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Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza 15 gennaio 2014, n. 713

Svolgimento del processo

1 – La srl Archingeo, con atto notificato il 6 ottobre 1993, citò innanzi al Tribunale di Trani la spa Sepi chiedendone la condanna al pagamento di L. 120.395.493, oltre accessori e spese, esponendo: che essa attrice, società di ingegneria e geologia, aveva stipulato il 7 dicembre 1987 con la convenuta un protocollo d’intesa a seguito del quale, con successiva scrittura privata del 20 ottobre 1988, le era dalla medesima stata affidata l’esecuzione di una serie di prestazioni aventi ad oggetto lo studio del sottosuolo del Comune di Canosa di Puglia; che tale incarico era analogo a quello intercorso tra la Sepi – quale appaltatrice – e la spa Società Italiana Condotte D’Acqua per il quale la predetta appaltante aveva riconosciuto un corrispettivo pattuito di L. 1.125.000.000, mentre tra l’esponente e la Sepi era stato convenuto un corrispettivo di L. 650 milioni; che l’originario oggetto del contratto tra Sepi e la Società Italiana Condotte d’Acqua era stato ridotto, così da comportare una corrispondente riduzione del corrispettivo anche tra essa Archingeo e la Sepi, venendo così accettato un minor compenso di L. 505.500.000; che l’accettazione di tale riduzione sarebbe però stata frutto di un errore di calcolo perché su essa attrice si sarebbe riversata l’intera riduzione dell’originario compenso tra le altre parti, così che la posizione della Sepi ne sarebbe emersa pressoché analoga a quella di partenza. Su tali presupposti la Archingeo chiese che le venisse corrisposta la somma che riteneva originariamente dovuta, detratti gli acconti già ricevuti.
2 – La Sepi si costituì contrastando la fondatezza della domanda, osservando che la riduzione del compenso era stata liberamente accettata dall’attrice; riconobbe di non aver corrisposto, per l’intero, il corrispettivo concordato, adducendo una serie di inadempimenti da parte della società attrice; in via riconvenzionale chiese che le venisse restituito tutto il materiale (archivi, elaborati finali; data-base; diapositive, filmati) elaborato in esecuzione del contratto, nonché la condanna della Archingeo al risarcimento dei danni liquidati in L. 500 milioni; in sede di precisazione delle conclusioni venne eccepita la nullità del contratto – qualificato come sub-appalto – per violazione della disciplina antimafia che, appunto, vietava tale subcontratto nell’ambito di opere commesse da un ente pubblico – nella fattispecie: il Comune di Canosa di Puglia che aveva affidato alla società Condotte d’Acqua un incarico di più vaste proporzioni ma in cui rientrava anche l’oggetto del contratto tra detta società e la Sepi e tra questa e la Archingeo.
3 – L’adito Tribunale, disattesa la eccezione di nullità del contratto, accolse in parte le domande della Archingeo, condannando la Sepi a pagare Euro 30.818,27 oltre accessori e spese; respinse altresì le domande riconvenzionali.
4 – Tale decisione venne impugnata dalla società Sepi e, in via incidentale, anche dalla società Archingeo: la Corte di Appello di Bari, pronunziando sentenza n. 324/2007, dichiarò la nullità del contratto intercorso tra dette parti e negò ingresso alla domanda di ingiustificato arricchimento avanzata per la prima volta dalla Sepi, respingendo per il resto i contrapposti gravami.
5 – La Corte distrettuale pervenne a tale decisione confermando innanzi tutto che tra le due società era intervenuto un contratto di appalto di servizi e non già di opera professionale – come tale non rientrante nel divieto di cui all’art. 21 della legge 646/1982 – stante la presenza e la prevalenza di elementi di organizzazione di persone e mezzi rispetto alla mera elaborazione dei dati (che riguardavano la ubicazione e la mappatura delle cavità naturali nel sottosuolo di Canosa di Puglia); osservò poi il giudice dell’appello che tra le due società si era concordato di “ottimizzare le risorse” personali e materiali di cui ciascuna era espressione (la Archingeo in relazione alla rilevazione dei dati sul territorio, alle prestazioni professionali, tecniche, ingegneristiche, geologiche, speleologiche; la Sepi quanto all’attività di progettazione e realizzazione del software applicativo, alla costruzione delle banche dati, alle elaborazioni necessarie alla realizzazione del prodotto finale e comunque alle attività informatiche) per fornire alla società originaria appaltatrice dal Comune di Canosa di Puglia, il risultato ultimo della descrizione completa del sottosuolo comunale al fine di permetterne il risanamento: concretizzatosi lo schema di subappalto, lo stesso sarebbe stato nullo per violazione di una norma cogente di legge – l’art. 21 della legge 646/1982 citato -.
6 – Tale radicale invalidità avrebbe comportato la inidoneità del subappalto a costituire il titolo di una domanda di adempimento – come tale da interpretarsi quella della Archingeo, pur nella prospettiva di una rettifica del quantum debeatur, in applicazione dell’art. 1430 cod. civ. – come pure di quella di esecuzione di obblighi accessori (relativi alla restituzione di materiali elaborati in esecuzione dell’incarico) avanzata in via di riconvenzione dalla Sepi; nuova a’ sensi dell’art. 345 epe si sarebbe infine appalesata la domanda di ingiustificato arricchimento della predetta società.
7 – Per la cassazione di tale decisione hanno proposto ricorso sia la società Archingeo -sulla base di cinque motivi- sia, in via incidentale, la spa Sepi, facendo valere due motivi di annullamento: entrambe le società hanno depositato memorie illustrative.

