Corte_de_cassazione_di_Roma

Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza 11 febbraio 2015, n. 2646

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PICCIALLI Luigi – Presidente
Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere
Dott. MANNA Felice – Consigliere
Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere
Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 6757-2009 proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), QUEST’ULTIMO QUALE AMM.RE DELLA “COMUNIONE (OMISSIS)”, (OMISSIS) elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’Avv. (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS);
– intimata –
avverso la sentenza n. 43/2008 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 22/01/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/11/2014 dal Consigliere Dott. ANTONINO SCALISI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FINOCCHI GHERSI Renato che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
(OMISSIS), nella qualita’ di amministratore della Comunione (OMISSIS) e quale procuratore di (OMISSIS) e (OMISSIS), con atto di citazione del 6 dicembre 2000, convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Trapani sez staccata di Alcamo, (OMISSIS), e premesso che (OMISSIS) e (OMISSIS) erano comproprietari per quote indivise del complesso denominato (OMISSIS) sito in territorio di (OMISSIS) composto da immobili e mobili, che la comunione era regolata dai patti intervenuti con l’atto pubblico di acquisto e dal regolamento integrativo del (OMISSIS).
I suddetti atti, prevedevano la possibilita’ di utilizzazione diretta da parte dei compartecipanti alla comunione di alcune unita’ immobiliari e la locazione a terzi. Che con comunicazione del 14 dicembre 1998 (OMISSIS), – figlia di (OMISSIS) aveva chiesto la disponibilita’ dell’unita’ immobiliare denominata (OMISSIS) per il periodo 15/12/1998 al 14/6/1999 e l’amministratore l’aveva concesso comunicando il corrispettivo da pagare in lire di 1.678.000, la convenuta provvedeva a pagare la somma di lire 870.000 e nonostante al scadenza del periodo stabilito e nonostante i ripetuti inviti non provvedeva a rilasciare l’immobile e neppure a corrispondere il saldo del dovuto, che alla data del 30 novembre 200 era maturato un risarcimento danni di lire 14.090.202 quali corrispettivi per il godimento esclusivo dell’immobile. Chiedevano, pertanto che la (OMISSIS) fosse condannata al rilascio dell’immobile, al pagamento di lire 808.000 quale saldo del corrispettivo concordato e al pagamento della somma di lire 14090.202 oltre rivalutazione monetaria a titolo di risarcimento danni.
Si costituiva la convenuta e deduceva di essere nel godimento dell’immobile, mobili ed attrezzature de quibus da potere della propria madre, che le aveva trasferito i diritti con separata scrittura. Deduceva la carenza di legittimazione di (OMISSIS), quale amministratore atteso che l’amministratore non aveva il potere di stare in giudizio senza autorizzazione assembleare, di non aver mai sottoscritto alcun contratto e di non aver concordato alcuna scadenza.
Chiedeva, dunque, previa dichiarazione del difetto di legittimazione ad agire di (OMISSIS), che venisse rigettata la domanda attorea.
Espletata l’istruzione il Tribunale di Trapani con sentenza n. 15 del 2004 dichiarava inammissibili le domande proposte da (OMISSIS) nella qualita’ di amministratore della Comunione (OMISSIS) per difetto di legittimatio ad processum e rigettava le domande proposte dallo stesso (OMISSIS) nella qualita’ di procuratore di (OMISSIS) e da (OMISSIS), perche’ infondate nel merito, compensava le spese.
Avverso questa sentenza interponeva appello (OMISSIS) nella duplice qualita’ di amministratore della Comunione (OMISSIS) e quale procuratore di (OMISSIS) e (OMISSIS).
(OMISSIS) non si costituiva.
