui l’agente agisce contra ius – al fine di evitare “un danno grave alla persona” – il pericolo sia imminente e, quindi, individuato e circoscritto nel tempo e nello spazio. Non puo’ infatti parlarsi di attualita’ del pericolo in tutte quelle situazioni non contingenti, caratterizzate da una sorta di cronicita’ essendo destinate a protrarsi nel tempo, quale appunto l’esigenza di una soluzione abitativa. Infatti, ove, nelle suddette situazioni, si ritenesse la configurabilita’ dello stato di necessita’, si effettuerebbe una torsione interpretativa del dettato legislativo in quanto si opererebbe una inammissibile sostituzione del requisito dell’attualita’ del pericolo con quello della permanenza, alterando cosi’ il significato e la ratio della norma che, essendo di natura eccezionale, necessariamente va interpretata in senso stretto. Invero, il pericolo non sarebbe piu’ attuale (rectius: imminente) bensi’ permanente proprio perche’ l’esigenza abitativa – ove non sia transeunte e derivante dalla stretta ed immediata necessita’ “di salvare se’ od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona” e’ necessariamente destinata a prolungarsi nel tempo. Va, poi, osservato che, venendo in rilievo il diritto di proprieta’, un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’articolo 54 c.p., alla luce dell’articolo 42 Cost., non puo’ che pervenire ad una nozione che concili l’attualita’ del pericolo con l’esigenza di tutela del diritto di proprieta’ del terzo che non puo’ essere compresso in permanenza perche’, in caso contrario, si verificherebbe, di fatto, un’alterazione della destinazione della proprieta’ al di fuori di ogni procedura legale o convenzionale (cfr. sul punto, Cass. 35580/2007 riv. 237305; Cass. 7183/2008 riv. 239447).
In conclusione, la doglianza deve ritenersi infondata in quanto una condizione di difficolta’ economica non puo’ legittimare, ai sensi dell’articolo 54 c.p., un’occupazione permanente di un immobile per risolvere, in realta’, in modo surrettizio, un’esigenza abitativa.
Il ricorso e’ pertanto inammissibile e la ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 da versare alla cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla cassa delle ammende.
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