Per rivedere la sentenza di patteggiamento è necessario che le nuove prove dimostrino la sussistenza di cause di proscioglimento.
Suprema Corte di Cassazione
sezione II penale
sentenza 9 febbraio 2017, n. 6289
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DIOTALLEVI Giovanni – Presidente
Dott. IASILLO Adriano – rel. Consigliere
Dott. PELLEGRINO Andrea – Consigliere
Dott. SGADARI Giuseppe – Consigliere
Dott. RECCHIONE Sandra – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), (n. l'(OMISSIS)) difeso dall’avv. (OMISSIS);
avverso la sentenza della Corte di appello di Trieste, in data 04/04/2016;
Sentita la relazione della causa fatta dal Consigliere Dr. Adriano Iasillo.
Letta la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, Dr. Galli Massimo, il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
OSSERVA
Con sentenza del 04/04/2016 la Corte di appello di Trieste rigettava la richiesta di revisione presentata da (OMISSIS) avverso la sentenza di patteggiamento del G.U.P. del Tribunale di Trento del 18/11/2013 irrevocabile in data 12/12/2014. Con tale sentenza al ricorrente veniva applicata la pena, concordata tra le parti, di anni 3 e mesi 2 di reclusione ed Euro 1.400,00 di multa, per i reati di partecipazione ad associazione a delinquere, furto aggravato, ricettazione, riciclaggio e detenzione e porto illegale di arma.
Avverso la predetta sentenza ricorre per Cassazione il difensore del (OMISSIS) deducendo che erroneamente la Corte di appello non ha ritenuto sussistente la inconciliabilita’ dei giudicati tra la sentenza di cui sopra, con la quale al (OMISSIS) veniva applicata la pena anche per il reato di riciclaggio e di porto illegale di arma, e la sentenza (divenuta irrevocabile il 01/07/2015) con la quale il correo (OMISSIS) veniva assolto dal reato di riciclaggio e dal reato di detenzione e porto illegale di armi perche’ il fatto non sussiste; gli stessi reati di riciclaggio e porto di armi per i quali al (OMISSIS) e’ stata applicata la pena su accordo delle parti.
Il difensore del ricorrente conclude, pertanto, per l’annullamento dell’impugnata sentenza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Si deve, preliminarmente, rilevare che il caso di revisione di cui all’articolo 630 c.p.p., comma 1, lettera a), sussiste anche se i fatti ritenuti inconciliabili – e stabiliti a fondamento della decisione – siano contenuti in una sentenza di patteggiamento e in una sentenza emessa a seguito di giudizio ordinario. Infatti, l’articolo 629 c.p.p., come modificato dalla L. 12 giugno 2003, n. 134, prevede espressamente la revisione “delle sentenze emesse ai sensi dell’articolo 444, comma 2” (Sez. 4, Sentenza n. 2635 del 21/12/2010 Cc. – dep. 26/01/2011 – Rv. 249621; Sez. 5, Sentenza n. 10405 del 13/01/2015 Ud. – dep. 11/03/2015 – Rv. 262731).
2. Orbene, tanto premesso, si deve evidenziare che il ricorso e’ manifestamente infondato perche’ la “inconciliabilita’” – come ben rileva la Corte di Appello – non si riferisce, in questo caso, ai “fatti stabiliti a fondamento della sentenza di condanna”, bensi’ alla loro valutazione. In proposito si deve sottolineare che in tema di revisione, il concetto di inconciliabilita’ fra sentenze irrevocabili di cui all’articolo 630 c.p.p., comma 1, lettera a), non deve essere inteso in termini di contraddittorieta’ logica tra le valutazioni effettuate nelle due decisioni, ma con riferimento ad una oggettiva incompatibilita’ tra i fatti storici su cui si fondano le diverse sentenze (Sez. 2, Sentenza n. 12809 del 11/03/2011 Cc. – dep. 29/03/2011 – Rv. 250061; Sez. 5, Sentenza n. 10405 del 13/01/2015 Ud. – dep. 11/03/2015 – Rv. 262731). Questa Suprema Corte ha piu’ volte affermato che il contrasto di giudicati rilevante ai fini della revocabilita’ di un provvedimento definitivo non ricorre neppure nell’ipotesi in cui lo stesso verta sulla valutazione giuridica attribuita agli stessi fatti dai due diversi giudici (fattispecie nella quale la Corte ha escluso il contrasto di giudicati tra la sentenza di assoluzione emessa nei confronti di un imputato e quella di applicazione pena nei confronti del coimputato, rilevando che i fatti posti a base delle due decisioni erano stati descritti dal punto di vista del loro verificarsi oggettivo in maniera identica e che di essi era stata fornita dai due giudici differente qualificazione giuridica, in un caso affermandosi e nell’altro escludendosi la sussistenza della qualifica di incaricato di pubblico servizio con riferimento alla medesima persona; Sez. 6, Sentenza n. 15796 del 03/04/2014 Ud. – dep. 08/04/2014 – Rv. 259804).
