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Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza 15 ottobre 2014, n. 43078

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza in data 10.07.2008, il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Benevento, all’esito del disposto giudizio abbreviato, dichiarava C.E. responsabile del reato di cui agli artt. 633, 639-bis cod. pen. e la condannava alla pena di euro 600,00 di multa previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
2. Avverso detta pronuncia veniva proposto appello; con sentenza in data 30.04.2013, la Corte d’Appello di Napoli, rigettando il gravame, confermava la sentenza di primo grado.
3. Avverso la pronuncia di secondo grado, l’imputata, a mezzo difensore, proponeva ricorso per cassazione lamentando la nullità della sentenza per mancanza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione in relazione all’art. 125 cod. proc. pen. (motivo unico). In particolare, lamentava la ricorrente la totale assenza di una motivazione logica essendo stato omesso il vaglio critico a cui è tenuto il giudice dell’impugnazione in presenza di ben precise censure mosse con l’atto di appello: invero, le risultanze probatorie acquisite non conducevano ad attribuire all’imputata la condotta di reato contestata essendosi in presenza di uno stato di necessità (art. 54 cod. pen.) connesso allo stato di gravidanza della ricorrente di cui non si era tenuto conto alcuno.

Considerato in diritto

4. Il ricorso è manifestamente infondato e, come tale, risulta inammissibile.
5. Sul punto la motivazione della sentenza d’appello è congrua ed esente da vizi logico-giuridici. La stessa ha riconosciuto come la condizione economica e patrimoniale della ricorrente non potesse integrare le condizioni per il riconoscimento dell’esimente dello stato di necessità di cui all’art. 54 cod. pen. che, per l’occupazione arbitraria di un appartamento di proprietà dello IACP, ricorre solo in presenza di un pericolo attuale di un danno grave alla persona, non coincidendo la scriminante dello stato di necessità con l’esigenza dell’agente di reperire un alloggio e risolvere i propri problemi abitativi (in tal senso, Cass., Sez. 2, n. 4292 del 21/12/2011, dep. 01/02/2012, Pmt in proc. Manco e altro, Rv. 251800).
6. Invero, l’attualità del pericolo, richiesto dall’art. 54 cod. pen. presuppone che, nel momento in cui l’agente agisce contra ius – al fine di evitare “un danno grave alla persona” – il pericolo sia imminente e, quindi, individuato e circoscritto nel tempo e nello spazio (Cass. 3310/1981, Rv. 148374). Conseguentemente, l’attualità del pericolo, per argumentum a contrario, esclude, in linea di massima, tutte quelle situazioni di pericolo non contingenti caratterizzate da una sorta di cronicità essendo datate e destinate a protrarsi nel tempo. Infatti, ove, nelle suddette situazioni, si ritenesse la configurabilità dello stato di necessità, si effettuerebbe una torsione interpretativa dei dettato legislativo in quanto si opererebbe una inammissibile sostituzione del requisito dell’attualità del pericolo con quello della permanenza, alterando così il significato e la ratio della norma che, essendo di natura eccezionale, necessariamente va interpretata in senso stretto. Invero, il pericolo non sarebbe più attuale (rectius, imminente) bensì permanente proprio perché l’esigenza abitativa – ove non sia transeunte e derivante dalla stretta ed immediata necessità “di salvare sè od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona” – necessariamente è destinata a prolungarsi nel tempo. Va, poi, osservato che, venendo in rilievo il diritto di proprietà, un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 54 cod. pen. alla luce dell’art. 42 Cost., non può che pervenire ad una nozione che concili l’attualità dei pericolo con l’esigenza di tutela del diritto di proprietà dei terzo che non può essere compresso in permanenza perché, in caso contrario, si verificherebbe, di fatto, un’ipotesi di esproprio senza indennizzo o, comunque, un’alterazione della destinazione della proprietà al di fuori di ogni procedura legale o convenzionale (cfr. sul punto, Cass. 35580/2007, Rv. 237305; Cass. 7183/2008, Rv. 239447).
