SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE II PENALE

SENTENZA 25 luglio 2012, n.30447

 

Ritenuto in fatto

 

Con sentenza in data 22 novembre 2011, la Corte di appello di Palermo, 2^ sezione penale, confermava la sentenza del Tribunale in sede, sezione distaccata di Partinico appellata da T.A. , con la quale questi era stato dichiarato colpevole di truffa aggravata in concorso (artt. 110, 61 n. 11, 640 cod. pen.) con F.G. (deceduto) e Fo.Pi. (giudicato separatamente) in danno della Compagnia Assicurativa Zurich Assicurazioni e degli eredi di P.G. (deceduto il (omissis)) attuata mediante la conversione di una polizza intestate al suddetto P. e relativa al veicolo VW Golf tg. (omissis) in altra polizza intestata al F. e relativa a veicolo FIAT Uno tg. (omissis) mediante utilizzo di falsa certificazione ACI datata 29 ottobre 2004 procurando al F. l’ingiusto profitto del riconoscimento di classe di merito 3 invece di 14 con conseguente pagamento di premio di importo inferiore al dovuto e cagionando danno agli eredi P. ai quali pervenivano richieste di risarcimento i danni per sinistri cagionati dal veicolo del F. ed era stato condannato, riconosciute le attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, alla pena, sospesa alle condizioni di legge, di quattro mesi di reclusione e quattrocento Euro di multa nonché al risarcimento dei danni in favore di P.M. e P.R. . La Corte territoriale riteneva fondata la prova della responsabilità sulla scorta dell’accertato ruolo decisivo assunto da T. (sub-agente assicurativo), che aveva trasmesso via fax tramite utenza telefonica del Comune di (omissis) (alle cui dipendenze lavorava) certificato falso dell’ACI attestante il trattenimento della carta di circolazione per effettuare un preteso cambio di proprietà in favore di P. della vettura intestata al F. ; della conseguente variazione dell’intestazione della polizza assicurativa di tale ultimo veicolo con vantaggio di classe di merito inferiore (3 anziché 14); dell’accertata permanenza nella disponibilità di F. del veicolo FIAT Uno (alla cui guida i suoi figli si rendevano responsabili di sinistri stradali il (omissis) ); dell’accertamento che P. aveva manifestato proprio a T. l’intenzione di rottamare la sua VW Golf (rottamazione avvenuta il (omissis) ) in ragione delle sue precarie condizioni di salute; del rinvenimento, in occasione di perquisizione, nella disponibilità di T. delle copie fotostatiche delle polizze assicurative sia della FIAT Uno sia della VW Golf e dell’attestato del falso passaggio di proprietà. Il trattamento sanzionatorio era adeguato sussistendo i presupposti per ritenere l’aggravante di cui all’art. 61 n. 11 cod. pen. mentre difettavano quelli dell’invocata attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen. dovendo riguardarsi alla condotta nella sua globalità in ragione del danno economico arrecato alle persone offese, condotta che convinceva anche della correttezza del giudizio di valenza. La particolare calliditas dimostrata escludeva il riconoscimento anche dell’invocato beneficio della non menzione.

Contro tale decisione ha proposto tempestivo ricorso l’imputato, a mezzo del difensore, che ne ha chiesto l’annullamento per i seguenti motivi:

1 – violazione di legge ex art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 110, 81 e 640 cod. pen. nonché all’art. 530 c. 2 cod. proc. pen. sotto in profila della violazione e/o erronea applicazione della legge penale nonché dell’omessa e/o insufficiente motivazione della sentenza per avere la sentenza impugnata trascurato di valutare sia le diverse dichiarazioni rese all’udienza del 1.6.2009 dal testimone O.G.B. (cognato di P.G. , che aveva precisato che dopo la rottamazione della VW Golf questi aveva deciso di sospendere la polizza assicurativa perché voleva comprare un’altra macchina) sia la memoria del 20.4.2009 a firma di T. (nella quale si spiegava che la documentazione, incluso il certificato ACI, gli era stata consegnata da F. anche per conto di P.G. per recapitarla all’Agenzia di (…) della Zurigo Assicurazioni, di cui era titolare Fo. ; non aveva tenuto conto di quanto dichiarato da Fo. che aveva chiarito che T. era estraneo all’organizzazione dell’agenzia, in quanto collaboratore di Salvia Leonardo unico ‘produttore’ su (omissis). In conclusione non poteva escludersi che P. e F. si conoscessero e che quindi all’insaputa di P.M. si fosse raggiunto un accordo per il trasferimento in favore del primo della proprietà della FIAT Uno. Erroneamente la Corte di merito ha accreditato le dichiarazioni di P.M. pur essendovi in atti la prova contraria costituita dalle dichiarazioni di O. ;

