Cassazione 4

Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza 23 luglio 2015, n. 15539

Ritenuto in fatto

1. – C.O. convenne in giudizio, innanzi al Tribunale di Savona (Sezione distaccata di Albenga), R.R., R.A. e R.R., quali eredi di G.M., rivendicando la proprietà esclusiva di un vano di sgombero-magazzino, adiacente ad altri locali di sua proprietà esclusiva, che la G.M. avrebbe illegittimamente occupato e annesso al di lei fabbricato, e chiedendo la declaratoria di inefficacia del decreto pretorile, emesso ai sensi degli artt. 1159 bis cod. civ. e 3 della legge n. 346 del 1976, col quale era stato dichiarato l’acquisto per usucapione speciale della proprietà del detto vano da parte della G. (inefficacia – a dire della C. – scaturente dal fatto che l’istanza per la declaratoria dell’usucapione era stata notificata all’originaria proprietaria M.E. quando la stessa aveva già trasferito la proprietà dell’immobile ai signori B.-M., divenuti successivamente danti causa della C.), nonché la declaratoria della proprietà esclusiva di tale vano da parte di essa attrice, con la condanna delle convenute al rilascio dell’immobile, alla restituzione dei frutti indebitamente percepiti e al risarcimento del danno.
Le convenute resistettero alle domande attrici, assumendo che la consistenza dell’immobile di proprietà della C. era rimasta invariata nel tempo e mai aveva compreso il vano da essa rivendicato; eccepirono comunque l’usucapione ordinaria del bene.
Il Tribunale adito, in accoglimento delle domande attrici, dichiarò l’illegittimità del decreto pretorile che aveva dichiarato l’acquisto per usucapione della proprietà del vano de quo da parte della G., dichiarò C.O. proprietaria del vano rivendicato e condannò le convenute al rilascio dell’immobile in favore dell’attrice nonché a rifondere alla stessa le spese del giudizio.
2. – Sul gravame proposto dalle R. e in accoglimento dello stesso, la Corte di Appello di Genova, con sentenza del 10.3.2009, rigettò la domanda di rivendicazione proposta dalla C. e condannò quest’ultima a rifondere alle convenute le spese dei due gradi del giudizio.
3. – Avverso tale sentenza propongono ricorso per cassazione B.R. e B.M.R., quali eredi della comune madre C.O., formulando quattro motivi.
Resistono con controricorso R.R., R.A. e R.R..
I ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ.

