Suprema Corte di Cassazione
sezione II
sentenza 20 marzo 2015, n. 5658
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BUCCIANTE Ettore – Presidente
Dott. NUZZO Laurenza – Consigliere
Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere
Dott. ORICCHIO Antonio – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 8280-2009 proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
e contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS);
– intimati –
sul ricorso 20859-2009 proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende;
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrenti –
e contro
(OMISSIS);
– intimato –
avverso la sentenza n. 681/2008 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 27/06/2008;
preliminarmente il difensore di parte ricorrente Avvocato (OMISSIS) deposita senza opposizione sentenza del Consiglio di Stato;
il Collegio si riserva di valutare l’ammissibilita’ di tale produzione;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/11/2014 dal Consigliere Dott. ANTONIO ORICCHIO;
udito l’Avvocato (OMISSIS), difensore del ricorrente Sig. (OMISSIS), che ha chiesto l’accoglimento delle difese esposte;
udito l’Avvocato (OMISSIS), difensore dei resistenti, che ha chiesto l’accoglimento delle difese esposte;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio che, previa riunione dei ricorsi, ha concluso per il rigetto del ricorso (OMISSIS) e per l’inammissibilita’ o, comunque, per l’infondatezza del ricorso (OMISSIS).
Con ricorso ex articolo 1171 c.c. per denuncia di nuova opera del 17 aprile 1998, (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), tutti quali proprietari di unita’ immobiliari site in (OMISSIS) ed in atti specificamente individuate, adivano il Pretore di Bari – Sezione Distaccata di Acquaviva delle Fonti esponendo che il proprietario confinante (OMISSIS) stava realizzando sul proprio suolo un vasto edificio in violazione delle distanze prescritte dalla legge. In particolare i ricorrenti lamentavano, in sintesi, che l’opera edile del (OMISSIS), edificata in sostituzione di un vecchio fabbricato, si estendeva su quasi tutto il confine specie nei punti in cui il fabbricato condominiale dei ricorrenti era arretrato di metri 4.50 e, quindi, in violazione delle norme sulle distanze applicabili (articoli 11 N.T.A. al P.R.G. del Comune di (OMISSIS) e Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9), le quali prevedevano una distanza minima di metri cinque dal confine non edificato e di metri dieci tra fabbricati.
Con ordinanza del 19 marzo 1999 l’adito Giudice rigettava la denuncia di nuova opera. Con atto di citazione notificato il 16 giugno 1999 gli originari ricorrenti convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Bari – Sezione Distaccata di Acquaviva delle Fonti il (OMISSIS) al fine, “ove occorra in riforma dell’ordinanza del Pretore di Bari – Sezione Distaccata di Gioia del Colle nella procedura di denuncia di nuova opera”, di sentir dichiarare che la costruzione edificata dal (OMISSIS) stesso era stata realizzata a distanza inferiore a quella legale, nonche’ illegittima la servitu’ atipica che in tal modo si imponeva agli attori medesimi, con condanna del convenuto a ripristinare l’originario stato dei luoghi e al risarcimento dei danni. Costituitosi in giudizio il convenuto eccepiva l’inammissibilita’ dell’appello avverso l’anzidetta ordinanza-sentenza del Pretore in quanto passata in giudicato, contestando – nel merito – la fondatezza delle avverse domande, di cui chiedeva il rigetto, con condanna degli attori – richiesta in via riconvenzionale – al risarcimento del danno (indicato in lire 4miliardi) ex articolo 96 c.p.c..
Con successivo ricorso lo stesso (OMISSIS) chiedeva il sequestro conservativo di tutti beni mobili ed immobile degli attori.
Rigettata l’istanza di sequestro conservativo, espletata ispezione giudiziale dei luoghi e svolta consulenza tecnica di ufficio, la causa veniva rinviata per precisazione delle conclusioni ed – all’udienza a tal fine disposta – intervenivano in giudizio, quali proprietari degli appartamenti al primo piano dello stabile edificato dal (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), gli ultimi due quali esercenti la potesta’ genitoriale sulla figlia minore (OMISSIS), i quali tutti formulavano eccezione di difetto di giurisdizione e, nel merito, chiedevano il rigetto delle domande di parti attrici.
