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Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza 18 luglio 2013, n. 30852

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 16.1.2012, la Corte di Appello di Ancona, in riforma della sentenza di condanna pronunciata dal gup del locale Tribunale nei confronti di R.G. , B.L. e Ba.Ag. , per il reato di sequestro di persona a scopo di estorsione in danno di U.A. , con l’aggravante di cui all’art. 112 nr. 2 c.p. per il B. ; nei confronti del R. e del B. acnhe per il reato di lesioni personali in danno della stessa persona offesa e nei confronti del solo R. , infine, per il reato di cui all’art. 4 L. 18.4.1975 nr. 110, riduceva le pene inflitte al R. e al B. , confermando integralmente la sentenza di primo grado nei confronti del Ba. .
2. Il R. e il B. erano stati pacificamente gli autori materiali del sequestro, eseguito il (OMISSIS) nei pressi dell’abitazione della persona offesa sotto gli occhi dei suoi familiari. L’U. era stato percosso e, quindi, stordito con un “teiser”, per essere infine caricato a bordo di un furgone e portato presso l’agriturismo (omissis) , dove era rimasto fino al giorno successivo essendo stato quindi liberato dai suoi sequestratori.
2.1. Il Ba. era stato ritenuto dal gup l’organizzatore del sequestro, per avere prenotato la stanza dell’agriturismo dove la vittima era stata ricoverata e per essersi occupato del noleggio di un furgone nei giorni immediatamente precedenti l’esecuzione del delitto; a suo carico, peraltro, rilevava il gup, militavano anche le chiamate di correo dei coimputati e significativi contatti telefonici nel periodo sensibile per l’accusa.
3. La Corte territoriale, pur ritenendo possibile in astratto ipotizzare che il R. e il B. avessero deciso il sequestro estemporaneamente, senza il previo concerto con il Ba. , che avrebbe dato loro mandato di effettuare soltanto una spedizione punitiva contro l’U. , riteneva tuttavia che in ogni caso il Ba. avesse successivamente assunto la direzione dell’impresa criminale, facendo proprie le determinazioni dei complici.
4. Quanto al trattamento sanzionatorio, i giudici di appello, pur mitigando le pene inflitte al R. e al B. , confermavano però nei confronti di entrambi l’esclusione dell’attenuante di cui all’art. 630 co V c.p.; confermavano altresì l’esclusione, nei confronti del Ba. , dell’attenuante di cui all’art. 630 co. IV c.p., rilevando il nessun contributo fornito in concreto dallo stesso imputato alla liberazione dell’ostaggio; così come confermavano l’esclusione nei confronti del predetto Ba. , dell’attenuante di cui all’art. 62 nr. 6 c.p., ritenendo non provata la congruità della somma offerta dall’imputato alle persone offese a titolo di risarcimento del danno, peraltro solo dopo l’instaurazione del giudizio.
5. Hanno proposto ricorso per cassazione il B. e il Ba. .
5.1. I difensori del Ba. , estensori di due distinti atti di impugnazione, eccepiscono in sintesi;
a. violazione di legge in relazione ai criteri normativi di vantazione della prova, in punto di conferma del giudizio di responsabilità del ricorrente per il reato di cui all’art. 630 c.p.

La Corte non avrebbe considerato che il Ba. si sarebbe limitato a dare mandato al B. , che già in precedenza aveva officiato di analoghi incarichi, di recuperare un credito vantato nei confronti della persona offesa; la stessa sentenza di appello riconosce che il B. aveva ricevuto istruzioni nel senso di limitarsi a “spaventare” l’U. , per convincerlo a pagare. Il diverso sviluppo dell’azione criminosa nei termini dell’evoluzione verso il sequestro di persona sarebbe stato quindi il frutto di una iniziativa unilaterale e imprevedibile del B. , che sarebbe del tutto inattendibile nel suo tentativo di coinvolgere il Ba. , attese le numerose contraddizioni nelle sue dichiarazioni e i suoi discutibili profili personali. In tutta la vicenda il ricorrente si sarebbe soltanto adoperato per la liberazione dell’ostaggio, una volta appreso del sequestro. In qualche misura poi, le conclusioni della Corte di merito sarebbero state fuorviate dall’attribuzione al ricorrente, nella parte narrativa della sentenza, del concorso nel reato di lesioni di cui al capo B), mai nemmeno contestatogli:
b. illogicità della motivazione in ordine al l’attribuzione al ricorrente della qualifica di promotore del sequestro, contraddittoria con il riconoscimento che il fatto era avvenuto senza il suo preventivo assenso; ma, più, radicalmente,la Corte di merito avrebbe disatteso, rispetto all’affermazione della partecipazione del ricorrente al sequestro,i principi in materia di concorso di persone nel reato, ampiamente approfonditi dalle difese.
