Suprema Corte di Cassazione
sezione II
sentenza 12 maggio 2014, n. 10277
REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PICCIALLI Luigi – Presidente
Dott. BURSESE Gaetano Antonio – rel. Consigliere
Dott. MATERA Lina – Consigliere
Dott. MANNA Felice – Consigliere
Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 21709/2008 proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS);
– intimato –
Nonche’ da:
(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– c/ric. e ricorrente incidentale –
contro
(OMISSIS);
– intimato –
avverso la sentenza n. 461/2008 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 09/07/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/03/2014 dal Consigliere Dott. GAETANO ANTONIO BURSESE;
udito l’Avvocato (OMISSIS) difensore del ricorrente che si e’ riportato agli atti depositati ed ha insistito sul loro accoglimento;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SGROI Carmelo, che, previa riunione dei ricorsi, ha concluso per il rigetto del ricorso principale e per l’assorbimento del ricorso incidentale condizionato.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PICCIALLI Luigi – Presidente
Dott. BURSESE Gaetano Antonio – rel. Consigliere
Dott. MATERA Lina – Consigliere
Dott. MANNA Felice – Consigliere
Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 21709/2008 proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS);
– intimato –
Nonche’ da:
(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– c/ric. e ricorrente incidentale –
contro
(OMISSIS);
– intimato –
avverso la sentenza n. 461/2008 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 09/07/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/03/2014 dal Consigliere Dott. GAETANO ANTONIO BURSESE;
udito l’Avvocato (OMISSIS) difensore del ricorrente che si e’ riportato agli atti depositati ed ha insistito sul loro accoglimento;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SGROI Carmelo, che, previa riunione dei ricorsi, ha concluso per il rigetto del ricorso principale e per l’assorbimento del ricorso incidentale condizionato.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1 – Con atto notificato il 25.06.1999, (OMISSIS) proponeva opposizione al d.i. n. 114, emesso dal Tribunale di Teramo il 7.05.199 in favore del richiedente avv. (OMISSIS) per la complessiva somma di lire 323.873.000, sulla base di una parcella opinata dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Teramo, a titolo di pagamento di onorario professionale.
In via preliminare l’attore eccepiva il difetto di legittimazione passiva, in quanto egli aveva conferito al legale l’incarico di predisporre l’opposizione alla sentenza dichiarativa del fallimento nei confronti della srl (OMISSIS), di cui egli era amministratore, per cui la domanda di pagamento doveva essere rivolta dall’avvocato solo alla societa’ fallita, avendo egli agito nella qualita’ di legale rappresentante della societa’ stessa.
Quanto al merito, l’opponente riteneva abnorme la somma richiesta, calcolata in base a criteri del tutto errati, sulla base di uno scaglione tariffario calcolato in relazione alle passivita’ della fallita,con riferimento ai massimi tabellari e con applicazione della quadruplicazione dell’onorario ai sensi dell’articolo 5, n. 3, della tariffa professionale, senza che ne ricorressero i presupposti.
L’avv. (OMISSIS), costituendosi, chiedeva il rigetto dell’opposizione, ribadendo di avere ricevuto il mandato personalmente dallo (OMISSIS), che aveva firmato la procura nell’atto di opposizione alla sentenza dichiarativa del fallimento, anche se poi pero’ l’opposizione non aveva avuto seguito per volonta’ dello stesso (OMISSIS), che gli aveva chiesto di soprassedere dalla notificazione dell’atto. Quanto al merito, l’opposto sosteneva che l’importo richiesto (applicazione degli onorari massimi tariffari con quadruplicazione ai sensi della tariffa) era giustificato dall’assoluta urgenza che rivestiva la richiesta di stesura dell’atto di opposizione alla declaratoria di fallimento ed alle sue intrinseche difficolta’.
L’adito Tribunale di Teramo, con sentenza n. 636/2003 accoglieva in parte l’opposizione e condannava lo (OMISSIS) al pagamento in favore del legale della minore somma di euro 70.357,15 oltre interessi.
La sentenza veniva appellata da quest’ultimo che riproponeva le precedenti eccezioni, sia in ordine alla carenza di legittimazione passiva che in relazione all’importo richiesto, ritenuto erroneo e sproporzionato in relazione all’attivita’ professionale effettivamente svolta. L’avv. (OMISSIS) si costituiva svolgendo appello incidentale.
