In tema di utilizzo indebito di carta di credito, a prescindere dal dato formale che la tessera fosse intestata alla società, l’imputato era nel possesso della stessa e del relativo PIN, per cui si deve ritenere che sussistesse in capo a lui la titolarità della stessa, visto che ne poteva disporre senza alcuna ingerenza da parte dell’intestatario

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE II PENALE

SENTENZA 17 febbraio 2017, n. 7910

Ritenuto in fatto

Con sentenza del 31 maggio 2016 il Tribunale di Ferrara dichiarava non doversi procedere nei confronti di C.M. in ordine al reato di cui agli artt. 81 cod.pen. e 55 comma 9 D. L.vo n.231/07 perché il fatto non sussiste; il giudice perveniva alla soluzione di cui in sentenza, argomentando che l’imputato era legittimato all’uso della carta di credito aziendale (tanto che aveva un proprio PIN personale), per cui l’uso della carta per effettuare rifornimento a mezzi non aziendali non integrava il reato ascritto, posto che tale irregolarità non atteneva ad un difetto di legittimazione nell’uso della carta, ma unicamente ad una infedeltà del dipendente.

1.1 Avverso la sentenza ricorre per Cassazione il Pubblico Ministero, osservando come C. non fosse titolare della tessera, per cui doveva ritenersi configurato tanto l’elemento oggettivo del reato (ovvero l’abusivo impiego della carta di pagamento da parte di soggetto non titolare della stessa) quanto quello soggettivo (consistente nella coscienza e volontà di porre in essere la condotta per finalità di profitto proprio o altrui); anche a voler ammettere che C. potesse essere qualificato titolare della tessera, il fatto sarebbe stato comunque penalmente rilevante sotto il profilo dell’appropriazione indebita.

Considerato in diritto

Il ricorso è fondato.

2.1 L’art. 55 comma 9 D.L.vo n. 231/07 sanziona chiunque al fine di trarne profitto per sé o per altri ‘indebitamente utilizza, non essendone titolare’ una carta di credito o documento analogo; occorse quindi accertare se, ne caso in esame, C. fosse o meno titolare della carta da lui utilizzata per il rifornimento di mezzi non aziendali.

Questa Corte ritiene che la risposta al superiore quesito debba essere affermativa: a prescindere dal dato formale che la tessera fosse intestata alla società, C. era infatti nel possesso della stessa e del relativo PIN, per cui si deve ritenere che sussistesse in capo a lui la titolarità della stessa, visto che ne poteva disporre senza alcuna ingerenza da parte dell’intestatario.

Diversamente da quanto ritenuto dal giudice per le indagini preliminari, però, non si può ritenere che il comportamento tenuto da C. non sia penalmente rilevante, posto che, ove venisse dimostrata l’ipotesi dell’accusa, C. si sarebbe comunque appropriato della tessera di cui aveva il possesso, procurandosi un ingiusto profitto (il carburante prelevato), integrando così la fattispecie prevista dall’art. 646 cod.pen., aggravato ai sensi dell’art. 61 n. 11 cod.pen..

La sentenza impugnata deve essere quindi annullata con rinvio alla Corte di Appello di Bologna.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Bologna per il giudizio

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