Suprema Corte di Cassazione
sezione II
sentenza 15 marzo 2016, n. 10792
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ESPOSITO Antonio – Presidente
Dott. GALLO Domenico – Consigliere
Dott. DAVIGO Piercamillo – Consigliere
Dott. VERGA Giovanna – Consigliere
Dott. BELTRANI Sergio – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 4434/2014 CORTE APPELLO di BOLOGNA, del 13/02/2015;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 16/12/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. BELTRANI Sergio;
Uditi il Procuratore Generale in persona del Dott. ANGELILLIS Ciro, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso, e l’avv. (OMISSIS), difensore dell’imputato, che ha chiesto l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Bologna, in riforma della sentenza emessa in data 21.5.2013 dal Tribunale di Modena in composizione monocratica, ha dichiarato estinto per prescrizione il reato ascritto a (OMISSIS), in atti generalizzato, imputato di tentata estorsione (per aver tentato di costringere la p.o. S.P. a versargli duecentomila euro dietro minaccia di avvalersi di fotografie che la ritraevano nuda), confermando le statuizioni civili.
Contro tale provvedimento, l’imputato (personalmente) ha proposto ricorso per cassazione, deducendo violazioni di legge e vizi di motivazione.
All’odierna udienza pubblica, e’ stata verificata la regolarita’ degli avvisi di rito, ed all’esito, le parti presenti hanno concluso come da epigrafe, ed il collegio, riunito in camera di consiglio, ha deciso come da dispositivo in atti, pubblicato mediante lettura in pubblica udienza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso e’ in toto inammissibile.
1. Con il primo motivo l’imputato lamenta violazione dell’articolo 521 codice procedura penale, comma 1, e articolo 522 codice procedura penale (la condanna riportata in primo grado si riferirebbe a “comportamento volto a cagionare profitto ad uno o piu’ soggetti diversi dall’imputato, mentre l’imputazione fa riferimento al tentativo dell’imputato di conseguire un profitto proprio”).
1.1. Lamenta, inoltre, omessa o comunque illogica motivazione circa la sussistenza del tentativo dell’imputato di arrecare ingiusto profitto a terzi.
2. Con il secondo motivo l’imputato lamenta “illogicita’ della motivazione e comunque conclamato travisamento in ordine all’individuazione del soggetto cui fosse destinata la richiesta risarcitoria dell’imputato (in ipotesi, estorsiva), atteso che, in base a prova documentale e ad univoche dichiarazioni testimoniali, espressamente evidenziate nell’atto di appello, e non vagliate o comunque travisate dal giudice a quo e in precedenza dal giudice di primo grado, detta richiesta risultava formulata, cosi’ come la successiva domanda in sede giurisdizionale per conto dello (OMISSIS), nei confronti del sindacato FIADEL CISAL, conseguendone la conclamata insussistenza del reato, da ravvisarsi eventualmente addirittura ex articolo 129 codice procedura penale, e comunque anche al fine di escludere la condanna risarcitoria per la non arbitrarieta’ della richiesta e, soprattutto, per la completa assenza di correlazione tra il comportamento minaccioso attribuito (in congruamente) all’imputato e il pagamento richiesto all’associazione sindacale per effetto di responsabilita’ dell’associazione medesima. Ulteriore e conseguente illogicita’ della motivazione, nella parte in cui si esclude apoditticamente la fondatezza della richiesta risarcitoria dandosi per presupposto che questa fosse stata svolta nei confronti della persona offesa – di cui, peraltro, il giudicante ignora la responsabilita’ solidale con l’ente di appartenenza – e non del sindacato”.
3. Con il terzo motivo l’imputato lamenta “omessa o comunque contraddittoria ed illogica motivazione circa l’attendibilita’ delle dichiarazioni rese dalla parte civile e dai testimoni indicati dall’accusa e dalla stessa parte civile (dichiarazioni su cui unicamente si fonda l’impianto accusatorio), nonche’ circa specifici contenuti di dette dichiarazioni, in relazione, segnatamente: a) alle asserite minacce dell’imputato finalizzate al ritiro di un esposto disciplinare che non era stato ancora presentato; b) al momento in cui la parte civile, il marito della S. stessa e l’avv. (OMISSIS) sarebbero state informate del fatto che l’imputato possedeva fotografie ritraenti la stessa parte civile, nonche’ al manifestarsi dello stato di prostrazione della persona offesa nel novembre del 2005, quando le sarebbe stato prospettato l’intento dell’imputato di rendere edotto il marito della persona offesa circa l’esistenza delle predette fotografie. Inoltre, contraddittoria e comunque illogica motivazione in ordine all’inattendibilita’ della tesi difensiva”.
