dentista

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE II CIVILE

Sentenza  17 gennaio 2014, n. 870

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BUCCIANTE Ettore – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.N. dott., rappresentato e difeso, in forza di procura speciale a margine del ricorso, dagli Avv. Pietragalla Lucia, Contaldi Mario e Contaldi Gianluca, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Pierluigi da Palestrina, n. 63;

– ricorrente –

contro

ORDINE DEI MEDICI CHIRURGHI E DEGLI ODONTOIATRI DI POTENZA –

COMMISSIONE ALBO ODONTOIATRI, in persona del legale rappresentante pro tempore; MINISTERO DELLA SALUTE, in persona del Ministro pro tempore; PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;

PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI POTENZA;

– intimati –

avverso la decisione della Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie in data 15 marzo 2012. (n. 2/12);

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21 giugno 2013 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;

udito l’Avv. Mario Contaldi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. CAPASSO Lucio, il quale ha concluso per il rigetto dei primi tre motivi di ricorso, per l’accoglimento del quarto motivo e l’assorbimento del quinto.

Svolgimento del processo

1. – Con deliberazione in data 13 ottobre 2010, la Commissione albo odontoiatri dell’Ordine di Potenza ha irrogato al dott. S. N. la sanzione della sospensione dall’esercizio della professione di odontoiatra per mesi tre, avendolo ritenuto colpevole dei seguenti fatti a lui addebitati:

– violazione dell’art. 1 codice deontologico, per non avere prestato la massima collaborazione e disponibilità nei rapporti con il proprio Ordine, non presentandosi per ben due volte ad una convocazione del presidente della Commissione odontoiatri, disposta per ottenere chiarimenti in ordine alla pubblicità sanitaria da parte della Medical Dental Project s.a.s., di cui lo stesso dott. S. è socio accomandatario;

violazione degli artt. 55 e 56 codice deontologico, per non avere usato la dovuta cautela nel fornire, negli articoli apparsi sulla rivista “Controsenso”, una efficacia e trasparente informazione al cittadino, per aver diffuso a mezzo stampa, Internet ed altri mezzi, una informazione arbitraria e discrezionale, priva di dati oggetti vi e controllabili, e per non avere escluso qualsiasi forma anche indiretta di pubblicità commerciale, personale o a favore di altri;

violazione dell’art. 65 codice deontologico, per avere partecipato alla Medical Dental Project s.a.s. (di cui risulta socio accomandatario, nonchè operatore medico odontoiatra), con oggetto sociale prevedente un insieme di voci riconducibili ad attività sanitaria non in linea con le norme che regolamentano l’esecuzione, ad esempio, di manufatti protesici, prevedendosi addirittura il noleggio degli stessi in totale assenza di una regolare autorizzazione ministeriale, mancando, altresì, l’indicazione di un responsabile odontoiatra (direttore sanitario) della società.

2. – Con decisione depositata in data 15 marzo 2012, la Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie ha respinto il ricorso dello S..

La Commissione centrale ha rilevato che, senza incorrere in alcun vizio procedimentale, l’Ordine ha comunicato, con nota prot. 1580 del 20 ottobre 2010, il dispositivo della decisione assunta nella riunione del 13 ottobre 2010, della quale è stata contestualmente data lettura all’interessato, riservandosi di depositare le motivazioni in seguito, e ciò trattandosi di procedura che, benchè non espressamente prevista dalla specifica disciplina delle professioni sanitarie, non è lesiva del diritto di difesa del sanitario, come dimostrato dalla stessa condotta processuale del dott. S., il quale ha prodotto, dopo il deposito della motivazione, motivi aggiunti che sono stati presi in esame ad integrazione e completamento del ricorso introduttivo.

La Commissione centrale ha poi escluso le altre ragioni di doglianza, prospettate sotto il profilo: (a) della violazione delle norme sul contraddittorio, per essere stato l’incolpato convocato per la prevista audizione, non davanti al presidente dell’Ordine, ma dinanzi al presidente della Commissione degli odontoiatri; (b) della violazione del principio di immodificabilità del collegio giudicante; (c) della omessa circostanziata contestazione degli addebiti.

