L’installazione “ex novo” di un ascensore in un edificio in condominio (le cui spese, a differenza di quelle relative alla manutenzione e ricostruzione dell’ascensore già esistente, vanno ripartite non ai sensi dell’art. 1124 c.c., ma secondo l’art. 1123 c.c., ossia proporzionalmente al valore della proprietà di ciascun condomino) costituisce innovazione che può essere deliberata dall’assemblea condominiale con le maggioranze prescritte dall’art. 1136 c.c., oppure direttamente realizzata con il consenso di tutti i condomini, così divenendo l’impianto di proprietà comune. Trattandosi, tuttavia, di impianto suscettibile di utilizzazione separata, proprio quando l’innovazione, e cioè la modificazione materiale della cosa comune (nella specie, il vano scale) conseguente alla realizzazione dell’ascensore, non sia stata approvata in assemblea (lo stesso art. 1121 c.c., al comma 2, parla di maggioranza dei condomini che abbia “deliberata o accettata” l’innovazione), essa può essere attuata anche a cura e spese di uno o di taluni condomini soltanto (con i limiti di cui all’art. 1102 c.c.), salvo il diritto degli altri di partecipare in qualunque tempo ai vantaggi dell’innovazione, contribuendo nelle spese di esecuzione e di manutenzione dell’opera.
L’ascensore, installato nell’edificio dopo la costruzione di quest’ultimo per iniziativa di parte dei condomini, non rientra nella proprietà comune di tutti i condomini, ma appartiene in proprietà a quelli di loro che l’abbiano impiantato a loro spese. Ciò dà luogo nel condominio ad una particolare comunione parziale dei proprietari dell’ascensore, analoga alla situazione avuta a mente dall’art. 1123, comma 3, c.c., comunione che è distinta dal condominio stesso, fino a quando tutti i condomini non abbiano deciso di parteciparvi. L’art. 1121, comma 3, c.c. fa, infatti, salva agli altri condomini la facoltà di partecipare successivamente all’innovazione, divenendo partecipi della comproprietà dell’opera, con l’obbligo di pagarne pro quota le spese impiegate per l’esecuzione, aggiornate al valore attuale.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE II CIVILE
ORDINANZA 4 settembre 2017, n.20713
T.M.G. e V.S. , la prima anche in proprio ed entrambi quali eredi della parte originaria V.G.C. , hanno proposto ricorso articolato in quattro motivi avverso la sentenza della Corte d’Appello di Genova n. 1205/2013, depositata il 24/10/2013. Resistono con controricorso S.E. , G.A. e Sc.Ma. , mentre invece non svolgono attività difensive gli altri intimati M.N. , D.G.G. , Ma.Li. e Sc.Te. .
Il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Alessandro Pepe, ha depositato le sue conclusioni scritte, chiedendo di rigettare il ricorso, ai sensi dell’art. 380-bis 1 c.p.c..
S.E. , G.A. , Sc.Ma. , M.N. , D.G.G. , Ma.Li. e Sc.Te. , con citazione del 23 aprile 2002, avevano convenuto davanti al Tribunale di Genova T.M.G. e V.G.C. , per sentir accertare il costo dell’ascensore installato da questi ultimi nel Condominio di (omissis) , e le relative quote di contribuzione nelle spese di gestione e manutenzione dell’impianto. Nella resistenza dei convenuti, il Tribunale, espletata CTU, con sentenza del 16/11/2005,
ritenuta implicita nella domanda svolta quella di riconoscimento del diritto degli attori all’acquisizione della comproprietà dell’impianto ex art. 1121, comma 3, c.c., accertava che il costo dell’ascensore fosse di Euro 32.576,78 e determinava la quota di contribuzione a carico di ciascun attore ai sensi dell’art. 1124 c.c. Proposto gravame da T.M.G. e V.G.C. , lo stesso veniva rigettato dalla Corte d’Appello di Genova con la sentenza qui impugnata, la quale affermava la sussistenza dell’interesse ad agire degli attori originari, pur avendo essi dichiarato inizialmente di non voler esercitare il diritto potestativo di partecipare alla comunione dell’ascensore, in ogni caso avendo poi gli stessi nel corso del giudizio espresso la volontà di entrare a far parte della comunione dell’ascensore (al punto da proporre altro giudizio avente ad oggetto proprio tale pretesa). La Corte di Genova negava altresì la ravvisabilità di un abuso del diritto da parte degli attori, per aver prima domandato in altra causa la demolizione dell’ascensore, e poi in questa la declaratoria della comunione del medesimo; come anche si escludeva la indeterminatezza della citazione, ben individuata e qualificata dal Tribunale e tale da consentire ai convenuti di difendersi. La sentenza d’appello riconduceva inoltre l’ascensore alle innovazioni di cui all’art. 1121 c.c. e condivideva il valore dell’impianto stimato dal CTU.