c. violazione di legge in relazione alla qualificazione giuridica del fatto; ai fini della configurabilità della fattispecie di cui all’art. 630 c.p.,mancherebbe qualunque rapporto sinallagmatico tra la dazione di denaro e la restituzione in libertà dell’ostaggio non potendosi condividere la minoritaria giurisprudenza “estensiva” secondo cui la norma incriminatrice dovrebbe trovare applicazione anche nei casi in cui il sequestro trovi la propria causa nel perseguimento di un profitto ingiusto, senza dire che, in definitiva, il Ba. avrebbe agito per recuperare somme di cui l’U. si sarebbe fraudolentemente procurato ai suoi danni, mentre sarebbe inverosimile supporre chéti Ba. potesse essere stato così ingenuo da prenotare una camera di albergo per destinarla alla custodia dell’ostaggio. In ogni caso, il fatto andrebbe ricondotto alla meno grave ipotesi di reato di cui all’art. 393 c.p..
d. difetto di motivazione in ordine all’esclusione delle attenuanti di cui agli art. 116 c.p. e 114 c.p., e per converso, in ordine all’affermazione dell’aggravante di cui all’art. 112 nr. 2 c.p., come anche in ordine all’esclusione dell’attenuante di cui all’art. 62 nr. 6 c.p., negata nonostante la congrua offerta risarcitoria effettuata dal ricorrente all’udienza del 10.11.2010, valutabile almeno come espressione di ravvedimento operoso, secondo una delle alternative previsioni dell’art. 62. Cit..
e. Con motivi aggiunti, pervenuti alla cancelleria di questa Corte il 20.3.2013, l’avv. Toccaceli rileva il vizio di violazione di legge della sentenza e il difetto di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle lieve entità del fatto. La censura si pone in relazione ai contenuti normativi dell’art. 630 c.p. come integrati e corretti dalla sentenza “additiva” della Corte Costituzionale nr. 68 del 19.3.2012 (depositata il successivo 23.3.2012), che ha dichiarato l’Illegittimità costituzionale della norma nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata sia diminuita quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità. Ciò, sul presupposto che la norma impugnata prevede una risposta sanzionatoria di eccezionale asprezza non ragionevolmente proporzionata all’intera gamma dei fatti riconducibili al modello legale essendo quindi censurabile la mancata previsione di una circostanza attenuante che consenta al giudice di mitigare la risposta punitiva, in presenza di elementi oggettivi rivelatori di una limitata gravità del fatto, sulla falsariga di quanto è consentito dall’art. 311 del codice penale in rapporto al sequestro di persona a scopo terroristico o eversivo con il quale l’art. 630 c.p. presenta numerosi punti di contatto, ma rispetto al quale è ingiustificatamente privo, con conseguente violazione dei principi di uguaglianza e ragionevolezza stabiliti dall’art. 3 Cost., di una attenuante per i fatti di lieve entità, analoga a quella applicabile alla fattispecie “gemella”.
f. Violazione di legge e difetto di motivazione in ordine al mancato riconoscimento, a favore del ricorrente, dell’attenuante della liberazione dell’ostaggio. In sintesi, la difesa, dopo avere ricordato il rapporto tra “dissociazione” e “liberazione” nella lettura dell’art. 630 co. IV c.p. imposta dalla sentenza della Corte costituzionale nr. 143 del 1984, rileva che qualunque connotazione voglia darsi alla stessa attenuante essa dovrebbe comunque essere applicata anche a favore del ricorrente; l’opzione della circostanza soggettiva, implicherebbe la valorizzazione dell’intento comunque manifestato anche dal ricorrente di liberare l’ostaggio; l’opzione “oggettiva”, mobiliterebbe a favore del Ba. l’effetto estensivo previsto dall’art. 59 c.p..