L’adito Giudice di primo grado, con sentenza in data 4 luglio 2001, accoglieva, nel merito e per quanto di ragione, la domanda attorea e, dichiarata l’illegittimita’ sia della costruzione del (OMISSIS), quanto ai piani superiori al primo per violazione delle distanze, che la servitu’ atipica ed l’asservimento conseguente all’edificazione, condannava il convenuto ripristinare l’originario stato dei luoghi previa demolizione delle parti di costruzione illegittime, nonche’ al risarcimento dei danni da liquidarsi in separata sede ed al pagamento delle spese del giudizio, con compensazione integrale delle medesime fra gli attori e gli intervenuti.
Avverso la suddetta sentenza del primo giudice interponeva appello il (OMISSIS), chiedendo la riforma dell’impugnata decisione, il rigetto delle avverse domande e l’accoglimento della propria domanda di risarcimento danni ex articolo 96 c.p.c..
Aderivano a tale impugnazione i citati intervenuti, insistendo – preliminarmente – nella sollevata eccezione di difetto di giurisdizione.
Parti appellate eccepivano l’inammissibilita’ ex articolo 342 c.p.c. del proposto appello, di cui chiedevano – nel merito – il rigetto, con conferma dell’impugnata sentenza.
L’adita Corte di Appello di Bari, con sentenza n. 681/2008, confermava l’appellata sentenza, con condanna dell’appellante alla refusione agli appellati delle spese del grado di giudizio.
Per la cassazione dell’anzidetta decisione della Corte territoriale ricorre (OMISSIS), con atto in data 25 marzo 2009 (R.G.: 8280/2009), affidato a tre ordini di motivi.
Resistono con controricorso (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).
Ricorrono, altresi’, avverso la medesima sentenza della Corte di Appello di Bari (OMISSIS) e (OMISSIS) con atto del 26 settembre 2009 fondato su cinque ordini di motivi. (R.G. 20859/2009).
Resistono con controricorso a tale ultimo ricorso i predetti medesimi controricorrenti.
RITENUTO IN DIRITTO
1.- Con il primo motivo del ricorso R.G. 8280/2009 si censura il vizio di “violazione e falsa applicazione dell’articolo 295 c.p.c. e articolo 337 c.p.c., comma 2 censurabile ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 4”.
Il motivo e’ assistito dalla formulazione di quesito ai sensi dell’articolo 366 bis c.p.c. Parte ricorrente lamenta, in sostanza, la nullita’ dell’impugnata sentenza per non aver la Corte di Appello sospeso il processo in attesa della definizione pregiudiziale del giudizio amministrativo avente ad oggetto la legittimita’ della concessione edilizia, tra l’altro, proprio in relazione all’asserita violazione delle distanze legali.
Il motivo e’ infondato e, come tale, deve essere rigettato.
La questione dedotta in giudizio e’ essenzialmente inerente una controversia civile in materia di rispetto di distanze fra costruzioni.
Spettava la Giudice del merito la valutazione di quanto potessero influire sulla precipua materia oggetto del contendere le varie questioni poste all’attenzione della giurisdizione amministrativa. E, quindi, valutare l’opportunita’ o meno di una sospensione facoltativa del giudizio civile.
Tanto, come e’ ovvio, fermi gli ambiti di attribuzione delle varie differenti questioni alle rispettive giurisdizioni (ordinaria ed amministrativa) delle autorita’ Giudiziarie chiamate ad intervenire, ma non necessariamente vincolate, in sostanza, ad attendere l’una il giudizio dell’altra.