2 – violazione ex art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione all’aggravante prevista dall’art. 61 n. 11 cod. pen. ed erronea applicazione della legge penale nonché insufficiente motivazione della sentenza, per non avere T. mai ricevuto alcun mandato dalla Zurich quale sub-agente o procacciatore di affari, dato risultante anche dai tabulati acquisiti dalla Guardia di Finanza e dalle dichiarazioni di Fo. , sicché, in difetto di querela, la sentenza va cassata;

3 – violazione ex art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione all’art. 62 n. 4 cod. pen. sotto il profilo dell’omessa e/o insufficiente motivazione perché il danno da considerare è solo quello patrimoniale cagionato alla persona offesa, danno insussistente per gli eredi di P. e di modestissima entità per la compagnia di assicurazione;

4 – violazione ex art. 606 lett. e) cod. proc. pen. in relazione all’artt. 175 Cod. Pen. per omessa e/o contraddittoria motivazione per la genericità della motivazione adottata che non soddisfa l’esigenza voluta dalla legge secondo la quale, per costante giurisprudenza, la valutazione va operata in base alle circostante indicate dall’art. 133 cod. pen. anche perché in contraddizione con la valutazione positiva già operata attraverso il riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena.

 

Considerato in diritto

 

1. I primi due motivi di ricorso sono dedotti in maniera inammissibile, perché sollecitano una alternativa valutazione della vicenda processuale attraverso la sottoposizione in questa sede del risultato probatorio dell’istruttoria dibattimentale, la cui considerazione si assume essere stata omessa, in ipotesi di sentenza di appello conforme a quella di primo grado.

Come noto, la formula novellata dell’art. 606 c. 1 lett. e) c.p.p. ha introdotto come nuova ipotesi di vizio della motivazione (oltre alla mancanza e alla manifesta illogicità) la contraddittorietà della stessa, risultante non soltanto dal testo del provvedimento impugnato, ma anche ‘da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame’.

Il dato normativo lascia inalterata la natura del controllo del giudizio di cassazione, che può essere solo di legittimità. Non si fa carico alla Suprema Corte di formulare un’ ulteriore valutazione di merito. Si estende soltanto la congerie dei vizi denunciabili e rilevabili. Il nuovo vizio è quello che attiene sempre alla motivazione ma che individua come tertium comparationis, al fine di rilevarne la mancanza l’illogicità o la contraddittorietà, non solo il testo del provvedimento stesso ma ‘altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame’. L’espressione adottata (‘altri atti del processo’) deve essere interpretata non nel senso, limitato, di atti a contenuto valutativo (come gli atti di impugnazione e le memorie difensive) ma anche in quello di atti a contenuto probatorio (come i verbali) al fine di rimediare al vizio della motivazione dipendente dalla divaricazione tra le risultanze processuali e la sentenza. La novella normativa introduce così due nuovi vizi definibili come: 1) travisamento della prova, che si realizza allorché nella motivazione della sentenza si introduce un’informazione rilevante che non esiste nel processo; 2) omessa valutazione di una prova decisiva ai fini della decisione. Attraverso l’indicazione specifica della prova che si assume travisata o omessa si consente alla corte di cassazione di verificare la correttezza della motivazione (sotto il profilo della sua non contraddittorietà e completezza) rispetto al processo. Questo ovviamente nel caso di decisione di appello difforme da quella di primo grado. Ed invero in caso di c.d. doppia conforme il limite del devolutum non può essere valicato ipotizzando recuperi in sede di legittimità (Cass. – Sez. 2, 22.3-20.4.2006 n. 13994; Cass. Sez. 2. 12-22.12.2006 n. 42353; Cass. Sez. 2, 21.1-7.2.2007 n. 5223).