4. Il primo motivo – prima parte non e’ consentito, ai sensi dell’articolo 606 codice procedura penale, comma 3, ultima parte, poiche’ evoca per la prima volta in sede di legittimita’ violazioni di legge che non avevano costituito in precedenza motivo di gravame, come e’ agevolmente rilevabile dall’atto di appello a firma dell’avv. (OMISSIS).
5. Le ulteriori doglianze (primo motivo – seconda parte, secondo e terzo motivo) consistono tutte in vizi di motivazione, possono essere esaminate congiuntamente, e sono non consentite agli effetti penali.
5.1. Deve premettersi che le Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 35490 del 28 maggio 2009, Tettamanti, CED Cass. n. 244273 s.) hanno esaminato il problema dell’ambito del sindacato, in sede di legittimita’, sui vizi della motivazione, in presenza di cause di estinzione del reato, del quale avevano gia’ avuto modo di occuparsi in passato (avevano, infatti, gia’ affermato che, in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimita’ i vizi di motivazione della sentenza impugnata, in quanto l’inevitabile rinvio della causa al giudice di merito dopo la pronunzia di annullamento risulterebbe comunque incompatibile con l’obbligo della immediata declaratoria di proscioglimento per intervenuta estinzione del reato: Sez. un., sentenza n. 1653 del 21 ottobre 1992, dep. 22 febbraio 1993, Marino ed altri, CED Cass. n. 192471).
In linea con l’orientamento assolutamente prevalente nella giurisprudenza intervenuta successivamente sulla questione (Sez. 5, sentenza n. 7718 del 24 giugno 1996, CED Cass. n. 205548; Sez. 3, sentenza n. 15470 del 6 marzo 2003, CED Cass. n. 224290; Sez. 1, sentenza n. 4177 del 27 ottobre 2003, dep. 4 febbraio 2004, CED Cass. n. 227098; Sez. 3, sentenza n. 24327 del 4 maggio 2004, CED Cass. n. 228973; Sez. 6, sentenza n. 40570 del 29 maggio 2008, CED Cass. n. 241317; Sez. 4, sentenza n. 14450 del 19 marzo 2009, CED Cass. n. 244001), il principio e’ stato ribadito (sostanzialmente nei medesimi termini, come e’ confermato dalle quasi speculari massime estratte dalle due citate decisioni delle Sezioni Unite) anche dalla sentenza Tettamanti, a parere della quale la Corte di cassazione, ove rilevi la sussistenza di una causa di estinzione del reato, non puo’ rilevare eventuali vizi di legittimita’ della motivazione della decisione impugnata, poiche’ nel corso del successivo giudizio di rinvio il giudice sarebbe comunque obbligato a rilevare immediatamente la sussistenza della predetta cause di estinzione del reato, ed alla conseguente declaratoria.
Il principio opera anche in presenza di mere cause di nullita’ di ordine generale, assolute ed insanabili, identica essendo la ratio, fondata sull’incompatibilita’ del rinvio per nuovo giudizio di merito con il principio dell’immediata applicabilita’ della causa estintiva.
A conclusioni diverse dovrebbe giungersi nel solo caso in cui l’operativita’ della causa di estinzione del reato presupponga specifici accertamenti e valutazioni riservati al giudice di merito, nei qual caso assumerebbe rilievo pregiudiziale la nullita’, in quanto funzionale alla necessaria rinnovazione del relativo giudizio.
Il principio e’ stato successivamente ribadito, piu’ o meno nei medesimi termini, da Sez. 6, sentenza n. 23594 del 19 marzo 2013, CED Cass. n. 256625, secondo la quale “Nel giudizio di cassazione, relativo a sentenza che ha dichiarato la prescrizione del reato, non sono rilevabili ne’ nullita’ di ordine generale, ne’ vizi di motivazione della decisione impugnata, anche se questa abbia pronunciato condanna agli effetti civili, qualora il ricorso non contenga alcun riferimento ai capi concernenti gli interessi civili”, e merita senz’altro di essere condiviso.