Motivi della decisione

I ricorsi vanno riuniti ex art. 335 c.p.c. in quanto aventi ad oggetto una stessa sentenza.
Ricorso principale.
1 – Con il primo motivo, deducendo la violazione dell’art. 2230 cod. civ., nonché l’omessa motivazione su un fatto decisivo per il giudizio, parte ricorrente denunzia la interpretazione del negozio intervenuto con la società Sepi, ribadendo trattarsi di un contratto d’opera professionale; in particolare la società ricorrente censura l’omessa considerazione del protocollo d’intesa intercorso tra la Sepi e l’Archingeo – nonché della prova testimoniale che avrebbero messo in evidenza che anche la progettazione e la messa in opera delle banche dati dei rilievi fatti “sul campo” avrebbero formato oggetto dei compiti affidati ad essa ricorrente; ribadisce altresì quest’ultima che la differenza tra contratto d’opera professionale ed appalto – in disparte il diverso rilievo dell’organizzazione materiale – risiederebbe nel fatto che solo il primo potrebbe configurarsi come obbligazione di mezzi.
1.a – Viene formulato – ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., all’epoca ancora in vigore – il seguente quesito di diritto: “Se le prestazioni d’opera intellettuale (quali sono stati, nello specifico, lo studio del sottosuolo del Comune di Canosa di Puglia, comprendente rilevazioni, indagini georadar, geofisiche, geoelettriche e quant’altro finalizzato alla formazione della mappa dei vuoti soterranei del precitato Comune) possano configurarsi oggetto di contratto di appalto e regolate dalla normativa relativa ovvero, e più propriamente, se non abbiano invece una propria autonoma configurazione giuridica, prevista e regolata dall’art. 2230 cod. civ.”.
1.b – Il mezzo presenta profili di inammissibilità e di infondatezza: è inammissibile laddove propone una interpretazione delle emergenze istruttorie, divergente da quella motivatamente adottata dalla Corte del merito e dove enuncia un quesito di diritto del tutto inidoneo a far formulare alla Corte la regula juris da valere per casi analoghi; è poi infondato in merito alla interpretazione dei confini applicativi dell’art. 2230 cod. civ. allorquando li identifica nella natura della obbligazione nascente dal contratto d’opera intellettuale, non tenendo conto, da un lato, che la risalente dicotomia tra obbligazioni di mezzi e di risultato è stata da tempo abbandonata dall’interpretazione della Corte come sicuro criterio identificativo del contratto d’opera – ben potendo la semplicità delle prestazioni oggetto dell’accordo negoziale, determinare la sicurezza del risultato dedotto in obbligazione, le volte in cui l’esecuzione dell’incarico fosse stata corretta – e, dall’altro, che proprio la narrativa di fatto svolta dal ricorrente avrebbe condotto a negare quella caratteristica che si riteneva scriminante a livello interpretativo.
2 – Con il secondo mezzo si deduce la violazione dell’art. 1665 cod. civ. in relazione all’art. 2230 cod. civ. e si denunzia una omessa valutazione di un fatto decisivo per la soluzione della controversia, laddove la Corte del merito, nell’interpretare la portata applicativa dell’art. 21 della legge 646/1982 lo aveva esteso anche al sub appaltatore dal sub-appaltatore, non considerando dunque che la sanzione di nullità ivi comminata si riferiva solo al sub-appalto tra la stazione appaltante originaria – il Comune di Canosa di Puglia – e la Società Italiana per le Condotte d’Acqua – vincitrice della gara di appalto; dal momento poi che l’ente territoriale aveva utilizzato la relazione tecnica e le cartografie redatte da essa ricorrente, vi sarebbe stata la prova che esso non aveva inteso far valere un eventuale inadempimento della diretta appaltatrice, così confermando, all’esito di diverso percorso argomentativo, la natura di contratto d’opera professionale.