Infine, la Commissione centrale ha ritenuto infondate le censure rivolte sia al merito del provvedimento impugnato, sia alla misura della sanzione inflitta.

3. – Per la cassazione della decisione della Commissione centrale il dott. S. ha proposto ricorso, con atto notificato il 25 ottobre 2012, sulla base di cinque motivi.

Nessuno degli intimati ha svolto attività difensiva in questa sede.

Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo (violazione del D.P.R. 5 aprile 1950, n. 221, artt. 39 e 47, della L. 7 agosto 1990, n. 241, artt. 21-septies e 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, e insufficiente e contraddittoria motivazione) ci si duole che sia stata esclusa la nullità del provvedimento che ha inflitto la sanzione, nonostante lo stesso manchi dell’intera motivazione. Ad avviso del ricorrente, l’art. 47 del regolamento per l’esecuzione del D.Lgs. del Capo provvisorio dello Stato 13 settembre 1946, n. 233, sulla ricostituzione dell’Ordine delle professioni sanitarie e per la disciplina dell’esercizio delle professioni stesse, approvato con il citato D.P.R. n. 221 del 1950, non consentirebbe dispositivo ed una separata motivazione (quest’ultima nella specie comunicata all’interessato dopo circa 50 giorni), anche in considerazione del fatto che il provvedimento deve essere impugnato nel termine di trenta giorni.

1.1. – Il motivo è infondato.

Ai sensi del D.P.R. n. 221 del 1950, art. 47, la decisione conclusiva del procedimento disciplinare deve, a pena di nullità, contenere la indicazione della data in cui è stata adottata, dei fatti addebitati e delle prove assunte e l’esposizione dei motivi, il dispositivo;

essa, una volta sottoscritta, è pubblicata mediante deposito dell’originale negli uffici di segreteria che provvede a notificarne copia all’interessato.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (Sez. 3, 3 aprile 2000, n. 4009; Sez. 3, 2 marzo 2005, n. 4465), nel procedimento disciplinare dei sanitari che si svolge innanzi al Consiglio dell’ordine, la fase di decisione si scompone in due momenti successivi, trattazione orale e deliberazione della decisione, e nulla impedisce che, dopo la chiusura della trattazione orale, il Consiglio rinvii ad altra seduta la deliberazione della decisione, senza l’obbligo di darne avviso all’interessato e di riconvocare questo per detta seduta, pacifico essendo che quest’ultima fase del procedimento deve svolgersi fuori della presenza dell’incolpato.

Nella specie, all’esito della seduta svoltasi, alla presenza dell’incolpato e del suo difensore, il 13 ottobre 2010, il Collegio deliberante ha immediatamente dato lettura del dispositivo con cui è stata inflitta la sanzione della sospensione dall’esercizio della professione per mesi tre, riservandosi, con lo stesso atto, di depositare nei successivi trenta giorni la motivazione del provvedimento sanzionatorio. Il che è avvenuto, come risulta dalla nota prot. n. 1677 dell’11 novembre 2010, con la quale la Commissione albo odontoiatri dell’Ordine dei medici di Potenza ha comunicato all’incolpato di avere depositato il provvedimento completo, avvertendolo che contro di esso poteva essere proposto ricorso alla Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie ai sensi del D.P.R. n. 221 del 1950, art. 53.