La Corte di appello di Palermo con sentenza n. 43 del 2008 accoglieva l’appello e in riforma della sentenza del Tribunale di Trapani dichiarava cessata la materia del contendere in relazione all’azione di rilascio dell’immobile e condannava (OMISSIS) al pagamento della somma di euro 74,87 mensili con decorrenza dal 15 giugno 1999, fino alla data di rilascio, oltre interessi nella misura di legge sulla stessa somma rivalutata di anno in anno secondo indici Istat, condannava la stessa al pagamento delle spese di lite del doppio grado di giudizio. Secondo la Corte palermitana, l’amministratore era titolare del poter di agire, anche senza la preventiva autorizzazione dato che l’azione era diretta al recupero di un bene in comunione. La domanda relativa al rilascio dell’immobile di cui si dice, restava superata dal fatto che, medio tempore, la (OMISSIS) aveva rilasciato l’immobile dalla stessa detenuto. La Corte riteneva di dover riformare la sentenza di pii mo grado in merito alla domanda di risarcimento danni degli appellanti, una volta accertata l’occupazione sine titulo da parte della (OMISSIS). La cassazione di questa sentenza e’ stata chiesta da (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) quale amministratore della Comunione (OMISSIS), con ricorso affidato a tre motivi. (OMISSIS) in questa sede non ha svolto attivita’ giudiziale.
In data 15 ottobre 2014 l’avv. (OMISSIS) depositava in cancelleria atto di rinuncia al ricorso da parte della Comunione (OMISSIS).
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.= Con il primo motivo di ricorso (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) quale amministratore della Comunione (OMISSIS), lamentano la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3. Avrebbe errato la Corte di Palermo nell’aver affermato che agli atti mancava la prova del corrispettivo pattuito e che in ogni caso la (OMISSIS) non lo avesse pagato, perche’ e’ del tutto erroneo affermare che il creditore dovrebbe fornire la prova del credito per il quale agisce in giudizio, nonche’ quella del mancato adempimento mentre l’articolo 1697 pone l’onere della prova dell’adempimento a carico del debitore.
Pertanto, concludono i ricorrenti, dica la Corte di Cassazione se e’ o meno onere del soggetto convenuto in giudizio fornire al prova dell’avvenuto adempimento dell’obbligazione.
1.1.= Il motivo ancorche’ inammissibile perche’ inconferente il quesito di diritto, e’ infondato ed, essenzialmente, perche’ la censura e’ frutto di una lettura superficiale della sentenza impugnata.
E’ giusto il caso di ribadire, anche in questa sede, il principio secondo cui nell’azione di adempimento, qualora il creditore eccepisca non un inesatto adempimento ma un integrale inadempimento, e’ tenuto soltanto a provare l’esistenza del titolo, mentre incombe sul debitore l’onere di fornire la prova di avere adempiuto e, quindi, anche la corrispondenza dell’oggetto della prestazione resa, a quello pattuito. Tuttavia, nel caso in esame, la Corte di Palermo, ha ritenuto non provato l’inadempimento della (OMISSIS) dal momento che la (OMISSIS) aveva affermato di aver versato (e dalla sentenza non sembra vi sia stata alcuna contestazione anzi dall’esposizione dei fatti risulta pacifico che la (OMISSIS) avesse versato la somma di lire 870.000 – pag. 3 della sentenza) il canone deliberato dall’assemblea della Comunione del 26 marzo 1995 e l’appellante (attuali ricorrenti) non aveva offerto la dimostrazione che il debito della (OMISSIS) fosse maggiore di quanto la stessa aveva versato.
Pertanto, la Corte di Palermo non ha gravato l’appellante (creditore) dell’onere di provare l’inadempimento della (OMISSIS) ma – come correttamente doveva essere secondo i principi in tema di onere della prova – dell’onere di provare l’entita’ del proprio credito, ovvero, che il proprio credito fosse superiore alla somma versata dalla (OMISSIS).
2.= Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano l’insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3. Secondo i ricorrenti, la Corte di Palermo non avrebbe spiegato adeguatamente perche’, pur pervenendo alla conclusione che era stato instaurato tra l’Amministrazione della Comunione (OMISSIS) e (OMISSIS) un contratto obbligatorio per il periodo dal 15.12.1998 al 14.6.1999, ha ritenuto sfornito di prova l’elemento del corrispettivo richiesto e precisato in lire 1.678.000. Piuttosto, in base agli stessi documenti dai quali si e’ tratta la prova del contratto obbligatorio doveva essere acclarata la prova dell’entita’ del corrispettivo, che andava quantificata in lire 1.678.000 anziche’ in lire 870.000.
2.1.= Il motivo e’ infondato.