Vanno, pertanto, ribaditi i seguenti principi di diritto:
“In presenza di una causa di estinzione del reato il giudice e’ legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’articolo 129 codice procedura penale, comma 2, soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, cosi’ che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga piu’ al concetto di “constatazione”, ossia di percezione ictu oculi, che a quello di “apprezzamento”, e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessita’ di accertamento o di approfondimento”.
“Nel giudizio di cassazione, relativo a sentenza che ha dichiarato la prescrizione del reato, non sono rilevabili ne’ nullita’ di ordine generale, ne’ vizi di motivazione della decisione impugnata”.
5.2. I principi di diritto appena enunciati comportano la non rilevabilita’ in questa sede, agli effetti penali, di eventuali vizi di motivazione della decisione impugnata, evidente apparendo che la motivazione della sentenza impugnata non risulta del tutto carente ne’ meramente apparente, e non essendo stata proposta dall’imputato valida e tempestiva rinunzia alla prescrizione.
6. Le doglianze del ricorrente vanno esaminate ai soli effetti civili.
6.1. Va, in proposito, immediatamente osservato che il primo motivo – seconda parte, ed il terzo motivo sono privi della necessaria specificita’, essendo formulati con deduzione contestuale e promiscua di piu’ vizi di motivazione, ontologicamente diversi.
Invero, secondo l’orientamento di questa Corte (Sez. 3, sentenza n. 19712 del 6.2.2015, CED Cass. n. 263541), che il collegio condivide e ribadisce, il ricorrente che intende denunciare contestualmente, con riguardo al medesimo capo o punto della decisione impugnata, due o piu’ tra i vizi della motivazione deducibili in sede di legittimita’ ai sensi dell’articolo 606 codice procedura penale, comma 1, lettera e), ha l’onere – sanzionato a pena di aspecificita’, e quindi di inammissibilita’, del ricorso – di indicare su quale profilo la motivazione asseritamente manchi, in quali parti sia contraddittoria, in quali manifestamente illogica.
6.2. Il primo motivo – seconda parte, il secondo ed il terzo motivo sono, inoltre, non consentiti nella misura in cui sollecitano una rivalutazione del materiale probatorio acquisito e valutato conformemente dai due giudici del merito, senza documentare travisamenti delle prove.
6.2.1. Invero, questa Corte, con altro orientamento (Sez. 4, sentenza n. 19710 del 3.2.2009, CED Cass. n. 243636) che, ancora una volta, il collegio condivide e ribadisce, ha anche osservato che, in presenza di una c.d. “doppia conforme”, ovvero di una doppia pronuncia di eguale segno (nel caso di specie, riguardante l’affermazione di responsabilita’ agli effetti civili), il vizio di travisamento della prova puo’ essere rilevato in sede di legittimita’ solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l’argomento probatorio asseritamente travisato e’ stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado: “Invero, sebbene in tema di giudizio di Cassazione, in forza della novella dell’articolo 606 codice procedura penale, comma 1, lettera e), introdotta dalla Legge n. 46 del 2006, e’ ora sindacabile il vizio di travisamento della prova, che si ha quando nella motivazione si fa uso di un’informazione rilevante che non esiste nel processo, o quando si omette la valutazione di una prova decisiva, esso puo’ essere fatto valere nell’ipotesi in cui l’impugnata decisione abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nel caso di c.d. doppia conforme, superarsi il limite del “devolutum” con recuperi in sede di legittimita’, salvo il caso in cui il giudice d’appello, per rispondere alla critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice”.
6.2.2. Nel caso di specie, al contrario, la Corte di appello ha riesaminato e valorizzato lo stesso compendio probatorio gia’ sottoposto al vaglio del Tribunale e, dopo avere preso atto delle censure dell’appellante, e’ giunto alla medesima conclusione in termini di sussistenza della responsabilita’ dell’imputato (agli effetti civili).
6.2.3. In concreto, il ricorrente si limita a reiterare le doglianze gia’ sconfessate dalla Corte di appello e riproporre la propria diversa “lettura” delle risultanze probatorie acquisite, fondata su mere ed indimostrate congetture, senza documentare nei modi di rito eventuali travisamenti, ed invocando in piu’ parti meri “travisamenti del fatto”.