Nel procedimento disciplinare a carico degli esercenti le professioni sanitarie, ai sensi del D.P.R. n. 221 del 1950, art. 47, come è consentito scomporre la fase di decisione in due momenti successivi, trattazione orale e deliberazione della decisione, completa di dispositivo e di esposizione dei motivi, cosi non integra violazione delle norme sul procedimento deliberare la decisione immediatamente dopo la discussione, con lettura del dispositivo nella stessa seduta, e rinviare, sul modello previsto dal codice di rito penale, la stesura della motivazione che appaia particolarmente complessa a data successiva fissata dal Collegio deliberante, fermo restando che, in tal caso, il termine per l’impugnazione alla Commissione centrale, di trenta giorni dalla notificazione o dalla comunicazione del provvedimento (art. 53 D.P.R. cit.), decorre, non dalla lettura del dispositivo, ma dalla comunicazione integrale del provvedimento, completo di motivazione.

2. – Con il secondo mezzo (violazione del D.P.R. n. 221 del 1950, art. 39 e della L. 24 luglio 1985, n. 409, artt. 1, 2 e 6, nonchè insufficienza e contraddittorietà della motivazione) si contesta la legittimazione del presidente del Commissione dell’albo degli odontoiatri a svolgere gli accertamenti istruttori di cui al D.P.R. n. 221 del 1950, art. 39, in origine riservati al presidente dell’Ordine.

2.1. – Il motivo è infondato.

La L. 24 luglio 1985, n. 409 – istituendo, come distinta dalla professione di medico-chirurgo, la professione sanitaria di odontoiatra, e prevedendo la creazione, presso ogni Ordine dei medici- chirurghi, di un separato albo professionale per l’iscrizione di coloro che sono in possesso del diploma di laurea in odontoiatria e protesi dentaria e della relativa abilitazione all’esercizio professionale, conseguita a seguito del superamento di apposito esame di Stato – ha altresì istituito, in seno ai consigli direttivi degli ordini provinciali, la commissione per gli iscritti all’albo dei medici-chirurghi e la commissione per gli iscritti all’albo degli odontoiatri. Poichè queste commissioni esercitano – per espressa previsione normativa contenuta nell’art. 6 legge cit., che richiama le attribuzioni di cui al D.Lgs. Capo provvisorio dello Stato 13 settembre 1946, n. 233, art. 3, comma 1, lett. f), ed al relativo regolamento di esecuzione approvato con il D.P.R. n. 221 del 1950 – il potere disciplinare nei confronti di sanitari liberi professionisti iscritti nei relativi albi, deve ritenersi che, essendo state sottratte al consiglio dell’Ordine e trasferite alle due commissioni le funzioni disciplinari, i compiti, di acquisizione delle prime informazioni su fatti che possono formare oggetto di un procedimento disciplinare, che l’art. 39 del D.P.R. cit. affidava al presidente del consiglio dell’Ordine, sono, ora, svolti dal presidente della competente commissione, e quindi, trattandosi di odontoiatri, dal presidente della commissione degli iscritti all’albo degli odontoiatri.

3. – Il terzo motivo (violazione del D.P.R. n. 221 del 1950, artt. 39, 45 e 47, della L. n. 241 del 1990, artt. 2 e 7, art. 2697 cod. civ., artt. 115 e 116 cod. proc. civ., nonchè insufficiente e contraddittorietà della motivazione) denuncia la violazione del principio di corrispondenza tra la contestazione e la decisione ovvero la immutazione dei fatti, con conseguente nullità del provvedimento irrogativo della sanzione disciplinare.

3.1. – La censura è infondata perchè muove da un erroneo presupposto.

Infatti, dal verbale di celebrazione del procedimento disciplinare a carico del dott. S., redatto ai sensi del D.P.R. n. 221 del 1950, art. 46, risulta per tabulasi (a) che nei confronti dell’incolpato, previamente convocato a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento (prot. 1189 del 1 luglio 2010), in apertura della seduta, celebratasi il 21 luglio 2010, sono stati formulati addebiti circostanziati, recanti non solo l’indicazione delle disposizioni del codice deontologico assuntivamente violate, ma anche la menzione specifica degli addebiti; (b) che dinanzi al collegio disciplinare il dott. S. si è presentato assistito da un difensore, l’Avv. P.D.; (c) che, a seguito della relazione effettuata dal componente del collegio, il procedimento è stato rinviato ad altra seduta, al fine di permettere al dott. S. di esaminare la documentazione in atti e all’Avv. P. di depositare una memoria difensiva.

