La massima

Si ha compossesso quando più soggetti esercitano congiuntamente il possesso sulla cosa. Il compossessore può esercitare nei confronti dei terzi l’azione di reintegrazione e l’azione di manutenzione quale che sia la sua quota di partecipazione. A sua volta il compossessore può esercitare queste stesse azioni anche nei confronti degli altri compossessori tutte le volte in cui uno di questi sopprima o turbi il possesso degli altri a meno che questi atti non vengono tollerati e non costituiscono atti univocamente idonei a rivelare un mutamento del titolo del proprio possesso.

 

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE II

SENTENZA 22 novembre 2012, n.20704

Ritenuto in fatto

Ca.Ga. e M..M. con atto di appello del 21 giugno 2004 impugnavano, davanti alla Corte di Appello di Campobasso, la sentenza n. 112 del 2004, con la quale il Tribunale di Isernia aveva rigettato la domanda di manutenzione possessoria proposta nei confronti di C.L. e G.P. , aveva dichiarato inammissibile la domanda riconvenzionale e aveva compensato la metà delle spese di lite. Ca. e M. avevano convenuto in giudizio C.L. e G.P. sostenendo di essere stati illegittimamente spogliati dall’uso comune di un’area retrostante il loro fabbricato confinante con la proprietà delle convenute. Asserivano che nell’agosto 2011 C.L. e G.P. apponevano illegittimamente dei vasi ed un’altalena nel retrostante cortile delimitando l’area contesa allo scopo di impedire l’uso della stessa ai ricorrenti. Sostenevano gli appellanti che il primo giudice aveva errato nella valutazione delle risultanze istruttorie dalle quali emergerebbe, invece, che le due famiglie avrebbero usato liberamente l’intera area del largo dietro casa in situazione di pacifico compossesso, tanto che i rispettivi diritti domenicali sull’area avrebbe avuto valore di quote ideali di una comunione pro indiviso.
Si costituivano in giudizio C.L. e G.P. deducendo l’infondatezza dell’appello e, ribadendo che il cortile comune era stato delimitato in base alle quote di proprietà ed assegnate in proprietà esclusiva.
La Corte di Appello di Campobasso, con sentenza n. 335 del 2005, accoglieva l’appello e in riforma della sentenza di primo grado accoglieva la domanda formulata in primo grado da Ca.Ga. e M.M. e ordinava C.L. e a G.P. di reintegrare Ca. e M. , nel compossesso dell’intera area posta sul retro dei loro fabbricati.
Secondo la Corte di merito, nel caso in esame né i testi, né le stesse allegazioni delle convenute permettevano di capire in quale occasione, in assenza di un formale atto di scioglimento della comunione, vi fosse stato il necessario mutamento psicologico di chi essendo compossessore dell’intero avesse preso a considerarsi possessore esclusivo di una parte. Non solo, ma le proprietà esclusive non sarebbero individuabili tanto più che nessun testimone i ha identificato un confine che separasse due diverse porzioni del largo dietro la casa.
La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da C.L. e G.P. con ricorso affidato a tre motivi. Ga..Ca. ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

1.- Con il primo motivo, C.L. e G.P. lamentano la violazione o falsa applicazione degli artt. 112, 115, 116, 168, 347 comma 3 c.p.c. in riferimento all’art. 360 comma 3 e 5 c.p.c.. Avrebbe errato la Corte di Campobasso, secondo le ricorrenti, per aver deciso la causa pur mancando il fascicolo di primo grado e, pertanto, sulla base soltanto degli atti e documenti presenti nell’incarto processuale. Il fascicolo di parte, essendo custodito a norma dell’art. 72 disp. att. c.p.c. Con il fascicolo di ufficio formato dal cancelliere (art. 168 c.p.c.), comporta l’allegazione d’ufficio nel giudizio di secondo grado ove non esista l’attestazione del cancelliere circa l’avvenuto ritiro del fascicolo. Nel caso concreto, non solo mancava l’attestazione da parte del cancelliere del Tribunale di Isernia dell’avvenuto ritiro, ma, all’udienza del 9 marzo 2005 l’avv. Marinelli, procuratore di C. e G. , rilevava l’assenza del fascicolo di parte di primo grado, ma agli atti non risultava alcuna ricerca verbale del fascicolo o del mancato ritrovamento e tanto meno dalla sentenza impugnata risultava una motivazione sulla circostanza decisiva della controversia.

1.1.- Il motivo è infondato.