Considerato in diritto

1. – Col primo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 948 e 2697 cod. civ.; si lamenta, in particolare, che la Corte territoriale – a fronte della eccezione di usucapione proposta dalle convenute e del riconoscimento, da parte di esse, dell’originaria appartenenza del bene a M.E., dante causa della C. – non abbia ritenuto che l’onere della prova della proprietà incombente sull’attrice fosse attenuato e che, in ogni caso, tale onere fosse stato assolto sulla base dei titoli di acquisto e dei documenti prodotti.
Col secondo motivo, si deduce il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per non avere la Corte di Appello considerato che il giudice di primo grado – con statuizione non oggetto di appello e, perciò, passata in cosa giudicata – aveva riconosciuto l’illegittimità del decreto pretorile che aveva dichiarato l’acquisto della proprietà per usucapione abbreviata del vano oggetto del giudizio da parte di G.M..
Col terzo motivo, si deduce poi il vizio della motivazione della sentenza impugnata, per non avere la Corte territoriale considerato che l’attrice C.O. nel 1980, dopo il suo acquisto dell’immobile e in forza della concessione edilizia rilasciata nel 1979 ai suoi diretti danti causa B.-Z., ebbe ad eseguire opere di ristrutturazione e di suddivisione dell’originario unico vano indicato nei titoli di acquisto; tale circostanza, secondo i ricorrenti, renderebbe assolutamente irrilevante il fatto che nei titoli di proprietà fosse menzionato un unico vano, piuttosto che i diversi vani (un bagno, una camera, una cucina e il vago di sgombero oggetto della lite) nei quali quell’unico originario vano era stato successivamente suddiviso. Si deduce ancora il travisamento delle prove, per avere la Corte di Appello ritenuto che tali opere fossero state eseguite da G.M., piuttosto che dall’attrice; secondo i ricorrenti, le opere eseguite dalla G. sarebbero state molto successive, risalendo al 1993, e sarebbero state eseguite sulla base di una diversa concessione edilizia, rilasciata nel 1991, nella quale peraltro la G. si sarebbe dichiarata proprietaria del vano solo in forza del decreto pretorile di usucapione, la cui illegittimità era stata riconosciuta dal Tribunale.
Col quarto motivo, infine, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 92 cod. proc. civ., per avere la Corte di Appello posto le spese del giudizio per intero a carico dell’attrice, nonostante la soccombenza reciproca, non essendo stata impugnata – ed essendo perciò passata in giudicato – la statuizione del Tribunale circa la nullità della declaratoria di acquisto della proprietà per usucapione da parte della dante causa delle convenute.
2. Il ricorso è fondato nei termini che seguono.
Premesso che va dato atto che non è stato oggetto di riforma, da parte della Corte di Appello, la statuizione con la quale il Tribunale ha dichiarato illegittimo e, dunque, inefficace inter partes, il decreto pretorile con la quale G.M. ha ottenuto la declaratoria della proprietà esclusiva del vano per cui è causa per averla acquistata per l’usucapione speciale di cui all’art. 1159 bis cod. civ., va rilevato come il giudice del gravame non abbia fatto corretta applicazione dei principi di diritto dettati da questa Corte in tema di onere della prova gravante su colui che agisce in rivendica.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, condivisa dal Collegio, in tema di azione di rivendicazione, qualora il convenuto sostenga – in via riconvenzionale o in via di eccezione – di aver acquistato per usucapione la proprietà del bene rivendicato, l’onere probatorio posto a carico dell’attore in rivendicazione si attenua, riducendosi alla prova di un valido titolo di acquisto da parte sua e dell’appartenenza del bene ai suoi danti causa in epoca anteriore a quella in cui il convenuto assuma di aver iniziato a possedere, nonché alla prova che quell’appartenenza non è stata interrotta da un possesso idoneo ad usucapire da parte del convenuto (Sez. 2, Sentenza n. 5161 del 10/03/2006, Rv. 587183; nonché, ex plurimis, Sez. 2, Sentenza n. 22598 del 05/11/2010, Rv. 614824; Sez. 2, Sentenza n. 9303 del 17/04/2009, Rv. 608112; da ultimo, Sez. 2, Sentenza n. 22598 del 05/11/2010, Rv. 614824).
Nella specie, G.M., col presentare ricorso al pretore per il riconoscimento dell’usucapione speciale sull’immobile e col notificare lo stesso a M.E. (dante causa di B.-M., a loro volta danti causa dell’attrice), ebbe a riconoscere l’originaria proprietà del vano per cui è causa in capo alla detta M.. In altre parole, la G. ebbe a riconoscere l’appartenenza del bene ai danti causa della C. in epoca anteriore a quella in cui ha sostenuto di aver iniziato a possedere uti dominus.