I ricorrenti hanno depositato in data 28 giugno 2017 memoria ai sensi dell’art. 380 bis 1, c.p.c..
II. Il primo motivo di ricorso di T.M.G. e V.S. (suddiviso in quattro distinti profili nella sua esposizione) censura la violazione dell’art. 100 c.p.c., in relazione agli artt. 2, 3, 24, 111 Cost., 112, 113, 115, 116 e 132 c.p.c., avendo l’impugnata sentenza consentito agli attori di conoscere il mero fatto del costo dell’impianto di ascensore, e non tutelato il loro diritto di compartecipazione nell’opera, come si evincerebbe dai documenti prodotti e dagli atti processuali.
Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., sempre in relazione agli artt. 2, 3, 24, 111 Cost., 112, 113, 115, 116 e 132 c.p.c., e la violazione dell’obbligo di motivazione, avendo la sentenza impugnata consentito agli attori di vedersi attribuito un diritto di compartecipazione all’impianto di ascensore senza che essi ne avessero domandato l’accertamento, ovvero sulla base di un’accettazione del contraddittorio sul punto da parte dei convenuti.
Il terzo motivo di ricorso (suddiviso in quattro distinti profili nella sua esposizione) denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1121 c.c., stavolta in relazione agli artt. 2, 3, 24, 111 Cost., 1102, 1117, 1120 c.c., 112, 113, 115, 116 e 132 c.p.c., nonché il vizio di motivazione, avendo la sentenza impugnata applicato la disciplina delle innovazioni condominiali di cui all’art. 1121 c.c. ad un’opera di ascensore ‘nata privata’ ai sensi dell’art. 1102 c.c., così permettendo agli attori di entrare forzosamente nella comproprietà dell’ascensore.
Il quarto motivo di ricorso (suddiviso in tre distinti profili nella sua esposizione) denuncia ancora la violazione e falsa applicazione dell’art. 1121 c.c., ancora in relazione agli artt. 2, 3, 24, 111 Cost., 1102, 1117, 1120 c.c., 61, 112, 113, 115, 116 e 132 c.p.c., nonché il vizio di motivazione, avendo la sentenza impugnata meramente preso atto della valutazione dell’ascensore determinata dal CTU, senza tener conto degli oneri di costruzione.
II.1. Deve essere disattesa le generica eccezione pregiudiziale dei ricorrenti, formulata nella memoria del 28 giugno 2017, circa la inammissibilità del controricorso per ‘violazione dei requisiti sostanziali richiamati dall’art. 370 c.p.c.’, in quanto, ai fini del rispetto delle prescrizioni dell’art. 366, comma 1, c.p.c., richiamato dall’art. 370, comma 2, c.p.c., non è indispensabile che l’atto contenga l’autonoma esposizione sommaria dei fatti della causa, potendo limitarsi a fare riferimento ai fatti esposti nella sentenza impugnata (come avvenuto nella specie), occorrendo, piuttosto, che esso contenga i motivi di diritto su cui si fonda, ovvero le deduzioni giuridiche contrarie al ricorso. Vanno poi esaminati congiuntamente il primo ed il secondo motivo di ricorso, in quanto connessi, rivelandosi gli stessi infondati.
