Suprema Corte di Cassazione
sezione II
sentenza 21 dicembre 2015, n. 50177
Ritenuto in fatto
1. Con decreto in data 09.07.2015, il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Salerno disponeva il sequestro preventivo delle somme rinvenute sui conti correnti e/o postali degli indagati (tra cui gli odierni ricorrenti) e, in caso di indisponibilità, i titoli, i mobili e gli immobili di proprietà degli stessi fino alla concorrenza dell’importo di Euro 492.488,04 costituente il profitto del reato di truffa ai danni del tribunale amministrativo regionale della Campania, sezione distaccata di Salerno.
1.1. Nel merito risulta che in data 26.06.2014 presso la sede del tribunale amministrativo regionale della Campania, sezione distaccata di Salerno, in occasione di una richiesta di informazioni da parte della polizia giudiziaria sulle generalità del possessore di un’utenza di telefonia mobile intestata al predetto Tar, si era appreso dell’esistenza di una convenzione che il Dott. D.M.F. , nella qualità di dirigente del Tar, aveva stipulato il 04.12.2013 con la soc. BT Mobile Voce, per l’attivazione di servizi per 200 schede telefoniche prepagate, i cui fruitori non erano noti; nella stessa giornata del 26.06.2014 perveniva una fattura della Soc. Vodafone (pari ad Euro 8.965,35 per il periodo 3 aprile – 2 luglio 2014) intestata al Tar per servizi di rete mobile e dati relativi a 33 schede sim non in uso presso il Tribunale, con cui si segnalava, altresì, il mancato pagamento di fatture precedenti per un importo complessivo di Euro 36.369,71; in data 01.07.2014 pervenivano al Tar tre fatture della soc. BT Italia, di importo rispettivamente pari ad Euro 53.679,72, 16.738,18 e 22.481,16, tutte intestate al Tar di Salerno con scadenza 13.07.2014, per servizi resi ad utenze che non risultavano in uso presso il Tar, i cui fruitori non erano noti e con cui si segnalava, altresì, l’irregolarità del pagamento di precedenti fatture. Inoltre, non erano stati rinvenuti, agli atti d’ufficio, né contratti stipulati con le società BT Mobile e Vodafone, né impegni di spesa o mandati di pagamento in favore delle predette società con oneri a carico della giustizia amministrativa: risultava, quindi, che, dopo il 2007 (il Tar di Salerno risultava aver formalmente e lecitamente stipulato solo due convenzioni con il gestore Tim, la prima nel 2006 e la seconda nel 2007), la Pubblica Amministrazione era del tutto all’oscuro della stipulazione dei contratti e delle convenzioni aventi come scopo quello dell’attivazione di utenze cellulari anche mediante la migrazione da altro gestore: il tutto, realizzato mediante un consolidato meccanismo che prevedeva al redazione e stipula di una serie di atti posti in essere e sottoscritti dal D.M.F. , nella citata qualità di dirigente, ma, di fatto, conclusi e formati al di fuori delle legittime procedure contabili previste dalla normativa e non regolarmente depositati e protocollati presso l’Ente pubblico.
1.2. Il giudice riteneva che in relazione al suindicato importo di Euro 492.488,04 era possibile la confisca ex art. 322 ter cod. pen. quantificando l’importo nel profitto delle condotte delittuose integranti i reati di truffa aggravata ed oggetto dell’attuale esposizione debitoria del tribunale amministrativo regionale nei confronti dei vari operatori di telefonia.
2. Avverso detto provvedimento, proponevano separate istanze di riesame avanti al Tribunale di Salerno S.A. e D.M.R. ; con distinte (ma di identico) contenuto ordinanze in data 11.09.2015, il Tribunale di Salerno, in accoglimento dei proposti gravami, annullava il decreto di sequestro preventivo.
