Suprema Corte di Cassazione
sezione II
sentenza 30 maggio 2014, n. 12221
Ritenuto in fatto
1. – È impugnata la sentenza della Corte d’appello di Messina, depositata l’8 febbraio 2008, che ha riformato, limitatamente al capo riguardante le spese di lite, la sentenza del Tribunale di Messina di rigetto della domanda proposta da C.A. e L. nei confronti di I.M. .
1.1. – Nel 1992 le sigg.re C. avevano convenuto in giudizio I.M. perché fosse accertata la simulazione di atti compiuti dal genitore, Ca.An. , in favore di costei, nel periodo di convivenza che aveva preceduto il matrimonio civile, celebrato nel 1972, tra lo stesso C. e la s ig.ra I. .
La prospettata simulazione aveva ad oggetto un atto di vendita di immobile, che in realtà celava una donazione, e due atti di acquisto di immobili, che sarebbero stati effettuati con denaro del sig. C. . Tali atti, secondo le attrici, costituivano altrettante donazioni indirette, lesive della quota riservata per legge ai legittimari, e pertanto esse avevano chiesto l’attribuzione della quota di riserva sui cespiti indicati, previa riunione fittizia dell’asse, e la condanna della convenuta alla reintegra e al rendiconto.
La sig.ra I. si era costituita per resistere alle domande delle attrici, aveva eccepito l’inammissibilità e improponibilità della domanda, sul rilievo che le attrici non avevano accettato l’eredità con beneficio d’inventario.
In via riconvenzionale, la convenuta aveva chiesto la condanna delle attrici, in qualità di eredi di Ca.An. , al risarcimento dei danni che costui aveva arrecato alla proprietà di (omissis) nel periodo di esercizio dell’usufrutto che la stessa I. gli aveva donato, nonché la revoca ex tunc della donazione di usufrutto di immobile, in ragione della grave ingiuria commessa ai suoi danni dal C. , con il manoscritto prodotto dalle attrici, e infine la condanna di queste ultime a restituire le rendite percepite dal loro dante causa, durante l’usufrutto, maggiorate di interessi e rivalutazione monetaria.
Il Tribunale di Messina aveva dichiarato improponibile ed inammissibile l’azione di simulazione, rilevando che la stessa era in ogni caso prescritta; aveva rigettato le domande riconvenzionali; aveva compensato le spese del giudizio per un quinto, ponendo i restanti quattro quinti a carico delle attrici.
1.3. – Le sigg.re C. proponevano appello, chiedendo l’accoglimento delle domande; la sig.ra I. si costituiva e proponeva a sua volta appello incidentale, per l’accoglimento delle domande riconvenzionali.
2. – La Corte d’appello di Messina confermava la decisione del primo giudice, riformando il solo capo della sentenza che riguardava le spese.
2.1. – Osservava la Corte d’appello che non sussistevano le condizioni previste dall’art. 564, primo comma, cod. civ. per la proposizione dell’azione di riduzione nei confronti di terzi, tale essendo la sig.ra I. .
Mancava infatti la prova dell’accettazione dell’eredità di Ca.An. con beneficio d’inventario, né risultava che le attrici fossero state totalmente pretermesse dal testatore, ovvero che il de cuius si fosse spogliato in vita di tutto il patrimonio, con donazioni. In proposito, la Corte d’appello rilevava che soltanto all’udienza del 7 novembre 1994 il difensore delle attrici C. aveva dichiarato che non era stato compiuto alcun atto di accettazione dell’eredità del padre, e, inoltre, che dai documenti prodotti emergeva che il defunto Ca.An. aveva ricevuto beni in eredità sia dal padre, nel 1964, sia dalla madre, nel 1981, e che non risultavano atti di disposizione del patrimonio di questi, quanto meno dopo l’apertura della successione della madre.
2.1. – La Corte d’appello riteneva priva di fondamento l’azione di nullità delle donazioni dissimulate, proposta dalle sigg.re C. in alternativa all’azione di riduzione. Sussistevano, infatti, i requisiti di forma e di sostanza della donazione, in riferimento alla vendita della nuda proprietà del fondo sito in (omissis) , e, con riguardo agli atti di vendita intercorsi tra la sig.ra I. e soggetti terzi, si doveva considerare che, in quanto donazioni indirette, era sufficiente l’osservanza delle forme prescritte per il negozio tipico utilizzato per realizzare lo scopo di liberalità.
2.3. – La Corte d’appello dava atto della fondatezza del quarto motivo di appello, con il quale si contestava la dichiarata prescrizione dell’azione di simulazione, evidenziando che lo stesso rimaneva assorbito dal rigetto del primo motivo;
2.4. – Anche l’appello incidentale era rigettato.
La Corte distrettuale osservava che non era possibile accertare quali fossero le condizioni del fondo sito in località (omissis) , al momento della costituzione e dell’estinzione dell’usufrutto costituito a favore di Ca.An. dalla sig.ra I. , e dunque mancavano i presupposti per disporre CTU ai fini della quantificazione del lamentato danno.