L’adita Corte d’Appello dell’Aquila, con sentenza n. 461/08, depositata in data 9.07.2008, disatteso l’appello incidentale, accoglieva l’appello principale e, in totale riforma della sentenza impugnata, rigettava la domanda dell’avv. (OMISSIS), che condannava al pagamento delle spese di entrambi i gradi del giudizio.
La Corte rigettava l’eccezione di carenza di legittimazione passiva dello (OMISSIS), ritenendo che il rapporto di mandato in realta’ si era costituito tra il medesimo personalmente ed il legale, come dimostrato dall’attuazione in concreto del relativo rapporto obbligatorio. Riteneva pero’ che, quanto allo scaglione tariffario da applicarsi nella fattispecie (opposizione a sentenza dichiarativa di fallimento), non poteva essere posto a fondamento della liquidazione – contrariamente a quanto deciso dal primo giudice – l’articolo 17 c.p.c., in materia di opposizione all’esecuzione forzata, per cui il valore della controversia non era desumibile dall’entita’ del passivo fallimentare, ed era percio’ indeterminabile, poiche’ l’oggetto del giudizio non investiva la delimitazione quantitativa del dissesto, riservata al subprocedimento di verificazione, tutto cio’ in conformita’ con la richiamata giurisprudenza di legittimita’ a cui aderiva (Cass. N. 16300/2007). La corte distrettuale quindi, pur applicando i compensi massimi dello scaglione a valore indeterminabile, liquidava il compenso spettante al legale, in complessive di lire 4.500.000 (per studio controversia, per consultazioni e redazione atto introduttivo). Tuttavia la domanda da lui proposta doveva ritenersi del tutto infondata atteso che il cliente gli aveva gia’ corrisposto la maggior somma di lire 12.319.560, comprensiva dei diritti ed accessori di legge, che dunque era gia’ satisfattoria del credito professionale giudizialmente fatto valere.
Avverso la sentenza il legale ha proposto ricorso per cassazione che si articola in n. 3 mezzi; resiste con controricorso. Lo (OMISSIS), che ha formulato altresi’ ricorso incidentale.
In via preliminare l’attore eccepiva il difetto di legittimazione passiva, in quanto egli aveva conferito al legale l’incarico di predisporre l’opposizione alla sentenza dichiarativa del fallimento nei confronti della srl (OMISSIS), di cui egli era amministratore, per cui la domanda di pagamento doveva essere rivolta dall’avvocato solo alla societa’ fallita, avendo egli agito nella qualita’ di legale rappresentante della societa’ stessa.
Quanto al merito, l’opponente riteneva abnorme la somma richiesta, calcolata in base a criteri del tutto errati, sulla base di uno scaglione tariffario calcolato in relazione alle passivita’ della fallita,con riferimento ai massimi tabellari e con applicazione della quadruplicazione dell’onorario ai sensi dell’articolo 5, n. 3, della tariffa professionale, senza che ne ricorressero i presupposti.
L’avv. (OMISSIS), costituendosi, chiedeva il rigetto dell’opposizione, ribadendo di avere ricevuto il mandato personalmente dallo (OMISSIS), che aveva firmato la procura nell’atto di opposizione alla sentenza dichiarativa del fallimento, anche se poi pero’ l’opposizione non aveva avuto seguito per volonta’ dello stesso (OMISSIS), che gli aveva chiesto di soprassedere dalla notificazione dell’atto. Quanto al merito, l’opposto sosteneva che l’importo richiesto (applicazione degli onorari massimi tariffari con quadruplicazione ai sensi della tariffa) era giustificato dall’assoluta urgenza che rivestiva la richiesta di stesura dell’atto di opposizione alla declaratoria di fallimento ed alle sue intrinseche difficolta’.
L’adito Tribunale di Teramo, con sentenza n. 636/2003 accoglieva in parte l’opposizione e condannava lo (OMISSIS) al pagamento in favore del legale della minore somma di euro 70.357,15 oltre interessi.
La sentenza veniva appellata da quest’ultimo che riproponeva le precedenti eccezioni, sia in ordine alla carenza di legittimazione passiva che in relazione all’importo richiesto, ritenuto erroneo e sproporzionato in relazione all’attivita’ professionale effettivamente svolta. L’avv. (OMISSIS) si costituiva svolgendo appello incidentale.
L’adita Corte d’Appello dell’Aquila, con sentenza n. 461/08, depositata in data 9.07.2008, disatteso l’appello incidentale, accoglieva l’appello principale e, in totale riforma della sentenza impugnata, rigettava la domanda dell’avv. (OMISSIS), che condannava al pagamento delle spese di entrambi i gradi del giudizio.