Il ricorrente avrebbe quindi dovuto evidenziare di aver rappresentato con l’appello il risultato probatorio del dibattimento per poter poi denunciare il vizio di mancanza di motivazione, in relazione all’omessa considerazione delle deduzioni difensive. A tanto non ha adempiuto incorrendo nei vizio di genericità, anche perché, comunque, non ha provveduto ad allegare al ricorso i verbali delle dichiarazioni la cui considerazione si lamenta essere stata omessa (violazione della regola della c.d. autosufficienza del ricorso: vedi per tutte Cass. Sez. 5, 22.1-26.3.2010 n. 11910) e di indicare la modalità di acquisizione (si riferisce il contenuto delle dichiarazioni di Fo. rese nel corso delle indagini, nonostante risulti dalla sentenza che questi sia stato imputato e processato separatamente).

2. Il terzo motivo di ricorso è infondato.

La sentenza impugnata ha riportato la massima giurisprudenziale secondo la quale ‘la sussistenza della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità in riferimento ai delitti contro il patrimonio non ha riguardo soltanto al valore della cosa oggetto materiale del reato ma anche alla condotta dell’imputato nella sua globalità’ (Cass. Sez. 2, 13.5.2010 n. 21014), massimazione imprecisa e non aderente alla motivazione della citata sentenza di legittimità che pronunciava in materia attinente al delitto di rapina, motivazione che, per chiarezza espositiva, si riporta:

‘Va, comunque, ricordato che il disposto della legge fa riferimento al ‘danno patrimoniale di speciale tenuità’ cagionato alla persona offesa dal reato che non si identifica con il solo valore della refurtiva in caso di rapina. Quando il legislatore ha voluto fare riferimento al valore della cosa oggetto del reato lo ha detto espressamente, come nel caso del furto punibile a querela dell’offeso se il fatto è commesso su ‘cose di tenue valore’ (art. 626 c.p., n. 2). La ‘tenuità’, pertanto, si contrappone alla ‘gravità’ e lo stesso riferimento normativo alla gravità piuttosto che all’entità del danno invita ad una vantazione il più possibile completa del danno;

in altri termini, il valore della cosa che costituisce l’oggetto materiale del reato non necessariamente esaurisce la gravità del danno che rileva ai fini in esame, dovendosi anche, in ipotesi, esaminare la condotta dell’imputato che ha aggredito la parte offesa, spingendola a terra, tappandogli la bocca con le mani, impedendogli di chiedere aiuto e di respirare, nonché sferrandogli un pugno al volto’.

Ha altresì erroneamente fatto riferimento a canone ermeneutico che si attaglia alla diversa attenuante di cui al comma 2 dell’art. 648 cod. pen. del ‘fatto’ di particolare tenuità (tanto che, testualmente, si legge in sentenza il riferimento alla “res’ ricettata).

Tuttavia va rammentato che (anche se in tema di delitto di ricettazione), ai fini della sussistenza della circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità1, non rileva solo il valore economico della cosa, ma anche il complesso dei danni patrimoniali oggettivamente cagionati alla persona offesa dal reato come conseguenza diretta del fatto illecito e perciò’ ad esso riconducibili, la cui consistenza va apprezzata in termini oggettivi e nella globalita1 degli effetti. (Cass. SU 12.7.2007 n. 35535).

Le Sezioni Unite, nella ora citata sentenza hanno giustificato il citato principio di diritto con le argomentazioni che di seguito si riportano, per quel che in questa sede rileva.

‘La base di partenza non può che essere il testo letterale del disposto dell’art. 62 c.p., n. 4. Sulla base di tale testo, si può formulare una prima osservazione, cioè che la giurisprudenza quando dibatte sul valore economico della cosa ricettata trascura di considerare che il disposto della legge fa riferimento al ‘danno patrimoniale di speciale tenuità’ cagionato alla persona offesa dal reato e non al semplice valore della cosa ricettata. Quando il legislatore ha voluto fare riferimento al valore della cosa oggetto del reato lo ha detto espressamente, come nel caso del furto punibile a querela dell’offeso se il fatto è commesso su ‘cose di tenue valore’ (art. 626 c.p., n. 2). Si può anche ricordare che la disposizione in esame trova riscontro in quella dell’art. 431 codice penale Zanardelli, che, invece, faceva riferimento, per l’aumento o la diminuzione della pena, al ‘valore della cosa che ha formato oggetto del delitto’ o al ‘danno recato’, con ciò distinguendo chiaramente i due termini di riferimento. Anzi, il richiamo alla ‘tenuità’ del danno e non alla sua semplice ‘entità’ rende ancora più evidente che il punto di riferimento per la valutazione in merito all’applicabilità dell’attenuante in questione non può essere il semplice valore oggettivo della cosa ricettata. La circostanza attenuante comune di cui all’art. 62 c.p., n. 4 si contrappone alla circostanza aggravante comune di cui all’art. 61 c.p., n. 7, l’avere ‘cagionato alla persona offesa un danno patrimoniale di rilevante gravità’. La ‘tenuità’, pertanto, si contrappone alla ‘gravità’ e lo stesso riferimento normativo alla gravità piuttosto che all’entità del danno invita ad una valutazione il più possibile completa del danno; in altri termini, il valore della cosa che costituisce l’oggetto materiale del reato non necessariamente esaurisce la gravità del danno che rileva ai fini in esame.’.