2.a – Il motivo è infondato sia perché la interpretazione della natura del contratto non può essere influenzata dalla futura utilizzazione della prestazione dedotta in obbligazione sia perché il ragionamento della ricorrente parte da un non condivisibile assunto: che cioè la sanzione di nullità riguardi solo i rapporti diretti tra appaltante ed appaltataci originarie: in contrario va ribadito che la norma di riferimento, identificando un reato di pericolo nel subappalto di opere pubbliche non preventivamente assentito, estende la sanzione di nullità per contrarietà ad un divieto espresso di legge a tutti gli eventuali e successivi sub-appalti, pena la agevole elusione del dettato normativo le volte, come nel caso di specie, (come emerge dalla lettura del fol. 7 dell’impugnata decisione) in cui il primo sub-appalto fosse stato autorizzato.
3 – Con il terzo motivo parte ricorrente denunzia la violazione delle norme di ermeneutica contrattuale per non aver verificato, il giudice dell’impugnazione, quale fosse la reale intenzione delle parti emergente dal protocollo d’intesa e dal contratto di conferimento di incarico: il motivo è inammissibile perché privo di qualunque apporto argomentativo critico diretto a contrastare il risultato interpretativo cui pervenne la Corte di Appello – oggetto di ampia ed argomentata analisi -; del pari inammissibile -perché non sviluppato in una coerente deduzione difensiva – è il mero richiamo all’art. 360, 1 comma n. 5 c.p.c..
4 – Con il quarto motivo si assume che la Corte di Appello avrebbe derogato all’art. 132 epe laddove non avrebbe preso in esame atti determinanti ai fini della corretta interpretazione della volontà contrattuale: il mezzo è inammissibile per genericità dei riferimenti testuali – derogandosi al canone di specificità del ricorso in cassazione nella sua affermazione del principio di autosufficienza – e per assenza di una compiuta argomentazione del rapporto tra violazione – che si suppone compiuta – dell’obbligo di motivazione ed il risultato che sarebbe dovuto invece scaturire dalla considerazione degli elementi pretermessi.
5 – Con il quinto motivo si denunzia la violazione dell’art. 1988 cod. civ. laddove la Corte del merito non avrebbe dato risalto al riconoscimento del debito da parte della Sepi pari a L. 59.672.493 (in disparte la differenza, oggetto dell’originaria domanda): anche questo mezzo è inammissibile perché non appare aver formato oggetto di motivi di appello, non trascurandosi di rilevare che, se pure fosse stato posto a base del gravame, sicuramente non fu esaminato dalla Corte di Appello così che la relativa censura avrebbe dovuto essere strutturata come vizio di omessa pronunzia; in disparte la considerazione che se pure esistente, il riconoscimento, avendo ad oggetto un debito nascente da un contratto nullo per violazione di un espresso divieto di legge, non avrebbe potuto far conseguire effetti diversi da quelli nascenti dal negozio invalido, pena la elusione del divieto di legge stabilito dall’art. 21 legge 646/1982 sopra citata (cfr. Cass. Sez. 3 n. 9412/2011; Cass. Sez. 3 n. 27406/2008; Cass. Sez. 1 n. 11021/2005 sulla analoga fattispecie della inidoneità del riconoscimento dei debiti fuori bilancio a costituire valido titolo nei confronti della P.A. nel caso in cui il credito nasca da contratto nullo per difetto di forma scritta).
Ricorso incidentale.
6 – Con il primo motivo la società Sepi denuncia la violazione degli artt. 345 e 189 c.p.c., laddove la Corte distrettuale, dopo aver rigettato l’appello incidentale diretto ad ottenere la restituzione degli elaborati, in quanto essi avrebbero pur sempre formato oggetto di prestazioni nascenti da contratto nullo, ritenne tardivamente posta la domanda di ingiustificato arricchimento mentre, al contrario, essa era stata proposta sin dal primo grado dal nuovo difensore di essa contro ricorrente e sulla stessa sarebbe stato accettato il contraddittorio, di tal che essa era stata presa in esame dal Tribunale (per esser poi respinta).