La Corte rigettava l’eccezione di carenza di legittimazione passiva dello (OMISSIS), ritenendo che il rapporto di mandato in realta’ si era costituito tra il medesimo personalmente ed il legale, come dimostrato dall’attuazione in concreto del relativo rapporto obbligatorio. Riteneva pero’ che, quanto allo scaglione tariffario da applicarsi nella fattispecie (opposizione a sentenza dichiarativa di fallimento), non poteva essere posto a fondamento della liquidazione – contrariamente a quanto deciso dal primo giudice – l’articolo 17 c.p.c., in materia di opposizione all’esecuzione forzata, per cui il valore della controversia non era desumibile dall’entita’ del passivo fallimentare, ed era percio’ indeterminabile, poiche’ l’oggetto del giudizio non investiva la delimitazione quantitativa del dissesto, riservata al subprocedimento di verificazione, tutto cio’ in conformita’ con la richiamata giurisprudenza di legittimita’ a cui aderiva (Cass. N. 16300/2007). La corte distrettuale quindi, pur applicando i compensi massimi dello scaglione a valore indeterminabile, liquidava il compenso spettante al legale, in complessive di lire 4.500.000 (per studio controversia, per consultazioni e redazione atto introduttivo). Tuttavia la domanda da lui proposta doveva ritenersi del tutto infondata atteso che il cliente gli aveva gia’ corrisposto la maggior somma di lire 12.319.560, comprensiva dei diritti ed accessori di legge, che dunque era gia’ satisfattoria del credito professionale giudizialmente fatto valere.
Avverso la sentenza il legale ha proposto ricorso per cassazione che si articola in n. 3 mezzi; resiste con controricorso. Lo (OMISSIS), che ha formulato altresi’ ricorso incidentale.
MOTIVI DELLA DECISIONE
A) RICORSO PRINCIPALE.
1 – Con il 1 motivo del ricorso principale l’esponente denuncia la violazione e falsa applicazione del Decreto Ministeriale 5 ottobre 1995, n. 584, articolo 5, (Legge n. 794 del 1942, articolo 24) e il vizio di motivazione circa un fatto decisivo. Egli si duole del fatto che la Corte distrettuale non avesse ritenuto – con adeguata motivazione – di non particolare importanza o complessita’ il suo intervento professionale nonche’ l'”urgenza” dello stesso. Invero il giudice nello stabilire il compenso in base alla vigente tariffa professionale, ha considerato l’atto di citazione in opposizione L.F., ex articolo 18, da lui redatto, non particolarmente complesso in relazione alle questioni trattate, ed ha escluso che dall’asserita “ristrettezza dei tempi di redazione” potesse conseguire una “particolare importanza” della casistica, dovendo tale urgenza ritenersi “parzialmente compensabile nell’ambito dello scaglione medesimo”.
A conclusione del mezzo, viene posto il seguente quesito di diritto:
“… si chiede pertanto se il criterio della urgenza richiesta per il compimento di singole attivita’” di cui all’articolo 5, comma 3, della tariffa… possa essere valutato quale elemento autonomo per la duplicazione degli onorari spettanti al professionista, ovvero rilevi solo nella ricorrenza di una causa di “particolare importanza”, ai sensi del precedente comma 2″.
La doglianza non ha pregio.
Occorre premettere che l’esponente, nel prospettare tale censura, avrebbe dovuto – in omaggio del principio dell’autosufficienza – enucleare il contenuto della bozza di citazione da lui redatta, per consentire al Collegio di stabilire se la motivazione della corte territoriale fosse congrua o meno. Del resto la doglianza si risolve in una censura in fatto, avverso la vantazione discrezionale del giudice distrettuale, ampiamente e congruamente motivata, immune da vizi logici e giuridici, come tale dunque non sindacabile. La corte d’Appello invero ha valutato la fattispecie secondo parametri ordinari, per impegno, difficolta’ giuridica, e, quanto all'”urgenza” per la rapidita’ della formulazione a fronte di piu’ giorni utili per la presentazione. Del resto, per contestare questi aspetti sarebbe stato necessario – si torna a ripetere – che l’esponente avesse almeno riportato nel ricorso il contenuto della bozza di citazione che il professionista assume di avere redatto.