A ben vedere i ricorrenti intersecano due profili di una stessa vicenda che, tuttavia, vanno tenuti separati. Va qui chiarito che la domanda originaria degli attuali ricorrenti riguardava da un verso la richiesta del pagamento di un canone locativo relativo al periodo 15 dicembre 1998 al periodo 14 giugno 1999 e, per altro, la richiesta di un risarcimento danni per il mancato rilascio dell’immobile alla data del 15 giugno 1999. Ora, la Corte di Palermo ha acclarato che le parti non disconoscevano che tra le stesse si era instaurato un rapporto locativo ricompreso tra il 15.12.1998 e il 14.6.1999. Gli stessi appellanti, per altro, nel formulare il terzo motivo di appello specificavano che la domanda di risarcimento doveva essere accolta per l’assorbente rilievo che con il ritenere inesistente un rapporto obbligatorio, non si sarebbe fatto che accertare l’illegittimita’ ab origine della detenzione e tale fatto poteva fare escludere il diritto al risarcimento per il periodo del 15 dicembre 1998 al 14 giugno 1999, ma, certamente, non per il periodo successivo. Per altro, la Corte accertava, su conforme richiesta degli attori (odierni ricorrenti) che dal 15 giugno 1999 la (OMISSIS) deteneva l’immobile sine titulo. Pertanto, nel rispetto del noto principio secondo cui, iudex iuxta alligata et probata iudicare debet, il rapporto locativo di cui si dice non era stato accertato per la presenza di un contratto locativo, ma, in ragione dell’affermazione della Comunione (OMISSIS) e la non contestazione della (OMISSIS) per quanto la stessa dichiarava che il godimento dell’immobile di cui si dice, nel periodo considerato, le era stato concesso dalla madre (OMISSIS) la quale era parte della Comunione (OMISSIS).
3.= Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano l’insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 5. Secondo i ricorrenti la corte di Palermo avrebbe proceduto a quantificare il danno con valutazione equitativa, omettendo, pero’, di considerare le delibere degli organi della Comunione con le quali vennero determinati i corrispettivi relative all’immobile oggetto del processo. Piuttosto, se la Corte distrettuale avesse esaminato le delibere della Comunione, avrebbe accertato che i canoni annuali per l’utilizzazione dell’immobile di cui si dice, erano notevolmente piu’ alti di quanto determinato in forma equitativa, pur tenendo conto che si trattava di un immobile a destinazione turistico balneare e che i canoni mensili erano determinati tenendo conto dei diversi periodo dell’anno.
3.1.= Il motivo e’ fondato.
Va qui premesso che la valutazione di cui all’articolo 1226 c.c. consiste nella possibilita’ attribuita al giudice di ricorrere, anche d’ufficio, a criteri equitativi per supplire all’impossibilita’ della prova del danno risarcibile nel suo preciso ammontare. Per pervenire alla valutazione con il criterio equitativo ex articolo 1226 cod. civ., e’ sufficiente che il giudice dia l’indicazione di congrue, anche se sommarie, ragioni del processo logico in base al quale lo ha adottato, restando cosi’ incensurabile, in sede di legittimita’, l’esercizio di questo potere discrezionale.
Tuttavia, nel caso in esame, la Corte distrettuale ha trascurato di valutare tutti documenti presenti in giudizio ed, in particolare, le relative delibere degli organi della Comunione (OMISSIS) con le quali venivano determinati i corrispettivi relativi all’immobile oggetto del processo. In altri termini la Corte di Palermo avrebbe dovuto – e non lo ha fatto – valutare tutti gli elementi presenti negli atti del processo da cui erano desumibili parametri liquidatori.
Rimane una affermazione, non del tutto comprensibile, quella relativa alla opportunita’ di non ricorrere all’espletamento di una ctu che si sarebbe rilevata eccessivamente costosa, avuto riguardo alla presumibile non rilevante redditualita’ dell’immobile medesimo e non tener conto di utili elementi valutativi offerti dagli attuali ricorrenti.
In definitiva va accolto il terzo motivo e rigettati gli altri. La sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e la causa va rinviata ad altra sezione della Corte di appello di Palermo anche per il regolamento delle spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo del ricorso e rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa ad altra sezione della Corte di Appello di Palermo anche per il regolamento delle spese del presente giudizio di cassazione

 

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