6.a – Il motivo è inammissibile.
6.a.1 – Va innanzi tutto dato atto che nel corpo del mezzo in esame, la critica alla decisione della Corte di Appello si sviluppa anche in relazione alla declaratoria di rigetto derivato delle domande: di restituzione degli archivi; di pagamento degli specifici macchinari che la Sepi assume aver dovuto comprare per l’esecuzione dell’incarico (non altrimenti utilizzabili una volta esaurita l’esecuzione dell’appalto); della ripetizione degli esborsi per l’addestramento di personale idoneo all’utilizzo degli stessi, nonché della domanda di risarcimento del danno extracontrattuale che sarebbe derivato dalla mancata restituzione delle banche dati: non vi è però una critica (se non genericamente inserita nella formulazione del quesito di diritto relativo alla asserita indipendenza del diritto al risarcimento del danno extracontrattuale, dalla nullità del contratto: v fol 37 del ricorso incidentale) alla decisione di ritenere le domande suddette come connesse agli adempimenti di un contratto dichiarato nullo e quindi non esigibili.
6.a.2 – Quanto alla domanda di ingiustificato arricchimento è mancata l’esposizione precisa: delle conclusioni rassegnate in primo grado; del locus processuale e del contenuto delle difese avversarie ove si sarebbe inverata l’accettazione del contraddittorio; delle motivazioni addotte dal Tribunale per respingere tale domanda; dei motivi di appello sul punto: solo attraverso l’esame diretto di tali contenuti processuali sarebbe stato possibile scrutinare se vi fosse effettivamente stata la pretermissione di una domanda effettivamente proposta e sulla quale vi fosse stata l’accettazione del contraddittorio (circostanza questa che la ricorrente, riportando le conclusioni di primo grado, recisamente nega: v fol. 4 del controricorso al ricorso incidentale) e se soprattutto detta domanda fosse stata fondata sugli stessi elementi di fatto posti a sostegno della domanda di adempimento (circostanza quest’ultima che condiziona la possibilità di proporre la richiesta di ristoro dell’ingiustificato arricchimento di controparte in appello, quale eccezione al divieto di introdurre dei nova nel giudizio di gravame: cfr. Cass. Sez. 3 n. 9042/2010; Cass. Sez. 2 n. 7033/2005).
7 – Con il secondo motivo la parte controricorrente deduce la violazione dell’art. 91 c.p.c. in cui sarebbe incorsa la Corte del merito nel compensare le spese del doppio grado di giudizio: sia per l’ammissibilità delle proprie domande riconvenzionali sia perché la motivazione adottata – facente leva sulla partecipazione di entrambi i contraenti a porre in essere un contratto nullo – non avrebbe fatto riferimento all’intera pronunzia alla quale la compensazione accedeva.
7.a – Il motivo è infondato quanto al primo profilo, stante il rigetto del precedente mezzo di ricorso incidentale; è poi inammissibile per difetto di chiarezza quanto al secondo profilo, non essendosi specificato quale passo argomentativo della denunciata decisione avrebbe consentito, se correttamente valutato, di pervenire ad una decisione di condanna della parte oggi ricorrente al pagamento delle spese, non essendosi svolta alcuna critica avverso la sopra esposta ragione giustificatrice della disposta compensazione.
8 – L’esito del giudizio di legittimità consente di compensare anche per questa fase le spese di lite.

P.Q.M.

La Corte:

Riunisce i ricorsi e li rigetta entrambi, compensando le spese di lite.

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