2- Con il 2 motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del Decreto Ministeriale 5 ottobre 1995, n. 584, articolo 5, (Legge n. 794 del 1942, articolo 24); la violazione e falsa applicazione dell’articolo 17 c.p.c., nonche’ del Decreto del Presidente della Repubblica n. 11 del 2002, articolo 13, “e il vizio di motivazione circa un fatto decisivo”.
Il professionista si duole della ritenuta indeterminabilita’ del valore e ritiene non applicabile alla fattispecie, il criterio espresso dalle S.U. di questa Corte (n. 16300/2007), perche’ a suo avviso non era controverso il passivo della societa’ dichiarata fallita, essendoci stata una precedente richiesta di concordato preventivo da parte della societa’ poi fallita. Osserva ancora che la Corte distrettuale non aveva adeguatamente considerato il parere espresso sulla sua parcella dal competente Consiglio dell’Ordine professionale.
Il motivo si conclude con i seguenti quesiti diritto:
a. “se ai fini della quantificazione degli onorari di avvocato nei confronti del cliente, il valore della causa di opposizione al fallimento L.F., ex articolo 18 ….. debba essere quantificato…. ai sensi del combinato disposto del Decreto Ministeriale 5 ottobre 1994, n. 585, articolo 6, comma 4, e articolo 17 c.p.c., e sulla scorta dell’esposizione debitoria, tenuto conto delle vigenti disposizioni sulla liquidazione del contributo unificato”.
b. “se il parere reso dal Consiglio dell’Ordine professionale,…. conservi – nel giudizio di opposizione al provvedimento monitorio – efficacia limitatamente alla corretta individuazione del valore della pratica sulla scorta dei criteri di cui all’articolo 6 della tariffa professionale”.
La doglianza non ha pregio.
Intanto occorre ribadire che, secondo la piu’ volte ricordata pronuncia delle S.U. (cui si aderisce): “ai fini della liquidazione dei diritti e degli onorari spettanti al difensore in sede di opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento, il valore della causa, da determinarsi sulla base della domanda ex articolo 10 c.p.c., non va desunto dall’entita’ del passivo, non essendo applicabile in via analogica l’ari. 17 c.p.c., riguardante esclusivamente i giudizi di opposizione ad esecuzione forzata, ma deve considerarsi indeterminabile, atteso che la pronuncia richiesta e’ di revoca del fallimento e l’oggetto del giudizio, relativo all’accertamento dell’insolvenza, si fonda sulla comparazione tra i debiti dell’imprenditore e i mezzi finanziari a sua disposizione senza investire la delimitazione quantitativa del dissesto, riservata al subprocedimento di verificazione”. (Cass. Sez. U, n. 16300 del 24/07/2007; Cass. N. 16032 del 13.06.2008).
Cio’ evidenziato, si osserva che il ricorso in esame propone un profilo ulteriore legato al caso di specie, costituito cioe’ dal il fatto che, avendo il cliente in precedenza chiesto (ma non ottenuto) l’accesso alla procedura di concordato preventivo, per cio’ solo vi sarebbe una sorta di “presupposizione” (per cosi’ dire confessoria) di quella condizione d’insolvenza, che dunque non sarebbe neppure stato necessario accertare in futuro.
Si tratta di una deduzione che, ad avviso del Collegio, non puo’ essere condivisa; essa infatti non coglie la ratio della riportata giurisprudenza delle S.U. che non si sostanzia nell’impossibilita’ di definire un valore monetario, ma solo un rapporto “tra i debiti dell’imprenditore e i mezzi finanziari a sua disposizione”.
Peraltro la prospettazione in questione e’ contraddetta proprio dalla pronuncia di questa S.C. (Cass. 1346/13) che ribadisce, con principio estensibile al caso, il principio delle S.U. anche in ipotesi di opposizione alla dichiarazione di fallimento conseguente a pronuncia di risoluzione del concordato preventivo. Invero questa Corte al riguardo ha osservato : “Ai fini della liquidazione dei diritti e degli onorari spettanti al difensore in sede di opposizione alla sentenza di risoluzione del concordato preventivo e conseguente dichiarazione di fallimento, il valore della causa, da determinarsi sulla base della domanda ex articolo 10 c.p.c., non va desunto dall’entita’ del passivo, non essendo applicabile in via analogica l’articolo 17 c.p.c., riguardante esclusivamente i giudizi di opposizione ad esecuzione forzata, ma deve considerarsi indeterminabile, atteso che la pronuncia richiesta e’ di revoca del fallimento, con oggetto l’accertamento dell’insolvenza, e non la delimitazione quantitativa del dissesto, tenuto conto che, rispetto ad essa, la legittimita’ della risoluzione del concordato costituisce un mero presupposto (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 1346 del 21/01/2013).