Le ricorrenti ripropongono questioni già esaminate dalla Corte di merito e decise con corretta e logica motivazione, in conformità alle disposizioni di legge in tema di deposito in appello del fascicolo di parte prodotto nel giudizio di primo grado.

Gli artt. 165, 166 e 184 c.p.c., artt. 74, 77 e 87 disp. att. c.p.c., disciplinanti la produzione dei documenti, dispongono, infatti, che essi devono essere inseriti nei fascicoli di parte che possono essere ritirati all’atto della rimessione della causa al collegio; come previsto dall’art. 169 c.p.c., la stessa parte deve poi restituire il fascicolo al più tardi al momento del deposito della comparsa conclusionale. Secondo la giurisprudenza di questa Corte trattasi, non di un obbligo ma, di un onere la cui inosservanza produce effetti giuridici diversi, nel senso che, ove detta inosservanza sia volontaria, il giudice decide legittimamente allo stato degli atti, sulla base delle prove e dei documenti sottoposti al suo esame al momento della decisione, in conformità al principio dispositivo delle prove, ove, invece, il fascicolo vada smarrito o venga sottratto, è rimesso al giudice valutare la rilevanza dei documenti smarriti o sottratti, ai fini della decisione di disporre, eventualmente, la ricerca del fascicolo in cui i documenti erano inseriti senza, tuttavia, che l’omissione di tale ricerca comporti alcuna nullità, non essendo tale sanzione comminata dalla legge, come richiesto dall’art. 156 c.p.c..

2- Con il ricorso motivo le ricorrenti lamentano la violazione o falsa applicazione degli artt. 1170 e 2697 cc, 112 e 115 in riferimento all’art. 360, comma 3 c.p.c.. Secondo le ricorrenti al sentenza impugnata avrebbe accertato l’esistenza di un possesso tutelabile senza alcun minimo elemento probatorio ed, altresì, avrebbe dedotto il compossesso del cortile comune dall’esistente comunione pro indiviso. Epperò, specificano le ricorrenti, la comunione ex art. 1100 cod. civ. delinea il fenomeno di appartenenza a più persone del diritto di proprietà, il compossesso, invece, quale figura più ristretta del possesso non è un diritto, ma una situazione di fatto ovvero un potere che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà. Paradigma di tale distinzione sarebbe, sempre secondo le ricorrenti, che più soggetti possono essere proprietari in un regime comunista di un bene, senza però esserne possessori. Sicché, il ragionamento del giudice secondo il quale ‘il largo dietro casa è oggetto di comunione pro indiviso e dunque di compossesso non troverebbe riscontro né in dottrina, né in giurisprudenza. Piuttosto, sostengono le ricorrenti, il cortile conteso, seppure in origine sia stato oggetto di comunione pro indiviso per chiamata ereditaria non è mai stato, anche, oggetto di compossesso delle parti in causa, le quali hanno esercitato, sempre fin dal primo momento il possesso pieno ed esclusivo delle aree prospicienti le proprie abitazioni per le rispettive quota di 2/3 e un 1/3, consapevoli delle rispettive pertinenze.

Anche con questo motivo le ricorrenti ripropongono una questione già esaminata dalla Corte di merito diffusamente e decisa con corretta e logica motivazione, in conformità alle disposizioni di legge in tema di possesso.

Va qui precisato che si ha compossesso quando più soggetti esercitano congiuntamente il possesso sulla cosa. Il titolo del compossesso è normalmente il diritto di proprietà o meglio di comproprietà, ma potrebbe essere rappresentata anche da altri diritti reali. Ciascun compossessore ha una quota di compossesso e nei limiti di questa se il bene è fruttifero ha diritto ai frutti e beneficia dell’acquisto per usucapione se ve ne sono i presupposti. Il compossessore può esercitare nei confronti dei terzi l’azione di reintegrazione e l’azione di manutenzione quale che sia la sua quota di partecipazione. A sua volta il compossessore può esercitare queste stesse azioni anche nei confronti degli altri compossessori tutte le volte in cui uno di questi sopprima o turbi il possesso degli altri a meno che questi atti non vengono tollerati e non costituiscono atti univocamente idonei a rivelare un mutamento del titolo del proprio possesso. Sotto il profilo sostanziale, ovviamente, tra possesso e compossesso, non vi è alcuna differenza, dato che, nonostante, nel compossesso vi siano più soggetti che esercitano congiuntamente il possesso su una stessa cosa, anche il compossesso si qualifica siccome potere di fatto sulla cosa che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà o altro diritto reale.