La semplice scansione procedimentale, puntualmente emergente dal testo della decisione impugnata, dimostra che vi è stata una circostanziata contestazione dei comportamenti lesivi dei precetti deontologici, tale da permettere la piena esplicazione del diritto di difesa da parte dell’incolpato ed il rispetto di esigenze di trasparenza ai fini di un adeguato controllo giurisdizionale della decisione dell’organo disciplinare; mentre non possono avere ingresso in questa sede doglianze relative ad una asserita manipolazione o non genuinità del verbale delle sedute del collegio disciplinare, debitamente sottoscritto dal presidente e dal segretario del collegio.

Cade, pertanto, la censura che con la decisione assunta in sede disciplinare si sarebbe avuta una immutazione dei fatti rispetto ad una generica contestazione iniziale.

4. – Con il quarto mezzo (violazione del D.P.R. n. 221 del 1950, artt. 40, 47, 48 e 66, nonchè del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 2, convertito nella L. 4 agosto 2006, n. 248, e degli artt. 1, 55, 56 e 65 codice di deontologia medica, nonchè degli artt. 112 e 116 cod. proc. civ. e art. 2697 cod. civ. e omessa motivazione su un punto decisivo della controversia) si prospetta l’illegittimità della decisione sanzionatoria siccome in contrasto con la disciplina che informa la materia della pubblicità sanitaria ed i riflessi che essa assume sul codice di deontologia medica, e comunque adottata senza un reale supporto argomentativo. Inoltre si deduce che, poichè il D.P.R. n. 221 del 1950, art. 39 non impone alcun obbligo al medico che sia eventualmente convocato per essere ascoltato, di rilasciare dichiarazioni o altra notizia che potrebbe poi essere utilizzata a suo carico, sotto nessun profilo la condotta di mancata presentazione alle convocazioni che hanno preceduto la fase del giudizio disciplinare potrebbe costituire una mancanza disciplinarmente rilevante.

4.1. – Il motivo è fondato.

4.2. – Il D.P.R. n. 221 del 1950, art. 39 espressamente include nell’ambito del procedimento disciplinare il momento – anteriore alla formale apertura che si ha con la contestazione dell’addebito e con la fissazione della data della seduta per il giudizio – della raccolta delle opportune informazioni, comprendente l’audizione del sanitario interessato da parte del presidente della competente commissione. Poichè l’istruzione preliminare non è una fase esterna al procedimento disciplinare, non può dirsi che il sanitario, convocato in sede istruttoria per rispondere a domande in ordine ad un esposto presentato nei suoi confronti con riguardo a fatti integranti ipotesi di illecito disciplinare, sia tenuto a osservare il dovere di verità e a dare risposta a richieste di chiarimenti. Se cosi fosse, sarebbe vulnerata la regola, basilare di ogni procedimento disciplinare, abbia esso movenze giurisdizionali o amministrative, del nemo tenetur contra se edere, espressione del diritto di difesa costituzionalmente garantito e prevalente sull’esigenza del pieno e corretto esercizio delle funzioni istituzionali degli ordini professionali.

Questo approdo interpretativo – al quale le Sezioni Unite sono recentemente pervenute (con le sentenze 28 febbraio 2011, n. 4773, e 30 dicembre 2011, n. 30173) con riguardo all’ordinamento professionale forense, superando il tradizionale, opposto orientamento (sentenze 16 febbraio 1981, n. 6643, e 24 febbraio 1998, n. 1988) – merita di essere qui ribadito, essendo conforme alla giurisprudenza della Corte costituzionale. Invero, di fronte alla distinzione tra procedimenti disciplinari giurisdizionali e procedimenti disciplinari amministrativi, il giudice delle leggi ha più volte ricordato che la proclamazione contenuta nell’art. 24 Cost., se indubbiamente si dispiega nella pienezza del suo valore prescrittivo solo con riferimento ai primi, non manca tuttavia di riflettersi, seppure in maniera più attenuata, sui secondi, in relazione ai quali, in compenso, si impongono al più alto grado di cogenza le garanzie di imparzialità e di trasparenza che circondano l’agire della pubblica amministrazione (sentenza n. 460 del 2000).