Quanto all’argomento legato al contributo unificato, lo stesso appare manifestamente estraneo al problema.
In ordine al parere del consiglio dell’ordine professionale, lo stesso non e’ vincolante per il giudice in sede oppositiva. Si ricorda al riguardo questa S.C.: “In tema di prestazioni professionali, la parcella corredata dal parere del consiglio dell’ordine, sulla base della quale il professionista abbia ottenuto il decreto ingiuntivo contro il cliente, se e’ vincolante per il giudice nella fase monitoria, non lo e’ nel giudizio di opposizione, poiche’ il parere attesta la conformita’ della parcella stessa alla tariffa legalmente approvata ma non prova, in caso di contestazione del debitore, la effettiva esecuzione delle prestazioni in essa indicate, ne’ e’ vincolante per il giudice della cognizione in ordine alla liquidazione degli onorari. Ne consegue che la presunzione di veridicita’ da cui e’ assistita la parcella riconosciuta conforme alla tariffa non esclude ne1 inverte l’onere probatorio che incombe sul professionista creditore – ed attore in senso sostanziale – sia quanto alle prestazioni effettivamente eseguite che quanto alla misura degli importi richiesti” (Cass. Sez. 2, n. 5321 del 04/04/2003).
3. Passando all’esame del 3 motivo, con esso il ricorrente denuncia “violazione di legge – violazione dell’articolo 112 c.p.c.” e si riferisce al fatto che la Corte aveva prospettato la possibilita’ di un recupero futuro delle somme gia’ spontaneamente corrisposte in eccesso dallo (OMISSIS) all’avv. (OMISSIS), senza che vi fosse stata al riguardo una domanda in tal proposito. Il motivo ( che in realta’ altro si richiama ad un obiter dictum della Corte territoriale) e’ inammissibile, in quanto del tutto privo del necessario quesito di diritto ex articolo 366 bis c.p.c..
B) RICORSO INCIDENTALE.
Passando al ricorso incidentale (condizionato) dello (OMISSIS) lo stesso si articola in due motivi: 1 – Nullita’ della sentenza per carenza della legittimazione passiva: (OMISSIS) ha sempre ed unicamente agito come amministratore unico della societa’ fallita, come legale rappresentante della stessa; il 2 motivo, si denunzia la violazione degli articoli 1362 e 1388 c.c.: l’interpretazione della corte del c.d. “contratto di patrocinio” concluso dallo (OMISSIS) non in proprio, ma quale amm. Un. della societa’ fallita – vizio di motivazione. Il ricorso incidentale, dunque, in quanto condizionato (proposto dalla parte totalmente vittoriosa) rimane assorbito (Cass. N. 7381 del 25.03.20013). Conclusivamente il ricorso dev’essere rigettato; assorbito quello incidentale; per il principio della soccombenza le spese processuali sono poste a carico dell’esponente.
1 – Con il 1 motivo del ricorso principale l’esponente denuncia la violazione e falsa applicazione del Decreto Ministeriale 5 ottobre 1995, n. 584, articolo 5, (Legge n. 794 del 1942, articolo 24) e il vizio di motivazione circa un fatto decisivo. Egli si duole del fatto che la Corte distrettuale non avesse ritenuto – con adeguata motivazione – di non particolare importanza o complessita’ il suo intervento professionale nonche’ l'”urgenza” dello stesso. Invero il giudice nello stabilire il compenso in base alla vigente tariffa professionale, ha considerato l’atto di citazione in opposizione L.F., ex articolo 18, da lui redatto, non particolarmente complesso in relazione alle questioni trattate, ed ha escluso che dall’asserita “ristrettezza dei tempi di redazione” potesse conseguire una “particolare importanza” della casistica, dovendo tale urgenza ritenersi “parzialmente compensabile nell’ambito dello scaglione medesimo”.
A conclusione del mezzo, viene posto il seguente quesito di diritto:
“… si chiede pertanto se il criterio della urgenza richiesta per il compimento di singole attivita’” di cui all’articolo 5, comma 3, della tariffa… possa essere valutato quale elemento autonomo per la duplicazione degli onorari spettanti al professionista, ovvero rilevi solo nella ricorrenza di una causa di “particolare importanza”, ai sensi del precedente comma 2″.