D’altra parte la stessa giurisprudenza del Consiglio di Stato ha avuto piu’ volte occasione, a chiarimento dell’aspetto, di ribadire gli esatti limiti in tema di rispetto della nota ripartizione delle competenze secondo giurisdizione. E, quindi, di affermare che, quando si verte in materia di norme che prescrivono le distanze fra le costruzioni, i proprietari dei fabbricati devono chiedere, se lo vogliono, il rispetto delle dette norme concernenti un diritto soggettivo al giudice ordinario, dovendosi -viceversa- rivolgersi al giudice amministrativo allorquando sia contestata la legittimita’ del titolo abilitativo ad edificare rilasciato in violazione di legge, questione – quest’ultima – coinvolgente una ipotesi di interesse legittimo (v., da ultimo : Cons. Stato, sez. 4, 16 novembre 2007, n. 5837). La stessa giurisprudenza di questa Corte (in particolare, Cass. 1 agosto 2007, n. 16992) invocata per sostenere la fondatezza del motivo qui in esame non prevede invero una sorta di necessaria sospensione in fattispecie come quella per cui e’ giudizio. E rende sempre salva la valutazione del Giudice del merito in ordine alla valutazione (svolta correttamente, in ipotesi, in sede di merito) circa la mancata necessita’ della sospensione in relazione ad un motivo “astrattamente idoneo ad inficiare la successiva pronuncia di merito”. 2.- Con il secondo motivo del ricorso in esame si deduce il vizio di “violazione e falsa applicazione degli articoli 62 e 63 dei R.E. di (OMISSIS), ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3: insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5”.
Il motivo e’ assistito, quanto alla prima violazione denunciata (articolo 360 c.p.c., n. 3) da quesito ai sensi dell’articolo 366 bis c.p.c..
3.- Con il terzo motivo del ricorso parte ricorrente lamenta la “violazione e falsa applicazione degli articoli 873, 874, 875, 876 e 877 c.c., articolo 6, commi 4 e 11 delle Norme Tecniche di Attuazione del P.R.G. di (OMISSIS), ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3”. Il motivo e’ assistito dalla formulazione di quesito si sensi dell’articolo 366 bis c.p.c..
In sostanza col motivo in esame si propone, alla stregua della normativa regolamentare e di attuazione innanzi citata, una rilettura della facolta’ spettante al prevenuto in tema di osservanza di distanza tra costruzioni. Tanto in dipendenza della peculiarita’ della fattispecie contrassegnata dalla demolizione di precedente costruzione (gia’, in parte, in aderenza) e realizzazione di nuovo manufatto di fronte all’edificio costruito dal preveniente e contraddistinto da un profilo cosiddetto a linea spezzata ovvero costruito con il piano terra a confine gai con i successivi piani fino all’ultimo rientranti con arretramenti, rispetto al confine, in due punti per una profondita’ di metri quattro e duna larghezza di circa metri dodici.
Piu’ specificamente l’edificio condominiale cui sono interessate le parti controricorrenti fu realizzato nel 1968 con licenza 28.8.1968 in assenza di P.R.G., poi adottato dal Comune di (OMISSIS) nel 1974 ed entrato in vigore nel 1977. Nell’area frontistante il predetto edificio veniva, poi, avviata nel 1997 la costruzione del ricorrente (OMISSIS), a seguito di C.E. n. 384/1997 e variante n. 6/1998, aventi ad oggetto demolizione e ricostruzione di edificio in zona B-1. In particolare parte ricorrente prospetta una interpretazione del noto principio della prevenienza di guisa che “non puo’ riconoscersi al preveniente la facolta’ di adottare una scelta variabile fra le varie parti o piani dell’edificio, che imporrebbe poi al prevenuto che di elevare a sua volta un edificio con i muri perimetrali a linea spezzata’”.
4.- I due motivi nell’ipotesi di cui innanzi sub 2. e 3. possono essere trattati congiuntamente attesa la loro continuita’ logica ed argomentativa.
In effetti si verte, in entrambi i casi denunciati in ricorso, in tema di corretta e motivata applicazione del disposto di cui alla normativa edilizia di (OMISSIS) (ed, in particolare, degli articoli 62 e 63 del R.E. e dell’articolo 6, commi 4 e 11 delle N.T.A. del locale P.R.G.), normativa dall’interpretazione e dalla valenza applicativa della quale deriva, in pratica, la sussistenza o meno della violazione delle distanze e, quindi, la fondatezza o meno del ricorso.