In sostanza, il giudice del riesame, pur riconoscendo un uso distorto delle funzioni pubbliche ricoperte dall’ex dirigente D.M.F. e dalla funzionaria B.T. , asserisce che non avendo il tribunale amministrativo erogato somme di denaro, non sarebbe configurabile il reato di truffa ex art. 640, comma 2, n. 1 cod. pen., in quanto il danno lo avrebbero subito le compagnie telefoniche e non l’ente pubblico.
3. Avverso detto provvedimento, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Salerno propone ricorso per cassazione, lamentando violazione di legge e vizio di motivazione.
In particolare, il ricorrente, dopo aver premesso come la giurisprudenza di legittimità riconosca la configurabilità del delitto di truffa anche quando il soggetto passivo del raggiro sia diverso dal soggetto passivo del danno ed in mancanza di contatti diretti tra il truffatore ed il truffato, ha evidenziato come gli indagati avessero creato l’apparenza dell’esistenza di accordi contrattuali stipulati tra il tribunale amministrativo e le compagnie telefoniche, conseguendo la disponibilità di utenze, apparecchi cellulari e schede sim intestate all’ente pubblico, incassando i promoter anche le provvigioni riconosciute dalle compagnie telefoniche e determinando di fatto, al tempo stesso, un’esposizione debitoria della pubblica amministrazione suscettibile di esecuzione e, quindi, idonea a realizzare un’alterazione dell’equilibrio patrimoniale preesistente, in termini attuali e concreti: il che consente di affermare che l’azione degli imputati non ha determinato il mero pericolo di un danno bensì un danno effettivo, con una modificazione peggiorativa della condizione patrimoniale preesistente dell’ente che, a seguito della condotta degli agenti, si trova davanti ad un’esposizione debitoria pari a complessivi Euro 492.488,04.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è fondato.
2. Con riferimento al thema decidendum, vanno preliminarmente rammentate le regole in tema di impugnazione del provvedimento di sequestro preventivo.
Innanzitutto va considerato che, con il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 325 cod. proc. pen., può essere dedotta la violazione di legge e non anche il vizio di motivazione. Ma, secondo la giurisprudenza di questa Corte, ricorre violazione di legge laddove la motivazione stessa sia del tutto assente o meramente apparente, non avendo i pur minimi requisiti per rendere comprensibile la vicenda contestata e l’iter logico seguito dal giudice del provvedimento impugnato. In tale caso, difatti, atteso l’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, viene a mancare un elemento essenziale dell’atto.
Va anche ricordato che, anche se in materia di sequestro preventivo, il codice di rito non richiede che sia acquisito un quadro probatorio serio come per le misure cautelari personali, non è però sufficiente prospettare un fatto costituente reato, limitandosi alla sua mera enunciazione e descrizione. È invece necessario valutare le concrete risultanze istruttorie per ricostruire la vicenda anche al semplice livello di “fumus” al fine di ritenere che la fattispecie concreta vada ricondotta alla figura di reato configurata.
È inoltre necessario che appaia possibile uno sviluppo del procedimento in senso favorevole all’accusa nonché valutare gli elementi di fatto e gli argomenti prospettati dalle parti.
A tale valutazione, poi, dovranno aggiungersi le valutazioni in tema di periculum in mora che, necessariamente, devono essere riferite ad un concreto pericolo di prosecuzione dell’attività delittuosa ovvero ad una concreta possibilità di condanna e, quindi, di confisca (cfr., ex multis, Sez. 6, sent. n. 6589 del 10/01/2013, dep. 11/02/2013, Gabriele, Rv. 254893).
Peraltro, sebbene il giudice del riesame non possa sindacare la fondatezza e/o attendibilità degli elementi probatori addotti dall’accusa a sostegno della misura cautelare, lo stesso è tenuto comunque ad operare un raffronto tra la fattispecie astratta (legale) e la fattispecie concreta (reale), così da imporre il suo potere demolitorio nei soli casi in cui la difformità sia rilevabile ictu oculi ovvero nei casi in cui gli elementi probatori non siano pertinenti o utilizzabili.