‘Pertanto, come chiaramente discende dalla stessa formulazione letterale della norma, agli effetti dell’attenuante in questione ciò che effettivamente rileva è il danno cagionato dal reato, che nel suo significato più proprio è quello giuridicamente considerabile, cioè, quello per cui è data l’azione di risarcimento, tenendo ben presente che il danno risarcibile che il reato può determinare può essere elemento costitutivo dell’incriminazione, ma potrebbe anche essere pregiudizio inerente all’aggressione del bene protetto o conseguenza diretta scaturente dall’offesa tipica. Risulta allora evidente che la chiave di lettura dell’art. 62 c.p., n. 4 (ed anche dell’art. 61 c.p., n. 7), è offerta dall’art. 185 c.p., che7 senza alcun riferimento al titolo ed alla collocazione sistematica del reato e, quindi, all’interesse primario da esso previsto e tutelato, concerne l’obbligo del risarcimento in via civile del danno, di cui il reato stesso in concreto sia stato causa immediata. L’espressione danno ‘cagionato’ di cui all’art. 62 c.p., n. 4 trova perfetta corrispondenza nell’art. 185, che fa riferimento appunto al danno ‘cagionato’ dal reato, esprimendo il concetto che tra l’azione (o l’omissione) e il danno deve esistere un rapporto di causa ad effetto: ciò che rileva, appunto, è che il danno sia conseguenza diretta del fatto illecito a prescindere dalla riferibilità al momento consumativo dello stesso…..’. ‘Inoltre, perché si possa invocare l’applicazione di una circostanza attenuante è necessario che sussista la prova certa del peculiare fatto che è invocato a fondamento della stessa. Lo stabilire se le risultanze processuali forniscano tale dimostrazione spetta al giudice di merito, il cui giudizio, quando è sorretto da logica ed adeguata motivazione, è incensurabile in cassazione’.

Pertanto deve ritenersi che la motivazione dei giudici di merito, ancorché imprecisa o erronea per le ragioni indicate, abbia inteso riferirsi ad una valutazione complessiva del danno.

3. Il quarto motivo di ricorso è infondato.

Ed invero il beneficio della non menzione della condanna di cui all’art. 175 cod. pen. è fondato sul principio dell’emenda’, e tende a favorire il processo di recupero morale e sociale, sicché la sua concessione è rimessa all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, e non è necessariamente conseguenziale a quella della sospensione condizionale della pena, fermo restando tuttavia l’obbligo del giudice di merito di indicare le ragioni della mancata concessione sulla base degli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. (Cass. Sez. 4, 14.7.2011 n. 34380).

La valutazione negativa fondata sulla particolare intensità del dolo non è pertanto censurabile in questa sede.

4. Il ricorso deve in conseguenza essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Tenuto conto che la truffa si è consumata in epoca successiva al 29 ottobre 2004 (data della falsa certificazione ACI, sulla base della quale è stato stipulato il contratto di assicurazione con attribuzione di classe di merito inferiore a quella effettiva con conseguente danno per la compagnia di assicurazione e quindi per gli eredi di P. ) e che va computato comunque anche il periodo di

sospensione della prescrizione di giorni settanta (dal 20.07 al 20.09.2009) per rinvio disposto a richiesta del difensore e giustificato con ordinanza che non è stata oggetto di impugnazione, la prescrizione non è ancora maturata.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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