7. Quanto appena detto, porta, pertanto a ritenere che lo stato di necessità, nella specifica e limitata ipotesi dell’occupazione di beni altrui, può essere invocato solo per un pericolo attuale e transitorio non certo per sopperire alla necessità di trovare un alloggio al fine di risolvere, in via definitiva, la propria esigenza abitativa, tanto più che gli alloggi IACP sono proprio destinati a risolvere esigenze abitative di non abbienti, attraverso procedure pubbliche e regolamentate.
8. Questa conclusione rimane ferma anche nell’ipotesi di occupazione di un alloggio da parte di donna in gravidanza con rischio di aborto (cfr., Cass., Sez. 6, n. 28115 del 05/07/2012, dep. 13/07/2012, Sottoferro e altri, Rv. 253035).
E’ ben vero che questa Corte ha ritenuto che l’illecita occupazione di un bene immobile può essere scriminata dallo stato di necessità conseguente al danno grave alla persona, concetto che ricomprende non solo le lesioni della vita e dell’integrità fisica, ma anche situazioni attinenti alla compromissione di un diritto fondamentale della persona, come il diritto di abitazione ovvero altri diritti riconosciuti e garantiti dall’art. 2 Cost.: tuttavia, come si è visto l’operatività dell’esimente presuppone – in ogni caso – l’assoluta necessità della condotta e l’inevitabilità del pericolo (Cass., Sez. 2, n. 8724 dell’11/02/2011, Essaki; Cass., Sez. 2, n. 7183 del 17/10/2008, Adami).
9. Nel caso di specie, l’occupazione risulta essere avvenuta sulla spinta di un mero stato di disagio abitativo, senza la presenza di un’assoluta e improrogabile urgenza di procurarsi un alloggio, situazione questa che – unica – avrebbe potuto giustificare l’occupazione. Infatti, i giudici di merito, nell’escludere la sussistenza dell’art. 54 cod. pen., hanno sottolineato come non vi fosse prova certa che l’imputata, così come tutta la sua famiglia, versasse in una situazione di assoluta indigenza tale da legittimare l’occupazione dell’immobile in vista di un pericolo inevitabile. Pur riconoscendo le comprensibili condizioni di bisogno legate alla nascita di un figlio, tuttavia, deve ritenersi che, con la sua azione, l’imputata ha comunque finito per sottrarre una risorsa abitativa a soggetti aventi maggiore bisogno, secondo i criteri elaborati dall’ente pubblico che provvede all’assegnazione degli edifici residenziali pubblici in base a graduatorie che garantiscono le persone più bisognose.
10. Inoltre, deve escludersi quanto sostenuto nel ricorso, secondo cui la Corte d’appello non avrebbe di fatto accertato la reale situazione di bisogno degli imputati: infatti, chi invoca l’applicazione di una causa di giustificazione, ha anche l’onere di allegazione degli elementi su cui si basa la richiesta, mentre l’imputata non ha assolto un tale onere, essendosi limitata ad affermare di essersi trovata in una situazione di necessità. Infatti, incombe sull’imputato, che deduca una determinata situazione di fatto a sostegno dell’operatività di un’esimente, se non un vero e proprio onere probatorio, inteso in senso civilistico, un compiuto onere di allegazione di elementi di indagine per porre il giudice nella condizione di accertare la sussistenza o quanto meno la probabilità di sussistenza dell’esimente (Cass., Sez. 6, n. 15484 del 12/02/2004, Raia). Pertanto, la mera indicazione di una situazione astrattamente riconducibile all’applicazione di un’esimente, non può legittimare la pronuncia assolutoria ex art. 530 cpv. cod. proc. pen., risolvendosi il dubbio sull’esistenza dell’esimente nell’assoluta mancanza di prova al riguardo.
11. In conclusione, nella presente fattispecie, l’imputata non ha allegato null’altro se non la sussistenza di un disagio abitativo: situazione di fatto che, quand’anche provata, proprio perché in qualche modo radicalizzata, non poteva comunque legittimare, ai sensi dell’art. 54 cod. pen., un’occupazione permanente di un immobile, dal momento che – in tal caso – finirebbe per risolvere, in realtà, in modo surrettizio e come tale non consentito, una semplice esigenza abitativa.
12. All’inammissibilità del ricorso consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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