2,1. Nel caso di cui ci occupiamo il fatti presi in esame e posti a fondamento della decisione nelle due diverse sentenze sono identici: un’autovettura di provenienza furtiva entra nel possesso degli imputati, i quali, poi, apponevano sulla stessa auto una targa fittizia per poterla usare anche per commettere altro reato (rapina aggravata); gli imputati detenevano e portavano in luogo pubblico armi. Il ricorrente, come si e’ gia’ detto, definisce la sua posizione con sentenza di patteggiamento divenuta definitiva, in data 12/12/2014, a seguito della dichiarazione di questa Suprema Corte di inammissibilita’ del ricorso dell’imputato; il (OMISSIS) viene, invece, assolto con la formula perche’ il fatto non sussiste a seguito di un processo definito con giudizio abbreviato.
L’assoluzione del (OMISSIS) per il reato di riciclaggio e di porto illegale di un’arma si fonda – come si legge nello stesso ricorso a pagina 2 e ss. per il riciclaggio e 7 e ss. per il porto di arma) – sulla valutazione del Giudice della dichiarazione di altri due coimputati; valutazione che lo porta ad escludere, tra l’altro in modo dubbioso, cha a commettere i reati di riciclaggio e detenzione e porto illegale possano essere stati anche gli altri coimputati (tra i quali appunto anche il (OMISSIS) e il (OMISSIS)). Ma e’ evidente che il reato di riciclaggio sussiste, quantomeno, per il coimputato che si e’ addossato ogni responsabilita’ e quindi il (OMISSIS) andava assolto con la formula per non aver commesso il fatto; identica considerazione vale anche per il reato di porto della seconda arma. Tanto rilevato si deve sottolineare che in tema di revisione, il concetto di inconciliabilita’ fra sentenze irrevocabili di cui all’articolo 630 c.p.p., comma 1, lettera a), non deve essere inteso in termini di contraddittorieta’ logica tra le valutazioni effettuate nelle due decisioni, ma con riferimento ad una oggettiva incompatibilita’ tra i fatti su cui si fondano le diverse sentenze (nella specie, la Corte ha escluso che la richiesta di revisione potesse fondarsi sulla presunta inconciliabilita’ della sentenza di condanna rispetto alla sentenza di assoluzione pronunciata, in un separato giudizio, nei confronti dei concorrenti nel medesimo reato contestato al ricorrente, precisando che anche l’accertamento della esistenza del concorso di persone nel reato costituisce l’esito di un giudizio valutativo che, come tale, esula dall’ambito di applicazione dell’articolo 630, comma 1, lettera A); Sez. 4, Sentenza n. 8135 del 25/10/2001 Cc. -dep. 28/02/2002 – Rv. 221098). Inoltre, in tema di revisione, il concetto di inconciliabilita’ fra sentenze irrevocabili di cui all’articolo 630 c.p.p., comma 1, lettera a), non deve essere inteso in termini di contraddittorieta’ logica tra le valutazioni effettuate nelle due decisioni, ma con riferimento ad una oggettiva incompatibilita’ tra i fatti su cui si fondano le diverse sentenze (nella specie, la Corte ha escluso che la richiesta di revisione potesse fondarsi sulla presunta inconciliabilita’ della sentenza di patteggiamento rispetto alla sentenza di assoluzione pronunciata, in un separato giudizio, nei confronti dei concorrenti nel medesimo reato contestato al ricorrente, rilevando che tale ultima decisione, pur pronunciata “perche’ il fatto non sussiste”, era fondata sull’accertamento della innocenza dei soli correi; Sez. 5, Sentenza n. 40819 del 22/09/2005 Ud. – dep. 10/11/2005 – Rv. 232803). Infine, non e’ ammessa la revisione della sentenza di condanna fondata sugli stessi dati probatori utilizzati dalla sentenza di assoluzione nei confronti di un concorrente nello stesso reato e pronunciata in un diverso procedimento, in quanto la revisione giova a emendare l’errore di fatto e non la valutazione del fatto (Sez. 1, Sentenza n. 6273 del 03/02/2009 Cc. – dep. 13/02/2009 – Rv. 243231).