Si tratta, a ben vedere, di valutare se e quanto influisce sulla controversia di distanze dal confine in esame la normativa regolamentare.
Ed, ancora, se e come agisca nella fattispecie la previsione di cui alla citata normativa attuativa. Quanto al primo dei due sopra riassunti profili deve osservarsi che il Regolamento Edilizio del Comune di (OMISSIS) fu approvato con Delib. 30 novembre 1935, n. 594 e che la disciplina da esso dettata fu successivamente trasfusa nell’articolo 24, n. 4, lettera d del nuovo Regolamento Edilizio approvato con Delib. Presidente della Regione 27 febbraio 1974, n. 537. Orbene secondo la disposizione di cui all’articolo 62, comma 2 del Regolamento del 1935 (vigente all’epoca della realizzazione del fabbricato condominiale dei prevenienti e poi trasfuso nell’anzidetto nuovo Regolamento) “ogni chiostrina o pozzo di luce o cavedio” fra fabbricati doveva rispondere a determinati requisiti. E, in particolare, doveva “avere un’area libera uguale almeno ad un diciottesimo della somma delle superfici dei muri che la delimitano e la normale minima tra i muri opposti deve essere di mt. 3”. La successiva e pure invocata norma regolamentare ex articolo 63 prescriveva che, “quando chiostrine e cortili si costruiscono sul confine di altre proprieta’, i computi si eseguono supponendo costruito sui lati del confine un muro della massima altezza consentita……”.
La Corte territoriale, con la sentenza gravata, ha escluso del tutto che “le disposizioni che disciplinano i cortili e in genere gli spazi liberi esistenti fra costruzioni finitime” possano costituire “norme integrative di quelle codicistiche”.
Tanto sulla scia di quanto gia’ affermato dal giudice di prime cure (ed espressamente richiamato), nonche’ del noto orientamento giurisprudenziale di questa Corte, secondo cui “quando una costruzione sia stata realizzata non gia’ lungo una linea retta, ma lungo una linea spezzata, ora coincidente con il confine, ora no, il vicino prevenuto deve rispettare le distanze imposte dalla legge e dai locali regolamenti edilizi, computate dalle sporgenze e dalle rientranze dell’altrui fabbrica (e) quindi potra’ costruire in aderenza solo in quei tratti in cui l’edificio del preveniente si trova sul confine” (da ultimo, Cass. 5 dicembre 2001, n. 15367). Senonche’ la decisione impugnata appare in punto errata sotto i profilo della ricostruzione della corretta applicabilita’ della normativa regolamentare e del lamentato difetto motivazionale.
Difatti il generale (e ribadito) principio di cui anche alla sentenza di questa Corte innanzi appena riportato deve essere coniugato – volta per volta rispetto alle singole peculiari fattispecie – con la corretta valutazione proprio di quelle norme regolamentari (“rispetto delle distanze imposte dalla legge e dai locali regolamenti”). Trattasi, quindi, di verificare non in astratto e conseguentemente di motivare se nella concreta fattispecie le citate norme del Regolamento Edilizio introducevano una deroga alla disciplina generale del distacco tra fabbricati.
Dette norme, come si evince dalla lettura delle stesse, sono contrassegnate da un chiaro riferimento alla supposizione, in relazione ai calcoli di computo della chiostrina, di “un muro costruito sui lati del confine”. Tale previsione non avrebbe senso laddove l’edificazione successiva non fosse concretamente possibile e rinviene la sua giustificazione logico-giuridica proprio nella possibilita’ del vicino prevenuto di edificare sul confine. Ricostruita in tal senso, alla richiamata normativa regolamentare non puo’ negarsi, nel caso di specie, una portata precettiva anche in relazione alla materia delle distanze legali nei rapporti fra confinanti. Non possono, a contrario, valere le argomentazioni fatte proprie dalla gravata sentenza, secondo il noto generale principio, che le norme sui cortili non assorbono quelle relative alle distanze” ed, ancora (come asserito in CTU) che un’influenza sulle distanze per effetto realizzazione della chiostrina (accertata come tale) potrebbe comportare “un diritto di costruire in aderenza ad un muro inesistente (ma) considerato fittiziamente esistente soltanto ai fini del calcolo dell’ampiezza delle chiostrine”.