Deve pertanto reputarsi che, a seguito di tale riconoscimento, essendo peraltro venuta meno l’efficacia giuridica della declaratoria di usucapione speciale di cui al decreto pretorile, l’onere della prova del titolo di proprietà da parte della C. e dei suoi aventi causa sia attenuato, nel senso che esso deve ritenersi ridotto alla prova di un valido titolo di acquisto da parte dell’attrice e dell’appartenenza del bene ai suoi danti causa in epoca anteriore a quella in cui parte convenuta assume di aver iniziato a possedere uti dominus, nonché – in presenza dell’eccezione di usucapione proposta da parte convenuta – alla prova che quell’appartenenza non è stata interrotta da un possesso idoneo ad usucapire della parte convenuta medesima.
Orbene, posto quanto sopra in ordine al criterio da seguire per valutare l’assolvimento dell’onere della prova da parte dell’attrice, va rilevato come la valutazione della Corte territoriale del titolo di proprietà vantato dalla C. risulti viziata da manifesta illogicità e travisamento delle prove.
La pronuncia impugnata, invero, fonda il rigetto della domanda di rivendicazione sulla circostanza che, nell’atto di acquisto di parte attrice e nei titoli dei suoi danti causa, non vi sia cenno del piccolo vano di sgombero oggetto del giudizio, essendo menzionato solo un unico grande vano fienile, senza alcun riferimento ad una suddivisione dello stesso (p. 6 della sentenza impugnata).
La Corte territoriale, tuttavia, ha trascurato di considerare una circostanza decisiva: il fatto cioè che l’immobile acquistato dalla C. è stato oggetto di lavori di ristrutturazione e di suddivisione, in forza della concessione edilizia del 1979 rilasciata ai suoi danti causa B.M. e Z.N..
Per poter escludere, dunque, che il titolo di proprietà della C. comprendesse il piccolo vano oggetto di rivendica sarebbe stato necessario verificare se tale piccolo vano costituisse o meno parte dell’intero grande vano menzionato nel titolo di acquisto della C. e oggetto della ristrutturazione-suddivisione sulla base della concessione edilizia ottenuta dai B.-Z.; sarebbe stato necessario verificare – eventualmente mediante apposita consulenza tecnica – la consistenza di tali lavori e se essi avessero dato vita – separandolo dal più grande vano indicato nell’atto di acquisto dalla C. – al piccolo vano oggetto di rivendica.
E invece, la Corte territoriale, non solo non ha effettuato tale verifica (logicamente necessaria per poter affermare che il piccolo vano rivendicato non era compreso nell’immobile acquistato dalla C.), ma ha persino travisato le prove in atti, attribuendo erroneamente l’esecuzione dei lavori di ristrutturazione del grande vano fienile, eseguiti in forza della concessione edilizia rilasciata nel 1979, alla G.M., anziché a parte attrice (p. 7 della sentenza impugnata).
La sentenza impugnata risulta, perciò, affetta da manifesta illogicità nell’interpretazione del titolo di proprietà dell’attrice e nella ricostruzione della vicenda fattuale relativa alla trasformazione dell’immobile; essa va pertanto cassata, con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Genova per nuovo giudizio.
Nel giudizio di rinvio, la Corte territoriale, oltre ad emendare la motivazione dai vizi di illogicità sopra rilevati con riferimento alla mancata considerazione dei lavori di ristrutturazione dell’immobile eseguiti da parte attrice, dovrà conformarsi al seguente principio di diritto:
«In tema di azione di rivendicazione, qualora il convenuto abbia in passato presentato ricorso al pretore onde ottenere il riconoscimento della proprietà dell’immobile oggetto di rivendica in forza dell’usucapione speciale di cui all’art. 1159 bis cod. civ. e abbia notificato tale ricorso al dante causa dell’attore così implicitamente riconoscendone l’originaria proprietà del bene sulla base dei titoli trascritti nei registri immobiliari (senza tuttavia ottenere una valida declaratoria di acquisto della proprietà per usucapione) e successivamente, nel giudizio di rivendica, sostenga – in via di eccezione – di aver acquistato per usucapione la proprietà del bene rivendicato, l’onere probatorio posto a carico dell’attore in rivendicazione si attenua, riducendosi alla prova di un valido titolo di acquisto da parte sua e dell’appartenenza del bene ai suoi danti causa in epoca anteriore a quella in cui il convenuto assuma di aver iniziato a possedere, nonché alla prova che quell’appartenenza non è stata interrotta da un possesso idoneo ad usucapire da parte del convenuto».
3. Le altre censure rimangono assorbite.
Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la pronunzia sulle spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della Corte di Appello di Genova.

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