5.2. Nell’interesse del B. la difesa deduce il vizio di violazione di legge ai sensi dell’art. 606 lett. b) c.p.p., e la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione al mancato riconoscimento dell’attenuante di cui al V comma dell’art. 630 c.p.; la Corte di merito non avrebbe tenuto conto che l’individuazione del Ba. come mandante del sequestro sarebbe stata fornita dal ricorrente prima che emergessero altri indizi a carico del coimputato, e che proprio le dichiarazioni del B. avevano dato impulso ad ulteriori, significative acquisizioni probatorie, come le dichiarazioni del titolare dell’azienda agricola (OMISSIS) . Analoghi profili di legittimità la difesa deduce con riferimento alla mancata concessione delle attenuanti generiche, nonostante la pronta ammissione delle proprie responsabilità da parte del ricorrente, la sua collaborazione con gli inquirenti e le sue iniziative risarcitorie.

Considerato in diritto

I ricorsi sono infondati.
1. Quanto al ricorso del Ba. , occorre procedere dall’ovvia premessa di fondo che la decisione di appello è integralmente confermativa, nei suoi confronti,della sentenza di primo grado. Ciò consente di applicare nella specie il principio secondo cui allorché le sentenze di primo e secondo grado concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complesso corpo argomentativo(Cass. Sez. 1, Sentenza n.8868del 26/06/2000 Sangiorgi). Una certa dissonanza dalle vantazioni della sentenza di primo grado è espressa dal rilievo che lo scopo originario degli imputati non fosse quello di sequestrare la vittima, ma soltanto di spaventarla. Nella motivazione della sentenza di appello, il rilievo è formulato inizialmente soltanto in termini ipotetici (vedi pag. 20 della sentenza: “ancorché sia possibile in astratto ipotizzare che l’originario disegno degli imputati non fosse quello di sequestrare U.A. ma solo quello di spaventarlo anche se nel prosieguo (pag. 23) la Corte mostra di aderire a questa ricostruzione dei fatti in modo più convinto; ma i giudici di appello non criticano come illogiche le contrarie conclusioni della sentenza di primo grado, che anticipa l’intervento del ricorrente al momento dell’organizzazione e della programmazione del sequestro e d’altra parte valorizzano in definitiva, come termine di riferimento probatorio della diversa ipotesi della variazione di programma, esclusivamente le interessate dichiarazioni degli imputati; considerato anche lo specifico rapporto tra le due sentenze di merito, che per il delitto in oggetto approdano allo stesso risultato di un giudizio di condanna nei confronti del Ba. nulla impedisce quindi di accreditare la ben più logica ipotesi ricostruttiva del giudice di primo grado.
2. In particolare, il gup sottolinea che l’U. era stato aggredito sotto la propria abitazione da due soggetti con il volto travisato da passamontagna, che lo avevano prima percosso e poi stordito con un “teiser” (dissuasole elettrico), caricandolo infine su un furgone; che nella stessa giornata era pervenuta ai familiari una telefonata minatoria con richiesta del pagamento della somma di Euro 50.000,00; che le indagini si erano subito indirizzate nei confronti del R. e del B. , quest’ultimo poi autore di un’immediata confessione in occasione del suo fermo, con il coinvolgimento del Ba. ; sottolinea, ancora che nei confronti del Ba. erano stiate acquisite le dichiarazioni del titolare dell’azienda agricola (OMISSIS) , che aveva precisato che proprio il Ba. aveva prenotato una stanza singola per più giorni che a suo dire avrebbe dovuto essere utilizzata da una persona che lavorava con i computers; che il Ba. risultava essersi soffermato a parlare con un altro soggetto nello spiazzale della ditta Edilsystem, noleggiatrice del furgone utilizzato per il sequestro, mentre una dipendente della stessa ditta aveva aggiunto che un uomo le aveva preannunciato che due suoi amici avrebbero dovuto noleggiare un camioncino nel pomeriggio dello stesso giorno; che l’analisi dei tabulati telefonici aveva rivelato contatti telefonici più che significativi tra il Ba. e il B. nella giornata del (omissis) , nelle ore immediatamente successive al prelevamento coatto dell’U. dalla sua abitazione.