Invero il richiamo dell’articolo 62 del cennato Regolamento da parte del successivo articolo 63 (che si occupa anche delle distanze) depone nel senso che le disposizioni regolamentari edilizie riguardanti chiostrine, cortili e caveau allorche’ non si limitino – come usualmente avviene – a regolare le dimensioni di detti spazi (nel qual caso vale il principio affermato, fra l’altro, dalla citata Cass. n 15367/2001), perseguendo, come in ipotesi, finalita’ differenti, assumono valenza incidente in materia di distanze legali.
E la stessa ipotetica considerazione della Corte territoriale in ordine ad una mancata espressa deroga appare non fondata ove si pensi che la non considerata, norma regolamentare (articolo 29 del Nuovo Regolamento edilizio del 1974, successiva all’articolo 24, in cui veniva trasfusa la previgente normativa regolamentare) faceva espressamente riferimento alla ratio di “non pregiudicare il alcun modo le possibilita’ costruttive dei confinanti”.
I motivi qui esaminati vanno, quindi, accolti.
5.- L’accoglimento dei motivi di cui innanzi comporta conseguentemente che la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio della causa ad altra sezione della Corte di Appello di Bari, affinche’ la stessa decida la controversia uniformandosi ai principi di diritto sopra enunciati.
6.- Con il primo motivo del ricorso R.G. 20859/2009 si prospetta il vizio di “violazione articolo 112 c.p.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – nullita’ della sentenza e del procedimento – omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 5”.
7.- Con il secondo motivo del ricorso R.G. 20859/2009 in esame si censura il vizio di “violazione dell’articolo 112 c.p.c., omessa pronuncia – nullita’ della sentenza e del procedimento in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 5”.
8.- Con il terzo motivo del secondo ricorso qui in esame si deduce il vizio di “violazione e falsa applicazione degli articoli 55 – 62 e 63 regolamento edilizio del Comune di (OMISSIS) – Violazione e falsa applicazione articolo 6, comma 3 delle norme tecniche di attuazione – violazione e falsa applicazione articolo 873 cod. civ. – violazione e falsa applicazione della Legge 17 agosto 1942, n. 1150, articolo 873 – violazione e falsa applicazione articolo 12 disp. gen., tutte in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3”.
9.- Con il quarto motivo del secondo ricorso ora in esame si censura il vizio di “contraddittoria motivazione in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5”.
10.- Con il quinto ed ultimo motivo del ricorso proposto dai (OMISSIS) si deduce la “violazione e falsa applicazione degli articoli 873, 874, 876 e 877 cod. civ. articolo 6, comma 4 e articolo 11 Norme Tecniche di Attuazione del Comune di (OMISSIS) – violazione articolo 12 disp. gen. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.
11.- Il ricorso R.G. n. 20859/2009 deve essere dichiarato inammissibile.
Lo stesso, infatti, attesa la notifica del ricorso principale del (OMISSIS) in data 27 marzo 2009, stante il noto principio di unicita’ delle impugnazioni desumibile dalla norma ex articolo 333 c.p.c. poteva essere solo proposto (cosi’ come non lo e’ stato) quale ricorso incidentale nei termini di legge.
Tanto comporta l’inammissibilita’ del ricorso in esame.
La Corte:
riuniti i ricorsi, rigetta il primo motivo del ricorso iscritto al n. R.G. 8280/2009, accoglie il secondo ed il terzo motivo del medesimo ricorso e dichiarato inammissibile il ricorso iscritto al n. 20859/2009 R.G. cassa l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Corte di Appello di Bari
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