2,2. Appare opportuno riportare una parte della condivisa motivazione di una sentenza di questa Corte nella quale ben si sottolinea la differenza tra fatti e giudizi o valutazioni. “Questa distinzione (tra fatti e giudizi o valutazioni) ha una sua ragion d’essere perche’, se la differenza di valutazioni e’ connaturata all’attivita’ giurisdizionale che trova il suo momento conclusivo in un apprezzamento – logicamente motivato ma discrezionale – sul materiale probatorio acquisito al processo, l’ordinamento non puo’ invece consentire che i fatti, il cui accertamento costituisce la premessa del giudizio, siano ritenuti esistenti da un giudice e inesistenti da un altro giudice. Insomma la realta’ fattuale posta a fondamento delle decisioni giudiziarie deve essere incontrovertibile; la valutazione di questa realta’ puo’ invece essere diversa. E’ quindi inevitabile che, fermi restando i fatti accertati nei diversi processi, giudici diversi possano apprezzarli diversamente (in questo senso, Cass., sez. 4, n. 8135 del 25/10/2001, Rv 221098; sez. 6, n. 15796 del 4/4/2014; sez. 6, n. 20029 del 27/2/2014; sez. 5, n. 3914 del 17/11/2011; sez. 2, n. 12809 del 11/3/2011). Nel caso di specie, quindi, “i fatti” che sono alla base delle due pronunce sono gli stessi; e’ cambiata, nel secondo giudizio, solo la loro valutazione.
E che le cose stiano cosi’ e’ confermato dal fatto che nessuna nuova prova e’ stata acquisita nel secondo giudizio” (Sez. 5, Sentenza n. 10405 del 13/01/2015 Ud. – dep. 11/03/2015 – Rv. 262731).
3. Nella stessa sentenza di cui sopra si affronta un altro argomento correttamente evidenziato dalla Corte di appello e contrastato dal ricorrente genericamente; l’argomento a cui si fa riferimento e’ la scelta del (OMISSIS) di definire la sua posizione con il patteggiamento. Si afferma nella predetta sentenza (n. 10405 del 2015): “Va poi sottolineata un’altra rilevante circostanza costituita dalla scelta” dell’imputato “di optare per il patteggiamento. Se, per quanto si e’ detto, non e’ la natura del giudizio prescelto che condiziona la praticabilita’ della revisione, non puo’ sottacersi che i criteri di valutazione del materiale di indagine sono, nel patteggiamento, diversi da quelli che regolano la valutazione della prova nel dibattimento (o nel giudizio abbreviato), posto che, nel primo caso, la valutazione del giudice avviene “sulla base degli atti” ed e’ diretta ad escludere la sussistenza di una causa di proscioglimento a norma dell’articolo 129 c.p.p., mentre, nel secondo caso, la cognizione del giudice e’ completa ed e’ diretta alla valutazione di ogni aspetto della reiudicanda. Ne consegue – a maggior ragione – che non possono essere i giudizi formulati intorno alla capacita’ dimostrativa delle prove – o, peggio ancora, intorno all’interpretazione delle norme – che possono fondare una domanda di revisione ai sensi dell’articolo 630, comma 1, lettera a), invocato nella specie”. A tal proposito si deve sottolineare che questa Suprema Corte ha affermato il condiviso principio secondo il quale la revisione della sentenza di patteggiamento, richiesta per la sopravvenienza o la scoperta di nuove prove (e non e’ questo il caso di cui ci occupiamo, non essendo state acquisite nuove prove, ne’ – come ben osservato dalla Corte di appello – puo’ considerarsi prova nuova l’assoluzione del coimputato; nds.), comporta una valutazione di queste ultime alla luce della regola di giudizio posta per il rito alternativo, con la conseguenza che le stesse devono consistere in elementi tali da dimostrare la sussistenza di cause di proscioglimento dell’interessato secondo il parametro di giudizio dell’articolo 129 c.p.p., si’ come applicabile nel patteggiamento (Sez. 6, Sentenza n. 10299 del 13/12/2013 Cc. – dep. 04/03/2014 – Rv. 258997).
4. A fronte di quanto sopra il difensore del ricorrente contrappone solo generiche doglianze. In proposito questa Corte ha piu’ volte affermato il principio, condiviso dal Collegio, che e’ inammissibile il ricorso per Cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto di impugnazione, che non puo’ ignorare le affermazioni del provvedimento censurato, senza cadere nel vizio di aspecificita’, che conduce, ex articolo 591 c.p.p., comma 1, lettera c), all’inammissibilita’ del ricorso (Si veda fra le tante: Sez. 1, sent. n. 39598 del 30.9.2004 – dep. 11.10.2004 – rv 230634).
5. Uniformandosi a tali orientamenti, che il Collegio condivide, va dichiarata inammissibile l’impugnazione.
5.1. Ne consegue, per il disposto dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonche’ al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.500,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500,00 a favore della Cassa delle ammende
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