2.1. Le risultanze istruttorie conclamano quindi con ogni evidenza l’ipotesi dell’accurata preordinazione del sequestro, se non altro come sviluppo dei fatti preventivamente considerato dagli autori in caso di non immediato soddisfacimento delle loro pretese, perché rispetto al semplice proposito di spaventare la vittima non avrebbe avuto senso, tra l’altro, il procacciamento di un furgone e di strumenti di narcosi elettrica, senza dire che tanto il R. che il B. avevano subito dichiarato (cfr. pagg. 11 e 12 della sentenza di primo grado) che l’intesa con il Ba. prevedeva che l’U. fosse “preso con la forza” e “trattenuto” fino a quando i familiari non avessero pagato la somma richiesta. È vero che il B. avrebbe poi finito con il sostenere la tesi della decisione estemporanea (“imparzialmente” registrata dal gup a pag. 21 della sentenza), ma secondo le sue iniziali dichiarazioni era stato concordato preventivamente anche il ricovero della vittima presso l’agriturismo (omissis) . La concludenza complessiva del quadro probatorio a carico del Ba. , arricchito da più che significativi contatti telefonici tra lo stesso ricorrente e il B. nella giornata del (omissis) non potrebbe quindi essere più evidente, tanto per la sua partecipazione al sequestro che per il suo ruolo di organizzatore dell’impresa criminale, e ciò anche per risultati di prova non solo diversi dalle chiamate di correo dei B. e del R. (che trovano comunque granitici riscontri, secondo le giuste vantazioni dei giudici di merito, risultando in conclusione pressoché oziosa l’indagine sull’attendibilità soggettiva dei due coimputati), ma persino autosufficienti, come notano i giudici di merito, per l’attivismo del ricorrente nella ricerca del luogo dove ricoverare la vittima e nelle trattative per il noleggio di un furgone, cioè il mezzo effettivamente utilizzato per prelevare l’U. . Che si trattasse dello stesso mezzo o di altro diverso rispetto alle previsioni iniziali, come ritiene di sottolineare la difesa, conta poi pochissimo, perché questo nulla dice sull’impiego che ne era stato previsto; mentre sarebbe davvero arduo ipotizzare una casuale coincidenza della scelta, come luogo del sequestro, da parte dei coimputati del Ba. , dello stesso agriturismo (OMISSIS) che il ricorrente avrebbe individuato per tutt’altro scopo, che non risulta in alcun modo provalo.
2.2. È evidente, per concluderei sull’argomento, che le poche righe dedicate alla questione nella sentenza di appello, senza alcuna riflessione critica sulla ben più approfondita analisi delle risultanze istruttorie contenuta nella sentenza di primo grado, comunque confermata anche in merito all’aggravante di cui all’art. 112 nr. 2 c.p., non valgono nel senso di una “revisione” delle vantazioni del gup, senza dire che il ruolo direttivo del ricorrente considerato dai giudici di appello, e pur esso contemplato nell’imputazione, è compatibile, al contrario del ruolo di promozione o organizzazione del sequestro con un intervento successivo del Ba. nella vicenda; e non sarebbe smentito, secondo quella che costituirebbe un’impropria vantazione retrospettiva, dalla circostanza che i complici del ricorrente avessero poi deciso autonomamente di liberare l’ostaggio, considerando che il R. e il B. agirono d’istinto sotto l’impulso psicologico del risalto mediatico assunto dal sequestro;
2.3. Nessuna influenza ha nelle vantazioni della Corte di Appello, l’evidente refuso iniziale sulla ricostruzione, soltanto “descrittiva”, del quadro delle responsabilità penali nelle premesse della sentenza. Dell’imputazione di cui al capo B) non c’è poi traccia alcuna nel corpo argomentativo della sentenza nella parte dedicata alla posizione del Ba. , e davvero non si può indugiare sulle sotterranee e ineffabili influenze psicologiche che secondo la difesa il refuso avrebbe determinato, deviando l’iter argomentativo della decisione impugnata. Ovvia è inoltre, alla stregua della corretta ricostruzione del ruolo del ricorrente nel sequestro, l’esclusione dell’applicazione degli artt. 116 e 114 c.p., dovendo essere ribadita, al contrario, la configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 112 nr. 2 c.p..
