Suprema Corte di Cassazione
sezione II
sentenza 23 marzo 2016, n. 5806
Considerato in fatto
Con ordinanza in data 7/10 febbraio 2011 il Tribunale di Roma, in riforma del decreto precedentemente emesso il 18 dicembre 2009, liquidava in favore dell’avv. A.G. l’importo complessivo di Euro 1.970,50 per onorari e diritti, oltre spese ed accessori.
Tale liquidazione avveniva a seguito di ricorso per la rideterminazione del compenso professionale relativo all’attività svolta dal legale nella causa n. 51369/2006, con il patrocinio a spese dello Stato, a beneficio di H.H.F. per il riconoscimento dello status di rifugiato politico.
Avverso la suddetta ordinanza propone ricorso, ai sensi dell’art. 111, co. 7 della Costituzione, l’A. con atto affidato a cinque ordini di motivi.
Non hanno svolto attività difensiva le parti intimate.
Ritenuto in diritto
1.- Con il primo motivo si censura il vizio di “violazione dell’articolo unico della l. 7.11.1957, n. 1051, in combinazione con l’art. 6, co. 5, secondo periodo, del d.m. n. 127 del 2004 (art. 360, co. I, n. 3 del c.p.c.)”.
Nella sostanza il ricorrente deduce che non sia stata adeguatamente valutata la “particolare importanza della causa”.
E, quindi, che la liquidazione operata con l’impugnata ordinanza abbia, di fatto, “negato in concreto le buone ragioni del ricorrente”.
Il motivo è infondato.
L’adito Tribunale di Roma ha, con l’ordinanza gravata, riconosciuto e applicato il principio relativo alla particolare importanza dell’attività svolta.
Lo stesso Tribunale ha innegabilmente provveduto ad una nuova valutazione con aumento di quanto dapprima liquidato.
La svolta censura non aggredisce tale ratio della pronuncia e, quindi, l’unico rilevante connesso aspetto che è solo quello della valutazione e non dell’omessa riconosciuta particolare importanza dell’attività difensiva espletata.
Il motivo deve, dunque, essere respinto.
2.- Con il secondo motivo del ricorso si deduce il vizio di “violazione dell’art. 2, co. 2, del D.L. 4.7.2006, n. 223, conv. in L. 4.6.2006, n. 248” e si propone questione “in subordine, di illegittimità costituzionale dell’art. 130 del d.P.R. n. 115 del 2002 per violazione degli artt. 3,24, co. 2 e 3, 36, co. 1 e 111, co. I e 2 della Cost.. Illegittimità costituzionale degli art. 82 e/o 130 del d.P.R. n. 115 del 2002 per violazione degli artt. 3, 24, co. 2 e 36 Cost.. Illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 82 e/o 130 del d.P.R. n. 115 del 2002, in riferimento all’art. 133 del medesimo d.P.R. per violazione degli artt. 3, 35, co. 1, 42, co. 3 e 53, co. I e 2 della Cost. (art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c.).
Il motivo non è fondato.
Non risulta la sussistenza, così come denunciato col motivo, di una “irrisoria e lacunosa liquidazione”.
La riduzione del compenso richiesto non era, infatti, preclusa sol perché si applicava la tariffa professionale (ex art. 2 d.l. 223). Quanto alla questione, pure sollevata, di costituzionalità della suddetta normativa l’adito Tribunale ha correttamente ritenuto che “non risultano addotte ragioni nuove e diverse da quelle già esaminate e disattese da Corte Costituzionale”.
Peraltro questa Corte ha già avuto modo di affermare la manifesta infondatezza della questione sollevata ed a tal proposito non può che ribadirsi il principio secondo cui “la disposizione dell’art. 130 del d.P.R. 30 maggio 2012, n. 115, che stabilisce la riduzione alla metà degli importi spettanti al difensore in caso di patrocinio a spese dello Stato nel processo civile, non è stata implicitamente abrogata dalla previsione dell’art. 2, comma secondo, del d.l. 4 luglio 2006 n. 223, conv. in legge 4 agosto 2006, n. 248, piuttosto integrandone il riferimento alla “tariffa professionale”, quale base di liquidazione per il compenso.
È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 130 citato per violazione della tutela della proprietà contenuta nell’art. 1 del Protocollo I della CEDU, in riferimento all’art. 117, comma primo, Cost., atteso che la previsione dell’abbattimento nella misura della metà della somma risultante in base alle tariffe professionali non impone al professionista un sacrificio tale da risolvere il ragionevole legame fra l’onorario a lui spettante ed il relativo valore di mercato, trattandosi, semplicemente, di una parzialmente diversa modalità di determinazione del compenso medesimo, giustificata dalla considerazione dell’interesse generale che il legislatore ha inteso perseguire, nell’ambito di una disciplina mirante ad assicurare al non abbiente l’effettività del diritto di difesa” (Cass. civ., Sezione Seconda, Sent. 23 aprile 2013, n. 9808, nonché Corte cost., n.ri 350/2005 e 270/2012).
Il motivo va, quindi, respinto.