3. Le argomentazioni spese dal Tribunale nei provvedimenti impugnati secondo cui, da un lato, gli unici soggetti danneggiati dalla condotta di truffa semplice posta in essere, si individuavano nelle compagnie telefoniche in conseguenza dell’elargizione delle indebite provvigioni ai promoter per contratti di telefonia stipulati in maniera illegittima, e, dall’altro, che “il sequestro preventivo finalizzato alla confisca, oggetto di impugnazione, è stato disposto solamente con riferimento alle somme di denaro costituenti oggetto di mere richieste di pagamento inoltrate dalle diverse compagnie di telefonia mobile all’ufficio Tar (pari al danno potenziale, subendo, da parte di detto apparato pubblico, che – allo stato – non risulta ancora essere stato esposto ad alcun pagamento in virtù delle convenzioni stipulate illegittimamente dal dirigente, non corredate da tutte le coperture provvedi mentali e dai relativi impegni di spesa, compiutamente verificabili anche in sede civilistica)”, appaiono del tutto errate.
3.1. Invero, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, il delitto di truffa è configurabile anche quando il soggetto passivo del raggiro sia diverso dal soggetto passivo del danno ed in difetto di contatti diretti tra il truffatore e il truffato, sempre che sussista un nesso di causalità tra i raggiri o artifizi posti in essere per indurre in errore il terzo, il profitto tratto dal truffatore ed il danno patrimoniale patito dal truffato (cfr., Sez. 2, sent. n. 43143 del 17/07/2013, dep. 22/10/2013, Saracino, Rv. 257495).
3.2. Del resto, la struttura del delitto di truffa non esige detta identità, né un particolare rapporto tra il truffatore ed il truffato; la truffa è, pertanto, configurabile pur in difetto di questi elementi, ma sempre che tra i raggiri o gli artifizi posti in essere dal soggetto agente per trarre in inganno il terzo, inducendolo in errore, il danno patrimoniale patito dal truffato ed il profitto tratto dal truffatore sussista un nesso di causalità (Sez. 2, sent. n. 2705 del 11/05/1973, dep. 02/04/1974, Rv. 126644; Sez. 5, sent. n. 950 del 26/08/1969, Rv. 112507; Sez. 6, sent. n. 8418 del 25/08/1975, Rv. 130681; Sez. 2, sent. n. 6335 del 29/10/1998, dep. 29/01/1999, Rv. 212266; Sez. 2, sent. n. 10085 del 05/03/2008, Rv. 239508).
3.3. Fermo quanto precede, ritiene tuttavia il Collegio come, in realtà, il reale punto problematico nella fattispecie in esame riguardi l’ambito di applicazione della norma incriminatrice, la quale, configurando, secondo l’opinione senz’altro prevalente, un reato non di mero pericolo, ma di danno, richiede un reale depauperamento economico del soggetto passivo, una effettiva deminutio patrimonii, nella forma del danno emergente o del lucro cessante, a carico dello stesso. Il che equivale a dire che l’inserzione del requisito del danno comporta una restrizione operativa della fattispecie incriminatrice, sicché non è sufficiente la realizzazione della condotta, ma è necessario che essa provochi una lesione effettiva del patrimonio, non essendo il mero disvalore della condotta di per sé sufficiente a provocare la reazione dell’ordinamento, ove non si realizzino gli eventi di danno previsti.