3. In ordine al profitto perseguito con il sequestro, il gup si sofferma sulla causale della richiesta della somma di Euro 50.000,00 (pagg. 12 e 13 della sentenza di primo grado) rilevando l’inesistenza di qualunque valido titolo giustificativo, in una certa misura ammessa dallo stesso Ba. , senza che le deduzioni difensive forniscano indicazioni di minima concretezza per affermare l’esistenza di crediti preesistenti del Ba. nei confronti della vittima come presupposto della qualificazione del fatto ai sensi dell’art. 393 c.p.. Ciò consentirebbe già di riferire te pretese economiche dei compartecipi del sequestro al prezzo per la liberazione dell’ostaggio ma, in ogni caso, anche la condotta criminosa consistente nella privazione della libertà di una persona finalizzata a conseguire come prezzo della liberazione una prestazione patrimoniale oggetto di illegittime pretese precedenti, integra il reato di sequestro di persona a scopo di estorsione di cui all’art. 630 cod. pen. e non il concorso del delitto di sequestro di persona (art. 605) con quello di estorsione, consumata o tentata, ai sensi degli artt. 629 e 56 stesso codice alla stregua del condivisibile indirizzo della giurisprudenza di legittimità autorevolmente consacrato da Cass. Sez. U, n. 962 del 17/12/2003.
4. Vanno disattesi anche i motivi subordinati del ricorrente sul trattamento sanzionatorio.
4.1. Quanto all’aggravante di cui all’art. 112 nr. 2 c.p., si è già accennato che la risposta dei giudici di merito è implicita nella corretta valutazione del ruolo organizzativo – direttivo del Ba. . In merito all’attenuante di cui all’art. 62 nr. 6 c.p., non solo la difesa non oppone decisivi argomenti alla vantazione della non integralità del risarcimento del danno offerto dal ricorrente alle persone offese, ma è pacifico che l’iniziativa risarcitoria fu assunta non prima ma durante il giudizio, e precisamente all’udienza del 10.11.2010, come ricorda la stessa difesa. Esclusa la possibilità di considerare l’attenuante del risarcimento del danno, le iniziative riparatorie dello stesso ricorrente non potrebbero poi essere diversamente considerate come sintomo di resipiscenza espressa nella forma di un ravvedimento operoso, alla stregua della seconda ipotesi dell’art. 62 nr. 6 c.p.. Le due circostanze attenuanti del reato contenute nell’art. 62 n. 6 cod. pen. (riparazione totale del danno e ravvedimento operoso) hanno infatti sfere di applicazione autonome, l’una essendo correlata al danno inteso in senso civilistico, e cioè alla lesione patrimoniale o anche non patrimoniale, ma economicamente risarcibile, l’altra collegandosi, invece, al danno cosiddetto criminale, cioè alle conseguenze, diverse dal pregiudizio economicamente risarcibile, che ineriscono alla lesione o al pericolo di lesione del bene giuridico tutelato dalla norma penale violata. Ne consegue che le due ipotesi, pur potendo essere congiuntamente applicate, con un unico effetto riduttivo, nei reati diversi da quelli contro il patrimonio, nei quali la condotta del colpevole, successiva alla commissione del reato, abbia distintamente realizzato le autonome previsioni normative, non sono tra loro fungibili né possiedono reciproca capacità integratrice, con la conseguenza che il risarcimento del danno che non valga ad attenuare il reato secondo la prima previsione non può essere valutato nemmeno con riferimento alla seconda ipotesi (Sez. 1, Sentenza n. 27542 del 27/05/2010, Galluccio, relativa all’ipotesi del risarcimento parziale, alla quale deve essere equiparata, per l’identità degli effetti, quella del risarcimento intempestivo).