3.- Con il terzo motivo parte ricorrente lamenta la “violazione e falsa applicazione degli artt. 130 del d.P.R. n. 115 del 2002 e 14 del d.m. n. 127 del 2004 (art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c.).
La doglianza di cui al motivo qui in esame concerne, in buona sostanza, l’aspetto delle spese generali.
L’ordinanza del Tribunale risulta aver concesso le “spese forfettarie” ed il ricorrente non allega in modo autosufficiente la circostanza di aver già svolto tale questione in sede di impugnazione avverso la liquidazione di cui al primo decreto.
In ogni caso va riaffermato il principio secondo cui “in caso di ammissione al gratuito patrocinio a spese dello Stato nel processo civile, il rimborso forfettario delle spese generali, ai sensi dell’art. 14 della tariffa professionale, approvata con d.m. 8 aprile 2004, n. 127, va calcolato sulla remunerazione a titolo di onorari e di diritti, ridotti della metà, e non sull’importo di questi prima della dimidiazione ex art. 130 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115” (Cass. civ., Sezione Seconda, Sent. 23 aprile 2013, n. 9808, nonché Cass. n. 4209/2010).
Il motivo deve, dunque, essere rigettato.
4.- Con il quarto motivo del ricorso si prospetta il vizio di “violazione dell’articolo unico della l. n. 1051 del 1957, in combinazione con il d.m. n. 127 del 2004, Tabella A – Onorari giudiziali, II, n. 16 (nonché di) ulteriore violazione dell’art. unico della l. n. 1051 del 1957, in combinazione con il d.m. n. 127 del 2004, n. 19 (art. 360, co. 1, n. 3 del c.p.c.)”.
Il motivo coglie l’aspetto concernente la liquidazione dei diritti di procuratore relativamente alle due udienze del 24 maggio 2007 e del 16 dicembre 2007, nonché la liquidazione dell’onorario e dei diritti inerenti l’udienza del 22 maggio 2008.
In ordine alle stesse richieste di liquidazioni l’ordinanza gravata (omettendo – fra l’altro – la dovuta distinzione fra onorari e diritti) ha ritenuto che nulla era dovuto e liquidabile al difensore per le medesime udienze qualificate come di mero rinvio.
Senonchè, va evidenziato – innanzitutto (e per quanto riguardante le citate udienze del 24 maggio 2007 e del 16 dicembre 2007) – che i diritti sono sempre dovuti anche nell’ipotesi di udienza di mero rinvio.
Al riguardo non può che essere ribadito in questa sede il condiviso orientamento per cui i diritti (a differenza degli onorari) sono sempre dovuti secondo noto e consolidato principio, pure per le udienze di mero rinvio.
Al riguardo va riaffermato il principio per cui “i diritti di procuratore devono essere riconosciuti anche per le udienze di mero rinvio in quanto la “voce” n. 16 della tabella B) allegata al D.M. 31 ottobre 1985, applicabile “ratione temporis”, attribuisce il diritto “per la partecipazione a ciascuna udienza”, senza operare la distinzione tra “udienze di trattazione” e “udienze di semplice rinvio”, contenuta invece nella tabella A) per gli onorari di avvocato” (Cass. civ., Sezione Seconda, Sent. 3 settembre 2013, n. 20147, nonché Cass. n. 920/1994).
Quanto ai diritti ed all’onorario di cui alla udienza del 22 maggio 2008 deve evidenziarsi l’erroneità dell’assunto del gravato provvedimento in ordine alla ritenuta natura di mero rinvio della medesima udienza.
Infatti, come risulta in atti, alla detta udienza avvenne, ad opera della odierna parte ricorrente, una produzione di documenti.
Parte ricorrente ha, a tal riguardo, trascritto il verbale dell’udienza del 22 maggio 2008 nel punto in cui vi si afferma che la “parte attrice produce preliminarmente copia della domanda di conciliazione….nonché la comunicazione….”.
Pertanto la suddetta udienza non poteva qualificarsi come udienza di mero rinvio ed erano, quanto ad essa, dovuti sia i diritti che l’onorario.
Il motivo deve, pertanto esser accolto.
5.- Con il quinto ed ultimo motivo del ricorso si denuncia la “violazione degli artt. 91 e 92, co. 1 e 2 del c.p.c. ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 del c.p.c.” stante la compensazione delle spese disposta con la gravata ordinanza del Tribunale.
Il motivo è assorbito dal predetto accoglimento del quarto motivo.
6.- Alla stregua di quanto innanzi esposto, affermato e ritenuto il ricorso deve essere accolto per le ragioni di cui all’accolto quarto motivo.
L’ordinanza impugnata va cassata e gli atti vanno rinviati al Tribunale di Roma, che -in diversa composizione- deciderà la controversia attenendosi, con riguardo al motivo accolto, al principio innanzi richiamato ed enunciato.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quarto motivo del ricorso, rigettai i primi tre ed assorbito il quinto, cassa -in relazione al motivo accolto – l’ordinanza impugnata e rinvia, anche per le spese, al Tribunale di Roma in diversa composizione.
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