La doglianza non ha pregio.
Occorre premettere che l’esponente, nel prospettare tale censura, avrebbe dovuto – in omaggio del principio dell’autosufficienza – enucleare il contenuto della bozza di citazione da lui redatta, per consentire al Collegio di stabilire se la motivazione della corte territoriale fosse congrua o meno. Del resto la doglianza si risolve in una censura in fatto, avverso la vantazione discrezionale del giudice distrettuale, ampiamente e congruamente motivata, immune da vizi logici e giuridici, come tale dunque non sindacabile. La corte d’Appello invero ha valutato la fattispecie secondo parametri ordinari, per impegno, difficolta’ giuridica, e, quanto all'”urgenza” per la rapidita’ della formulazione a fronte di piu’ giorni utili per la presentazione. Del resto, per contestare questi aspetti sarebbe stato necessario – si torna a ripetere – che l’esponente avesse almeno riportato nel ricorso il contenuto della bozza di citazione che il professionista assume di avere redatto.
2- Con il 2 motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del Decreto Ministeriale 5 ottobre 1995, n. 584, articolo 5, (Legge n. 794 del 1942, articolo 24); la violazione e falsa applicazione dell’articolo 17 c.p.c., nonche’ del Decreto del Presidente della Repubblica n. 11 del 2002, articolo 13, “e il vizio di motivazione circa un fatto decisivo”.
Il professionista si duole della ritenuta indeterminabilita’ del valore e ritiene non applicabile alla fattispecie, il criterio espresso dalle S.U. di questa Corte (n. 16300/2007), perche’ a suo avviso non era controverso il passivo della societa’ dichiarata fallita, essendoci stata una precedente richiesta di concordato preventivo da parte della societa’ poi fallita. Osserva ancora che la Corte distrettuale non aveva adeguatamente considerato il parere espresso sulla sua parcella dal competente Consiglio dell’Ordine professionale.
Il motivo si conclude con i seguenti quesiti diritto:
a. “se ai fini della quantificazione degli onorari di avvocato nei confronti del cliente, il valore della causa di opposizione al fallimento L.F., ex articolo 18 ….. debba essere quantificato…. ai sensi del combinato disposto del Decreto Ministeriale 5 ottobre 1994, n. 585, articolo 6, comma 4, e articolo 17 c.p.c., e sulla scorta dell’esposizione debitoria, tenuto conto delle vigenti disposizioni sulla liquidazione del contributo unificato”.
b. “se il parere reso dal Consiglio dell’Ordine professionale,…. conservi – nel giudizio di opposizione al provvedimento monitorio – efficacia limitatamente alla corretta individuazione del valore della pratica sulla scorta dei criteri di cui all’articolo 6 della tariffa professionale”.
La doglianza non ha pregio.
Intanto occorre ribadire che, secondo la piu’ volte ricordata pronuncia delle S.U. (cui si aderisce): “ai fini della liquidazione dei diritti e degli onorari spettanti al difensore in sede di opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento, il valore della causa, da determinarsi sulla base della domanda ex articolo 10 c.p.c., non va desunto dall’entita’ del passivo, non essendo applicabile in via analogica l’ari. 17 c.p.c., riguardante esclusivamente i giudizi di opposizione ad esecuzione forzata, ma deve considerarsi indeterminabile, atteso che la pronuncia richiesta e’ di revoca del fallimento e l’oggetto del giudizio, relativo all’accertamento dell’insolvenza, si fonda sulla comparazione tra i debiti dell’imprenditore e i mezzi finanziari a sua disposizione senza investire la delimitazione quantitativa del dissesto, riservata al subprocedimento di verificazione”. (Cass. Sez. U, n. 16300 del 24/07/2007; Cass. N. 16032 del 13.06.2008).
Cio’ evidenziato, si osserva che il ricorso in esame propone un profilo ulteriore legato al caso di specie, costituito cioe’ dal il fatto che, avendo il cliente in precedenza chiesto (ma non ottenuto) l’accesso alla procedura di concordato preventivo, per cio’ solo vi sarebbe una sorta di “presupposizione” (per cosi’ dire confessoria) di quella condizione d’insolvenza, che dunque non sarebbe neppure stato necessario accertare in futuro.