6.2.3.1. Con riguardo ai limiti del sindacato di legittimita’ sulla motivazione dei provvedimenti oggetto di ricorso per cassazione, delineati dall’articolo 606 codice procedura penale, comma 1, lettera e), come vigente a seguito delle modifiche introdotte dalla Legge n. 46 del 2006, a parere di questo collegio, la predetta novella non ha comportato la possibilita’, per il giudice della legittimita’, di effettuare un’indagine sul discorso giustificativo della decisione, finalizzata a sovrapporre la propria valutazione a quella gia’ effettuata dai giudici di merito, dovendo il giudice della legittimita’ limitarsi a verificare l’adeguatezza delle considerazioni di cui il giudice di merito si e’ avvalso per giustificare il suo convincimento.
La mancata rispondenza di queste ultime alle acquisizioni processuali puo’, soltanto ora, essere dedotta quale motivo di ricorso qualora comporti il c.d. “travisamento della prova” (consistente nell’utilizzazione di un’informazione inesistente o nell’omissione della valutazione di una prova, accomunate dalla necessita’ che il dato probatorio, travisato od omesso, abbia il carattere della decisivita’ nell’ambito dell’apparato motivazionale sottoposto a critica), purche’ siano indicate in maniera specifica ed inequivoca le prove che si pretende essere state travisate, nelle forme di volta in volta adeguate alla natura degli atti in considerazione, in modo da rendere possibile la loro lettura senza alcuna necessita’ di ricerca da parte della Corte, e non ne sia effettuata una monca individuazione od un esame parcellizzato.
Permane, al contrario, la non deducibilita’, nel giudizio di legittimita’, del travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez. 6, sentenza n. 25255 del 14 febbraio 2012, CED Cass. n. 253099).
6.3. Deve, peraltro, rilevarsi che la Corte di appello (f. 5 ss.) – con argomentazioni giuridicamente corrette, nonche’ esaurienti, logiche e non contraddittorie (che riprendono quelle, condivise, del primo giudice, come e’ fisiologico in presenza di una doppia conforme affermazione di responsabilita’, sia pur soltanto agli effetti civili), e, pertanto, esenti da vizi rilevabili in questa sede – ha valorizzato, ai fini delle contestate statuizioni, le dichiarazioni del teste (OMISSIS) motivatamente ritenute attendibili (anche perche’ rese nel febbraio 2006, prima che fosse depositato – nel successivo mese di marzo – l’esposto (OMISSIS) “che sarebbe alla base del presunto rapporto di inimicizia”, e confermate dal fatto che l’avv. (OMISSIS) “aveva immediatamente informato della questione delle fotografie compromettenti possedute dal (OMISSIS), sia la cliente P.S. sia la collega (OMISSIS) (sulla cui obiettivita’ nulla puo’ dirsi ed e’ stato detto)”; la vicenda e’ stata ricostruita nelle sue fasi principali (f. 7 ss.), ed e’ stata valutata la coerenza di tutti gli elementi acquisiti (f. 8), legittimando la conclusione che “la condotta ascritta all’imputato sia stata da lui commessa”.
6.3.1. Con tali argomentazioni, il ricorrente in concreto non si confronta adeguatamente, poiche’ le sue congetture prescindono sistematicamente dal fatto (incensurabilmente ritenuto certo dai giudici del merito) che le fotografie de quibus – in ipotesi del tutto inattinenti ai presunti rapporti obbligatori che secondo l’imputato costituirebbero giustificazione delle proprie condotte – furono viste dall’avv. (OMISSIS) nelle mani dell’imputato, “il quale le usava esplicitamente e dichiaratamente come strumento di pressione sulla S., per farle pagare una somma che, a tutto concedere su tutto, era stata richiesta e poteva essere richiesta solo al sindacato per cui ella lavorava” (f. 6).
In cio’ consiste il contestato tentativo di estorsione.
7. La declaratoria di inammissibilita’ totale del ricorso comporta, ai sensi dell’articolo 616 codice procedura penale, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche’ – apparendo evidente che egli ha proposto il ricorso determinando le cause di inammissibilita’ per colpa (Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186) e tenuto conto dell’entita’ di detta colpa – della somma di euro mille in favore della cassa delle ammende a titolo di sanzione pecuniaria.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro mille alla cassa delle ammende.
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