Come da questa Corte più volte affermato, poiché la tutela giurisdizionale è tutela di diritti, il processo, salvo casi eccezionali predeterminati per legge, può essere utilizzato solo come fondamento del diritto fatto valere in giudizio e non di per sé, per gli effetti possibili e futuri. Pertanto, non sono proponibili azioni autonome di mero accertamento di fatti giuridicamente rilevanti ma che rappresentino elementi frazionistici della fattispecie costitutiva di un diritto, la quale può formare oggetto di accertamento giudiziario solo nella funzione genetica del diritto azionato e quindi nella sua interezza (Cass. Sez. U, 20/12/2006, n. 27187). L’interesse ad agire, che conferisce titolo per proporre in giudizio una domanda, a sensi dell’art. 100 c.p.c., inteso quale bisogno inevitabile di ricorrere al giudice per evitare una lesione attuale o parziale del proprio diritto, va quindi valutato sulla base della interpretazione e qualificazione dei rapporti e delle situazioni dedotte nel materiale assertivo fornito dalle parti in causa.
L’interpretazione delle richieste formulate in giudizio dall’attore, ai fini della verifica di sussistenza del relativo interesse ad agire, è demandata al giudice di merito, il cui giudizio si risolve in un accertamento di fatto, incensurabile in cassazione se, come nel caso in esame, congruamente ed adeguatamente motivato.
I ricorrenti ravvisano nei primi due motivi la carenza dell’interesse ad agire e poi l’ultrapetizione della sentenza, in quanto sostengono che fosse stata proposta dagli attori una domanda di mero accertamento del costo di installazione dell’ascensore, ed invece poi accolta dal giudice una domanda di partecipazione alla comproprietà dell’impianto mai proposta. La Corte d’Appello, come dapprima il Tribunale, hanno invece interpretato e qualificato la domanda di accertamento dei costi e delle rispettive quote di contribuzione all’impianto (e quindi così valutati sia l’interesse ad agire che il limite di corrispondenza tra chiesto e pronunciato), per come già inizialmente formulata in citazione, o comunque per come poi esplicitata nel corso di giudizio, quale domanda di accertamento giudiziario di quei fatti nella loro funzione genetica del diritto potestativo di partecipare alla comproprietà dell’ascensore, contribuendo ‘pro quota’ nelle spese di esecuzione. Pur dando effettivamente atto di una ridefinizione della loro pretesa effettuata dagli attori nel corso del giudizio, la Corte d’Appello ha correttamente ritenuto che la domanda così modificata risultasse comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e che non si fosse determinata alcuna compromissione delle potenzialità difensive delle controparti.
II.2. Possono poi trattarsi congiuntamente terzo e quarto motivo, giacché connessi, ed anch’essi risultano infondati.
Il terzo motivo, in particolare, introduce una circostanza di fatto, ovvero, che l’installazione dell’ascensore non fosse stata preceduta da alcuna previa deliberazione assembleare, circostanza della quale non vi è cenno nella sentenza impugnata, senza che i ricorrenti indichino specificamente, ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., in quale loro difesa del giudizio di merito avessero posto tale questione. Né la circostanza di fatto indicata può essere oggetto di accertamento per la prima volta nel giudizio di legittimità.
Le censure in esame sono comunque smentite dall’orientamento interpretativo di questa Corte, che ha più volte affermato come l’installazione ‘ex novo’ di un ascensore in un edificio in condominio (le cui spese, a differenza di quelle relative alla manutenzione e ricostruzione dell’ascensore già esistente, vanno ripartite non ai sensi dell’art. 1124 c.c., ma secondo l’art. 1123 c.c., ossia proporzionalmente al valore della proprietà di ciascun condomino: Cass. Sez. 2, 25/03/2004, n. 5975; Cass. Sez. 2, 17/02/2005, n. 3264) costituisce innovazione che può essere deliberata dall’assemblea condominiale con le maggioranze prescritte dall’art. 1136 c.c., oppure direttamente realizzata con il consenso di tutti i condomini, così divenendo l’impianto di proprietà comune. Trattandosi, tuttavia, di impianto suscettibile di utilizzazione separata, proprio quando l’innovazione, e cioè la modificazione materiale della cosa comune (nella specie, il vano scale) conseguente alla realizzazione dell’ascensore, non