Quanto alla revocazione per ingratitudine della donazione dell’usufrutto, difettava l’interesse ad agire, giacché l’usufrutto si era estinto con la morte del sig. C. , avvenuta nel 1987, mentre gli effetti della revocazione avrebbero potuto retroagire fino alla domanda giudiziale, proposta con comparsa di costituzione del 1993.
Risultava infine inammissibile, in quanto nuova, la domanda di condanna delle attrici in proprio al risarcimento dei danni, per l’ipotesi di non riconducibilità al de cuius dello scritto in assunto ingiurioso.
3. – Per la cassazione della sentenza d’appello hanno proposto ricorso C.A. e L. , sulla base di due motivi.
Resiste con controricorso I.M. e propone ricorso incidentale, sulla base di due motivi.
Le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza.
Considerato in diritto
1. – Preliminarmente deve essere disposta la riunione dei ricorsi, in quanto connessi.
Nel merito, entrambi i ricorsi devono essere rigettati.
1.1. – Con il primo motivo del ricorso principale, le ricorrenti deducono violazione di legge in riferimento agli artt. 459, 457, 557 e 2697 cod. civ. e vizio di motivazione.
La Corte d’appello di Messina avrebbe erroneamente applicato le disposizioni in tema di successione dell’erede pretermesso, senza considerare che le sigg.re C. avevano agito in qualità di legittimarie pretermesse, e che pertanto non dovevano provare di aver accettato l’eredità paterna con beneficio d’inventario.
Si contesta, inoltre, l’inesattezza oltre che l’irrilevanza del richiamo, contenuto nella sentenza impugnata, al patrimonio che il de cuius Ca.An. aveva acquisito per successione alla madre, posto che non vi era prova dell’esistenza di tale patrimonio, e, comunque, le sigg.re C. non avevano compiuto alcun atto di accettazione dell’eredità paterna.
In ossequio al disposto dell’art. 366-bis cod. proc. civ., applicabile ratione temporis, le ricorrenti hanno formulato il quesito di diritto nei seguenti termini: “se, nell’ipotesi di azione di riduzione delle donazioni eseguite in favore di terzo non erede, proposta da legittimario pretermesso, nella successione aperta ha intestato, costui, impugnando tutti gli attui con cui il defunto si è spogliato dell’intero patrimonio, non ha l’onere di provare, ai sensi dell’art. 564 cod. civ., di avere accettato l’eredità con beneficio d’inventario: onere che, invece, grava sull’erede pretermesso, sicché solo il terzo donatario ha l’obbligo di provare la sussistenza, oltre quelli donati, di beni di cui avrebbe beneficiato il legittimario pretermesso”.
1.2. – La doglianza è infondata.
Va osservato preliminarmente che sono prospettate due censure ma non è chiarita la portata del vizio di motivazione, né vi è il necessario momento di sintesi, sicché il motivo è in parte inammissibile.
Limitando l’esame alla censura di violazione di legge, dal quesito di diritto emerge che le ricorrenti assumono di aver agito in qualità di legittimarle pretermesse nei confronti della donataria I. , e rilevano che il de cuius si sarebbe spogliato dell’intero patrimonio con gli atti oggetto di impugnazione nel presente giudizio.
Le ricorrenti in tal modo postulano l’esistenza di un fatto, e cioè che il de cuius si fosse spogliato di tutti i suoi beni con atti di disposizione inter vivos, che non è stato oggetto di valutazione dal parte del giudice d’appello, perché non allegato.
La Corte distrettuale, infatti, dopo aver riepilogato le condizioni previste dall’art. 564 cod. civ. per l’esercizio dell’azione di riduzione nei confronti di terzo non erede, ha evidenziato che le sigg.re C. avevano agito affermando che gli atti da esse impugnati dovevano ritenersi in frode alla quota che la legge riserva ai legittimari, ma non avevano specificato se alla morte del genitore si fosse aperta una successione testamentaria o legittima, e soltanto all’udienza del 7 novembre 1994, il loro difensore aveva dichiarato che esse non avevano compiuto alcun atto di accettazione dell’eredità del padre “da questi alienata con vendite simulate e donazioni”.
1.3. – Occorre richiamare brevemente la giurisprudenza di questa Corte sul tema.
La totale pretermissione del legittimario si può avere sia nella successione testamentaria, sia nella successione ab intestato. Il legittimario può dirsi pretermesso nella successione testamentaria quando il testatore ha disposto a titolo universale dell’intero asse a favore di altri. In tal caso, ai sensi dell’art. 457, secondo comma, cod. civ., il legittimario non è chiamato all’eredità fino a quando l’istituzione testamentaria di erede non venga ridotta nei suoi confronti. Nella successione ab intestato, la pretermissione si verifica qualora il de cuius si sia spogliato in vita dell’intero suo patrimonio con atti di donazione, sicché, stante l’assenza di beni relitti, il legittimario viene a trovarsi nella necessità di esperire l’azione di riduzione a tutela della situazione di diritto sostanziale che la legge gli riconosce. A ciò consegue che il legittimario pretermesso, sia nella successione testamentaria sia in quella ab intestato, il quale impugni per simulazione un atto compiuto dal de cuius a tutela del proprio diritto alla reintegrazione della quota di legittima, agisce in qualità di terzo e non in veste di erede, condizione che acquista, solo in conseguenza del positivo esercizio dell’azione di riduzione, e come tale non è tenuto alla preventiva accettazione dell’eredità con beneficio di inventario (Cass., sezione II, sentenza n. 16635 del 2013).