4.2. Non si presta a censura nemmeno il diniego, nei confronti del ricorrente, dell’attenuante della liberazione dell’ostaggio. Ed invero, ai fini della concessione della circostanza attenuante della dissociazione diretta a far riacquistare al soggetto passivo la libertà occorre da un lato, che la dissociazione sia volontaria e che si realizzi anteriormente alla liberazione dell’ostaggio prima del pagamento del riscatto, dall’altro, che il comportamento del dissociato si traduca in fatti concreti, finalisticamente indirizzati alla liberazione del sequestrato ed eziologicamente rilevanti per il raggiungimento dello scopo della cessazione del sequestro (Sez. 5, Sentenza n. 43713 del 22/11/2002 Malatesta ed altro). Ma se l’iniziativa di taluno dei concorrenti nel sequestro; diretta a procurare la libertà alla vittima, deve essere concreta ed effettivamente utile, ne consegue, come ovvio corollario, che l’attenuante non potrà applicarsi a quello dei complici che, a liberazione avvenuta, manifesti la condivisione della decisione di por fine al sequestro o si adoperi per la liberazione nell’ignoranza dell’iniziativa già efficacemente (e “conclusivamente”) assunta in tal senso dai complici. Tanto nel caso di specie è rilevabile nei confronti del Ba. , essendo pacifico che la liberazione dell’U. fu eseguita dal R. e dal B. prima e indipendentemente da qualunque sollecitazione del ricorrente. La soluzione negativa non contrasta poi, come sostiene la difesa, con la disciplina generale delle circostanze del reato contenuta negli artt. 59 e ss. C.p.. La particolare formulazione della previsione dell’art. 630 co 4 c.p., e la sua “specialità”, escludono infatti la comunicabilità dell’attenuante in questione ai concorrenti non utilmente attivi nella liberazione dell’ostaggio, perché l’espressione “dissociandosi dagli altri” esprime un’evidente differenziazione delle posizioni dei vari concorrenti rispetto al ruolo di ciascuno nella liberazione, aggiungendo all’evento liberazione (che avrebbe potuto senz’altro essere assunto come fattore di attenuazione della pena nei confronti di tutti i concorrenti) un elemento “personale” dal quale non si può prescindere nell’interpretazione della norma, come non si può prescindere dall’effettività del contributo di ciascuno alla liberazione dell’ostaggio supposto dall’espressione “in modo che il soggetto passivo riacquisti la libertà”. Tali principi non contrastano affatto con le indicazioni della sentenza della Corte Costituzionale nr. 143 del 1984, citata in ricorso, che si limita a rilevare l’incongruità di un’interpretazione dell’art. 630 co 4 c.p., che escluda l’attenuante par i reati mono soggettivi o, per quelli concorsuali, con riferimento all’ipotesi che l’iniziativa della liberazione sia riferibile a tutti i concorrenti, ma non esclude certo la legittimità di una differenziazione nel trattamento punitivo in funzione della effettiva differenziazione del contributo alla liberazione da parte dei singoli concorrenti. Tutto ciò, senza dire che non è nemmeno chiaro da quale fonte di prova la Corte di merito tragga il convincimento che il Ba. impartì ai complici istruzioni per la liberazione dell’U. , anche se a cose fatte. Come ricorda il giudice di primo grado, il ricorrente ha sempre negato il proprio coinvolgimento nel sequestro e sarebbe semplicemente stato informato dell’avvenuta liberazione dell’ostaggio, mentre l’unico contatto intersoggettivo citato nella sentenza del gup come quello dal quale dipese la cessazione del sequestro, sarebbe intercorso tra il R. e il B. (pag. il sentenza di primo grado), non essendovi invece cenno, nella completa analisi delle risultanze istruttorie da parte del gup, di alcun ordine di liberazione dato dal Ba. ai suoi complici.