3.3.1. È noto, a tal riguardo, come secondo la c.d. concezione giuridica, che valorizza l’aspetto giuridico – formale del rapporto che si instaura fra il soggetto e i suoi beni, il momento della circolazione giuridica sarebbe, in ogni caso, prevalente sulla realizzazione effettiva del danno, ma, ad avviso del Collegio, permangono a tutt’oggi e restano rilevanti le ragioni che da tempo (v. Sez. U, sentt. n. 1/1999 e n. 18/2000) hanno indotto la giurisprudenza a confermare la opposta concezione economica, che richiede che la diminuzione del patrimonio del soggetto passivo sia reale ed effettiva. Il che non vuoi dire, però, che si possano sottovalutare, specie in un contesto costituzionale improntato alla tutela dei valori della persona ed in un ambiente economico che vede una progressiva trasformazione delle forme della ricchezza, la libertà di determinazione del consenso ed il ruolo che in tal senso svolge la norma in esame, in quanto posta a tutela della buona fede e dell’equilibrio contrattuale, quali principi cardini del diritto contrattuale, così come le indicazioni che provengono dalla stessa concezione giuridica, nella parte in cui individua nel patrimonio non solo un complesso di beni, ma anche di rapporti attivi e passivi, che possono essere pregiudicati pure dalla perdita ingiusta di un diritto o dalla diminuzione delle attività e dall’accrescimento delle passività.
3.3.2. Quel che appare decisivo è la necessità di non porre di fatto nell’ombra la collocazione del reato nell’ambito dei delitti contro il patrimonio, con un’inammissibile dilatazione del suo ambito di operatività, in contrasto con il principio di legalità, ma, al tempo stesso, con l’esigenza di individuare un netto discrimine fra la tutela penale e la tutela civile, specie in presenza di un progressivo, ma chiaro intento del legislatore di ridurre e specializzare le fattispecie incriminatici e di potenziare, in termini di qualità ed effettività, le forme della tutela civile del danno ingiusto (Sez. 2, sent. n. 10085 del 21/02/2008, dep. 05/03/2008, Minci).
3.4. Sulla base di tali considerazioni, il ricorso merita accoglimento, essendo rimasto accertato che gli indagati, abusando delle qualità rivestite dai concorrenti e creando l’apparenza dell’esistenza di accordi contrattuali del tutto validi tra il Tar di Salerno e le diverse compagnie telefoniche, hanno conseguito la disponibilità di utenze telefoniche, apparecchi cellulari e schede sim intestate all’Ente pubblico, provocando così, da parte dei promoter, l’incasso delle provvigioni riconosciute dai contratti e determinando, al tempo stesso, in evidente rapporto eziologico, un’esposizione debitoria della Pubblica amministrazione, suscettibile di esecuzione e, quindi, idonea a realizzare un’alterazione dell’equilibrio patrimoniale preesistente, in termini attuali e concreti: di tal che, l’azione degli indagati non ha determinato il mero pericolo di un danno, bensì un danno effettivo a carico della Pubblica amministrazione.
4. Da qui la doverosità dell’annullamento delle ordinanze impugnate a cui consegue l’obbligo di rinvio al Tribunale di Salerno per nuovo esame.
Il giudice di rinvio, nel procedere al nuovo esame, dovrà attenersi al seguente principio di diritto: “preso atto che gli indagati, con le rispettive condotte quali contestate ed attraverso l’abuso delle qualità e delle cariche pubblicistiche ricoperte da taluni dei concorrenti e la creazione dell’apparente esistenza di accordi contrattuali tra il Tar di Salerno e le diverse compagnie telefoniche, hanno conseguito la disponibilità di utenze telefoniche, apparecchi cellulari e schede sim intestate all’Ente pubblico, provocando così, da parte dei promoter, l’incasso delle provvigioni riconosciute, valuti il giudice di merito la ricorrenza dei presupposti per l’applicazione ed il mantenimento del vincolo reale costituito dal sequestro preventivo di beni originariamente disposto dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Salerno in data 09.07.2015 nei confronti di S.A. e di D.M.R. , in presenza di condotte truffaldine aggravate (artt. 61 n. 7 e 11, 640, commi 1 e 2 cod. pen.) da parte degli agenti che hanno causalmente determinato un’esposizione debitoria della Pubblica amministrazione nell’ammontare della somma di Euro 492.488,04 suscettibile di immediata esecuzione, con alterazione reale e non solo potenziale, in evidente senso peggiorativo, della condizione patrimoniale preesistente”.
P.Q.M.
Annulla le ordinanze impugnate con rinvio al Tribunale del riesame di Salerno per nuovo esame.
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