V’è, insomma, un sensibile accostamento tra i due diversi tipi di procedimento disciplinare, che trova ragione nella natura sanzionatoria delle pene disciplinari, che sono destinate ad incidere sullo stato della persona nell’impiego o nella professione (sentenza n. 71 del 1995). L’esito del procedimento, nell’un caso e nell’altro, può toccare invero la sfera lavorativa e, con essa, le condizioni di vita della persona e postula, perciò, anche in relazione ai procedimenti non aventi carattere giurisdizionale, talune garanzie che non possono mancare (sentenza n. 505 del 1995).

Pertanto, non costituisce illecito disciplinare, sanzionato dall’art. 1 codice di deontologia medica, prevedente il dovere del sanitario di prestare la massima collaborazione e disponibilità nei rapporti con il proprio ordine professionale, la mancata presentazione dell’odontoiatra ad una convocazione disposta, nella fase istruttoria anteriore all’apertura del procedimento disciplinare, dal presidente della commissione odontoiatri per ottenere chiarimenti su segnalazioni o esposti in relazione a fatti disciplinarmente rilevanti a carico dello stesso iscritto.

4.3. – E’ fondato, sotto il profilo del vizio di motivazione, anche il motivo rivolto a censurare le statuizioni con cui la decisione della Commissione ha confermato la sussistenza dell’addebito relativo alla pubblicità sanitaria.

Va ribadito il principio secondo cui, pur a seguito dell’abrogazione, in conformità al principio comunitario di libera concorrenza, delle disposizioni legislative e regolamentari che prevedono, con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali, il divieto di svolgere pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, resta fermo il potere-dovere degli ordini professionali, ai sensi del D.L: n. 223 del 2006, art. 2, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 248 del 2006, di verificare, ai fini dell’applicazione delle sanzioni disciplinari, la trasparenza e la veridicità del messaggio pubblicitario (Cass., Sez. 3, 9 marzo 2012, n. 3717).

Sennonchè, la decisione della Commissione centrale, omettendo di esaminare le doglianze sul punto dal dott. S., non spiega il percorso logico seguito per giungere alla decisione impugnata, limitandosi ad affermare, apoditticamente, che nel provvedimento impugnato “vengono esaminate in modo dettagliato ed esauriente le circostanze di fatto contestate al ricorrente, alle quali sono puntualmente ricollegate le violazioni delle norme che disciplinano l’attività degli iscritti all’albo degli odontoiatri”: ma non da conto di quali sarebbero in concreto gli aspetti di non trasparenza e veridicità del messaggio pubblicitario relativo all’attività odontoiatrica, nè indica in punto di fatto sotto quale profilo e che cosa consenta di qualificare servili o autocelebrativi le pubblicazioni e gli articoli apparsi sulla rivista.

5. – Per effetto dell’accoglimento del quarto motivo, resta assorbito l’esame del quinto motivo (violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e del D.P.R. n. 221 del 1950, artt. 48 e 66, nonchè omessa motivazione su un punto decisivo della controversia), con cui si lamenta che l’impugnata decisione abbia pretermesso l’esame del mezzo di impugnazione sulla misura della sanzione inflitta.

6. – La decisione impugnata è cassata in relazione alla censura accolta.

La causa deve essere rinviata alla Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie.

La Commissione centrale provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta i primi tre motivi di ricorso, accoglie il quarto e dichiara assorbito il quinto; cassa, in relazione alla censura accolta, la decisione impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 21 giugno 2013.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2014.

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