Si tratta di una deduzione che, ad avviso del Collegio, non puo’ essere condivisa; essa infatti non coglie la ratio della riportata giurisprudenza delle S.U. che non si sostanzia nell’impossibilita’ di definire un valore monetario, ma solo un rapporto “tra i debiti dell’imprenditore e i mezzi finanziari a sua disposizione”.
Peraltro la prospettazione in questione e’ contraddetta proprio dalla pronuncia di questa S.C. (Cass. 1346/13) che ribadisce, con principio estensibile al caso, il principio delle S.U. anche in ipotesi di opposizione alla dichiarazione di fallimento conseguente a pronuncia di risoluzione del concordato preventivo. Invero questa Corte al riguardo ha osservato : “Ai fini della liquidazione dei diritti e degli onorari spettanti al difensore in sede di opposizione alla sentenza di risoluzione del concordato preventivo e conseguente dichiarazione di fallimento, il valore della causa, da determinarsi sulla base della domanda ex articolo 10 c.p.c., non va desunto dall’entita’ del passivo, non essendo applicabile in via analogica l’articolo 17 c.p.c., riguardante esclusivamente i giudizi di opposizione ad esecuzione forzata, ma deve considerarsi indeterminabile, atteso che la pronuncia richiesta e’ di revoca del fallimento, con oggetto l’accertamento dell’insolvenza, e non la delimitazione quantitativa del dissesto, tenuto conto che, rispetto ad essa, la legittimita’ della risoluzione del concordato costituisce un mero presupposto (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 1346 del 21/01/2013).
Quanto all’argomento legato al contributo unificato, lo stesso appare manifestamente estraneo al problema.
In ordine al parere del consiglio dell’ordine professionale, lo stesso non e’ vincolante per il giudice in sede oppositiva. Si ricorda al riguardo questa S.C.: “In tema di prestazioni professionali, la parcella corredata dal parere del consiglio dell’ordine, sulla base della quale il professionista abbia ottenuto il decreto ingiuntivo contro il cliente, se e’ vincolante per il giudice nella fase monitoria, non lo e’ nel giudizio di opposizione, poiche’ il parere attesta la conformita’ della parcella stessa alla tariffa legalmente approvata ma non prova, in caso di contestazione del debitore, la effettiva esecuzione delle prestazioni in essa indicate, ne’ e’ vincolante per il giudice della cognizione in ordine alla liquidazione degli onorari. Ne consegue che la presunzione di veridicita’ da cui e’ assistita la parcella riconosciuta conforme alla tariffa non esclude ne1 inverte l’onere probatorio che incombe sul professionista creditore – ed attore in senso sostanziale – sia quanto alle prestazioni effettivamente eseguite che quanto alla misura degli importi richiesti” (Cass. Sez. 2, n. 5321 del 04/04/2003).
3. Passando all’esame del 3 motivo, con esso il ricorrente denuncia “violazione di legge – violazione dell’articolo 112 c.p.c.” e si riferisce al fatto che la Corte aveva prospettato la possibilita’ di un recupero futuro delle somme gia’ spontaneamente corrisposte in eccesso dallo (OMISSIS) all’avv. (OMISSIS), senza che vi fosse stata al riguardo una domanda in tal proposito. Il motivo ( che in realta’ altro si richiama ad un obiter dictum della Corte territoriale) e’ inammissibile, in quanto del tutto privo del necessario quesito di diritto ex articolo 366 bis c.p.c..
B) RICORSO INCIDENTALE.
Passando al ricorso incidentale (condizionato) dello (OMISSIS) lo stesso si articola in due motivi: 1 – Nullita’ della sentenza per carenza della legittimazione passiva: (OMISSIS) ha sempre ed unicamente agito come amministratore unico della societa’ fallita, come legale rappresentante della stessa; il 2 motivo, si denunzia la violazione degli articoli 1362 e 1388 c.c.: l’interpretazione della corte del c.d. “contratto di patrocinio” concluso dallo (OMISSIS) non in proprio, ma quale amm. Un. della societa’ fallita – vizio di motivazione. Il ricorso incidentale, dunque, in quanto condizionato (proposto dalla parte totalmente vittoriosa) rimane assorbito (Cass. N. 7381 del 25.03.20013). Conclusivamente il ricorso dev’essere rigettato; assorbito quello incidentale; per il principio della soccombenza le spese processuali sono poste a carico dell’esponente.
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale, assorbito quello incidentale, e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in euro 3.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi.
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