2.2.- Ora, nel caso in esame, la Corte di merito ha accertato in ragione delle prove testimoniali assunte nel corso del giudizio: a) che il largo dietro gli immobili di cui si dice era stato oggetto di compossesso, quale naturale esplicazione della comproprietà a prescindere dal maggiore o minore calpestio che l’una o l’altra famiglia abbia esercitato sulle superfici più prossime agli ingressi delle rispettive abitazioni. B) che il compossesso di ciascun proprietario sull’intero largo non era stato mai sostituito dal possesso esclusivo di ciascun proprietario su una frazione materiale del largo, sia perché non vi era stata neppure di fatto una spartizione del largo, o uno scioglimento (neppure di fatto) della comproprietà, ma, ed è un elemento decisivo, non era stato provato, che ciascuno dei comproprietari o, alimento uno di essi, avesse posseduto in modo esclusivo una delle due opzioni del cortile, oppure l’intero cortile; c) che L..C. e G.P. avevano sovvertito la situazione possessoria del largo di cui si dice collocando dei vasi e un’altalena che impediva ai Ca. M. l’accesso ad ogni parte dell’intero cortile.

Pertanto, appare convincente e, comunque, conforme alle disposizioni di legge in tema di possesso, la decisione della Corte di merito con la quale ha disposto la rimozione dei vasi, dell’altalena e di ogni ostacolo o impedimento all’accesso dei Ca. M. ad ogni parte dell’indicato cortile.

3.- Con il terzo motivo le ricorrenti lamentano la contraddittoria motivazione circa il riparto dell’onere della prova del possesso e dell’identificazione della porzione di possesso esclusivo. Avrebbe errato la Corte di Campobasso, secondo le ricorrenti, per aver ritenuto che il largo, oggetto del giudizio sia appartenuto dopo la morte di C.D. alle parti e ai rispettivi dante causa in regime di comunione pro indiviso e, dunque, sia stato oggetto di compossesso pro indiviso perché come avrebbe riferito C.A. , dante causa delle ricorrenti sebbene la comunione non fosse stata mai formalmente sciolta ognuno esercitava il possesso esclusivo su una parte di cortile. Piuttosto, ritengono le ricorrenti la Corte di merito avrebbe dovuto accertare in quale momento i comproprietari avessero sostituito il possesso esclusivo della loro parte antistante la propria abitazione in compossesso dell’intero cortile. E di più, secondo le ricorrenti non è vero che il confine non esiste o che non sia stato possibile identificare la porzione su cui veniva esercitato il possesso esclusivo. Il c.d. largo dietro casa è un poligono e in quanto tale si presta ad una divisione naturale dell’area rispetto alle abitazioni prospicienti. Se, infatti, esiste un confine verso l’esterno esistono anche una porzione pari al 2/3 ed una pari al 1/3 antistanti e serventi le rispettive abitazioni.

3.1.- il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.

È inammissibile laddove viene denunciata violazione dell’art. 2697 cod. civ. per carenza di interesse.

Tuttavia, il motivo è infondato perché si risolve nella richiesta di una nuova e diversa valutazione delle prove acquisite in giudizio non proponibile al Giudice di legittimità. Nel vigente ordinamento processuale opera il principio dell’acquisizione delle prove, in forza del quale il giudice è libero di formare il suo convincimento sulla base di tutte le risultanze istruttorie, quale che sia la parte ad iniziativa della quale sia avvenuto il loro ingresso nel giudizio. Ad un tempo, come più volte è stato ribadito da questa Corte: è devoluta al giudice di merito l’individuazione delle fonti del proprio convincimento, e, pertanto, anche la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, la scelta, fra le risultanze istruttorie, di quelle ritenute idonee ad acclarare i fatti oggetto della controversia, privilegiando in via logica taluni mezzi di prova e disattendendone altri, in ragione del loro diverso spessore probatorio, e non è sindacabile, per vizio di motivazione, la sentenza di merito che abbia adeguatamente valorizzato le circostanze ritenute decisive e gli elementi necessari per chiarire e sorreggere la “ratio decidendi”.

In definitiva, il ricorso va rigettato e, in ragione del principio di soccombenza ex art. 91 cpc., le ricorrenti vanno condannate al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione che verranno liquidate con il dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 4.500,00 di cui Euro 200,00 per esborsi.

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