4.3. Quanto alla questione sull’attenuante delle lieve entità del fatto, introdotta nell’art. 630 c.p. con la sentenza additiva nr. 68/2012 della Corte Costituzionale, occorre far capo, per la definizione dei termini di ammissibilità dei motivi aggiunti al riguardo proposti dalla difesa, al principio secondo cui la pubblicazione, in epoca successiva alla presentazione del ricorso per cassazione, di una sentenza della Corte costituzionale di accoglimento, con contenuto additivo, di una questione di legittimità costituzionale, consente senz’altro al ricorrente di giovarsene anche senza presentare motivi aggiunti, essendo sufficiente il deposito di una semplice memoria difensiva, purché con i motivi originari il giudice di legittimità sia stato investito del controllo della motivazione della sentenza di merito sul punto su cui è intervenuta la declaratoria di incostituzionalità (cfr. Cass. Sez. 6, Sentenza n. 37102 del 19/07/2012 Checcucci e altro con cui venne cassata la sentenza di condanna dei giudici di merito per il delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione, proprio a seguito della pubblicazione della sentenza n. 68 del 2012 della Corte costituzionale).

Nella specie, però, i ricorsi principali a favore del Ba. sono stati presentati tra il 21 e il 29.5.2012, ben oltre la data di deposito della sentenza della Corte Costituzionale (23.3.2012), e in punto di trattamento sanzionatorio sono incentrati sul mancato riconoscimento di circostanze attenuanti, in particolare quelle di cui agli artt. 62 nr. 6, 116 co 2, 114, e 630 co 4 c.p., che attengono ad aspetti esclusivamente soggettivi della condotta di reato, non alla gravità oggettiva del fatto; i motivi aggiunti, depositati il 20.3.2013, superano poi il limite temporale per la proposizione del ricorso principale. Ne consegue che le censure di legittimità sulla mancata applicazione dell’attenuante in questione sono irricevibili. In ogni caso, riguardo al Ba. i giudici di merito sottolineano la rilevante gravità della sua condotta organizzativa che si riflette sulla valutazione dei “mezzi” impiegati per l’esecuzione del sequestro, (cfr. pag. 23 della sentenza di primo grado, integralmente confermata nei confronti del ricorrente, in punto di trattamento sanzionatorio, da quella di appello); e la Corte di merito sottolinea inoltre le inutili sofferenze inflitte alla vittima nel corso della sua segregazione, alla stregua di un dato che rileva oggettivamente, ai fini della valutazione della gravità del fatto, indipendentemente dalla personale partecipazione del Ba. alle violenze.
5. Destituito di fondamento è anche il ricorso del B. . Quanto all’attenuante della collaborazione, i giudici di merito hanno fatto retta applicazione del principio secondo cui l’attenuante di cui al comma quinto dell’art. 630 cod. pen., richiedendo quale presupposto di applicabilità un aiuto concreto, sostanziale e determinante per l’individuazione e la cattura dei correi, non è configurabile nei confronti della persona che faccia recuperare le armi utilizzate per il sequestro ed indichi il nominativo del complice dopo che, a carico di quest’ultimo, erano già emersi inequivoci indizi di colpevolezza (Cass. Sez. 6, Sentenza n.37102del 19/07/2012, Checcucci e altro). Soprattutto nella sentenza di primo grado sono indicati i numerosi e convergenti indizi già acquisiti sul conto del Ba. prima della collaborazione dei coimputati, talché le deduzioni del ricorrente finiscono per risolversi nulla più che in un diverso apprezzamento di merito sull’importanza del suo contributo alle indagini. Le attenuanti generiche, infine, sono state più che correttamente negate dai giudici di appello non solo in considerazione dei negativi profili personali del ricorrente, titolare di plurimi precedenti penali e già sottoposto in passato a misura di prevenzione, ma anche in ragione delle gratuite brutalità alle quali il ricorrente sottopose la vittima. La riparazione del danno è stata poi considerata a favore del ricorrente ai fini dell’applicazione dell’attenuante di cui all’art. 62 nr. 6 c.p..
Più in generale, le valutazioni della Corte di merito in ordine alla determinazione della pena appaiono più che adeguate, nei confronti di entrambi i ricorrenti, alla complessiva analisi dei criteri direttivi fissati dall’art. 133 c.p..
Alla stregua delle precedenti considerazioni i ricorsi devono essere rigettati, con la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

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