sia stata approvata in assemblea (lo stesso art. 1121 c.c., al comma 2, parla di maggioranza dei condomini che abbia ‘deliberata o accettata’ l’innovazione), essa può essere attuata anche a cura e spese di uno o di taluni condomini soltanto (con i limiti di cui all’art. 1102 c.c.), salvo il diritto degli altri di partecipare in qualunque tempo ai vantaggi dell’innovazione, contribuendo nelle spese di esecuzione e di manutenzione dell’opera (Cass. Sez. 2, 18/08/1993, n. 8746; Cass. Sez. 2, 18/11/1971, n. 3314; Cass. Sez. 2, 13/03/1963, n. 614). Dunque, l’ascensore, installato nell’edificio dopo la costruzione di quest’ultimo per iniziativa di parte dei condomini, non rientra nella proprietà comune di tutti i condomini, ma appartiene in proprietà a quelli di loro che l’abbiano impiantato a loro spese. Ciò dà luogo nel condominio ad una particolare comunione parziale dei proprietari dell’ascensore, analoga alla situazione avuta a mente dall’art. 1123, comma 3, c.c., comunione che è distinta dal condominio stesso, fino a quando tutti i condomini non abbiano deciso di parteciparvi. L’art. 1121, comma 3, c.c. fa, infatti, salva agli altri condomini la facoltà di partecipare successivamente all’innovazione, divenendo partecipi della comproprietà dell’opera, con l’obbligo di pagarne pro quota le spese impiegate per l’esecuzione, aggiornate al valore attuale. Nella specie la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dell’art. 1121 c.c., ritenendo che i condomini S.E. , G.A. , Sc.Ma. , M.N. , D.G.G. , Ma.Li. e Sc.Te. , acquistando ora la comproprietà dell’impianto di ascensore, dovessero pro quota quel che era il costo d’allora delle spese di esecuzione dell’opera ragguagliate al valore attuale della moneta, onde evitare arricchimenti in danno dei condomini che avevano assunto l’iniziativa. La Corte d’Appello ha peraltro evidenziato come i signori T. e V. non avessero affatto documentato le spese anticipate per realizzare l’ascensore, sostenendo che non dovesse operarsene un rimborso, quanto piuttosto determinarsi un prezzo dell’impianto da corrispondere in base all’autonomia privata.
Col quarto motivo di ricorso, i ricorrenti contestano l’inutilizzabilità della CTU, nonché l’incompletezza dei dati esaminati dalla stessa. È però certo che il giudizio sulla necessità ed utilità di far ricorso allo strumento della consulenza tecnica rientra nel potere discrezionale del giudice del merito, la cui decisione è, di regola, incensurabile in cassazione. Inoltre, se normalmente la consulenza tecnica non è mezzo di prova, ma mezzo di valutazione, sotto il profilo tecnico-scientifico, di dati già acquisiti, tuttavia, in alcuni casi come, ad esempio, proprio quando sia disposta per rilevare la consistenza e le caratteristiche tecniche di un’opera e per accertarne il valore – la consulenza costituisce essa stessa un mezzo di prova, senza, peraltro, esentare la parte interessata dall’onere di cui all’art. 2697 c.c. La Corte di Genova ha spiegato come la valutazione dell’ascensore raggiunta dal CTU fosse stata ancorata alle risultanze processuali disponibili, nei limiti in cui risultassero provate dagli interessati le spese sostenute, corrispondenti ai costi correnti di mercato; tale valutazione dei dati acquisiti con la consulenza tecnica di ufficio è stata condivisa dai giudici di merito, e non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità, in quanto espressa in modo logico e nel rispetto dell’art. 1121 c.c. Al riguardo, i ricorrenti si limitano a denunciare errori e lacune della consulenza, che si sostanziano in semplici difformità tra la valutazione del consulente circa l’importo delle spese di realizzazione dell’impianto di ascensore e il valore diverso allo stesso da loro attribuito.
III. Il ricorso va perciò rigettato e i ricorrenti vanno condannati a rimborsare ai controricorrenti S.E. , G.A. e Sc.Ma. le spese del giudizio di cassazione nell’ammontare liquidato in dispositivo, mentre non occorre provvedere in proposito per gli altri intimati M.N. , D.G.G. , Ma.Li. e Sc.Te. , che non hanno svolto attività difensive.
Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti a rimborsare ai controricorrenti S.E. , G.A. e Sc.Ma. le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 4.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
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