1.4. – Nel caso in esame, pur dovendosi rilevare che la Corte d’appello ha erroneamente definito le sigg.re C. eredi ab intestato pretermesse, il ragionamento svolto dalla predetta Corte rimane valido, poiché il fatto presupposto dell’assenza di beni relitti dal de cuius non è stato allegato né provato, mentre sussistevano, secondo la stessa Corte, elementi di segno contrario, in quanto dalla documentazione versata in atti dalle attrici/appellanti emergeva una consistenza patrimoniale del de cuius, quanto meno per successione alla madre deceduta nel 1981, che rendeva dubbia l’assenza di beni relitti al momento del decesso del sig. C. , avvenuto nel (…).
2. – Con il secondo motivo, le ricorrenti deducono la violazione degli artt. 557, 564 e 2697 cod. civ., nonché degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ..
Si contesta che la Corte d’appello avrebbe escluso la qualità di legittimarie pretermesse in capo alle sigg.re C. facendo riferimento generico a presunti documenti, prodotti dalle medesime, dai quali emergerebbe la sussistenza del patrimonio del de cuius, proveniente dalla successione alla madre, avvenuta nel 1981, in assenza di prova di ulteriori atti di disposizione.
2.1. – La doglianza è infondata.
Richiamato quanto detto in precedenza, si deve ribadire che la ratio decidendi su cui poggia la decisione della Corte d’appello è la carenza di prova in ordine alla totale pretermissione delle ricorrenti. Rispetto a tale ratio, il rilievo del fatto storico della successione, nel 1981, del sig. C. alla madre assume funzione rafforzativa, ed è quindi argomento ad abundantiam, la cui eventuale incongruità ovvero genericità non avrebbe ricadute sulla decisione impugnata.
3. – Con il primo motivo del ricorso incidentale è dedotto vizio di motivazione, anche in violazione degli artt. 112 cod. proc. civ. e 2697 cod. civ., in riferimento alla mancata ammissione della CTU finalizzata a quantificare i danni richiesti in via riconvenzionale per il deterioramento del fondo di proprietà I. , nel periodo in cui il sig. C. aveva esercitato l’usufrutto.
Sulla premessa che la consulenza tecnica era, nella specie, l’unico mezzo idoneo a supportare la decisione sulla domanda risarcitoria, la ricorrente incidentale ritiene insufficiente e contraddittoria la motivazione, espressa dalla Corte d’appello, secondo cui la mancanza di prove sulle condizioni del fondo prima e dopo l’esercizio dell’usufrutto rendeva inutile ogni accertamento. La Corte d’appello aveva trascurato di considerare che la scienza agraria è in condizione di accertare, anche a distanza di tempo, lo stato dei terreni, al momento della riserva di usufrutto e alla data di estinzione dello stesso.
3.1. – La doglianza è infondata.
Prescindendo dal rilievo che il motivo è carente del momento di sintesi, va osservato che la Corte d’appello ha motivato adeguatamente sulla inutilità di disporre la consulenza tecnica d’ufficio ai fini della prova del danno da deterioramento del fondo, senza che fossero state provate le condizioni del fondo stesso al momento della costituzione e a quello dell’estinzione dell’usufrutto.
4. – Con il secondo motivo, la ricorrente incidentale deduce vizio di motivazione in riferimento alla statuizione sulla compensazione delle spese processuali, anche in violazione degli artt. 112 e 92 cod. proc. civ. e 2697 cod. civ..
Si contesta che la ritenuta reciproca soccombenza delle parti, con cui la Corte d’appello ha disposto, in riforma della sentenza di primo grado, la compensazione integrale delle spese di entrambi i gradi del giudizio, sarebbe argomento viziato da illogicità, nonché da omessa, contraddittoria e carente motivazione.
Secondo la ricorrente, infatti, il principio della soccombenza reciproca sarebbe stato inapplicabile se la Corte d’appello avesse disposto la CTU richiesta dalla stessa parte, e da ciò discenderebbe il denunciato vizio.
4.1. – La doglianza è all’evidenza infondata.
La Corte d’appello ha motivato adeguatamente l’applicazione delle regole in tema di regolamento delle spese processuali, che consentono la compensazione integrale a fronte della soccombenza reciproca.
6. – In applicazione del medesimo principio, sono compensate tra le parti le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, li rigetta entrambi e dichiara compensate le spese del giudizio di cassazione.
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