Suprema Corte di Cassazione
sezione II civile
sentenza 3 novembre 2016, n. 22302
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BUCCIANTE Ettore – Presidente
Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere
Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 15700/2012 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 880/2011 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 29/06/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/06/2016 dal Consigliere Dott. FELICE MANNA;
udito l’Avvocato (OMISSIS), con delega depositata in udienza dell’Avvocato (OMISSIS), difensore dei ricorrenti che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS) con delega orale dell’Avvocato (OMISSIS) difensore del resistente che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SGROI Carmelo, che ha concluso per l’accoglimento primi tre motivi assorbito il resto.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
(OMISSIS) agiva in giudizio innanzi al Tribunale di Palermo contro l’avv. (OMISSIS), in ripetizione di indebito. A base della domanda deduceva che suo marito, (OMISSIS), aveva incaricato l’avv. (OMISSIS) di difenderla in una causa di risarcimento del danno da incidente stradale, e che questi aveva riscosso da lui un onorario di Lire 161.487.000, di gran lunga superiore a quello di Lire 7.398.500, liquidato in sede giudiziale. Chiedeva, pertanto, che il convenuto fosse condannato a restituire la differenza percepita.
L’avv. (OMISSIS) resisteva in giudizio assumendo che il compenso era stato commisurato all’attivita’ svolta e era conforme all’accordo con il marito della (OMISSIS), del quale chiedeva ed otteneva la chiamata in causa insieme con quella di (OMISSIS), figlio di questi ultimi.
I due chiamati nel costituirsi in giudizio protestavano la loro estraneita’ alla causa. In particolare, (OMISSIS) confermava di aver incaricato l’avv. (OMISSIS) affinche’ promuovesse la domanda giudiziale di risarcimento dei danni subiti dalla moglie e di aver pagato a detto legale la somma di cui il coniuge aveva domandato la restituzione.
La domanda era respinta sia in primo che in secondo grado, con condanna anche dei terzi chiamati alle spese, in solido con l’attrice. In particolare la Corte d’appello di Palermo con sentenza n. 880/11 rilevava che legittimata, attivamente all’azione di ripetizione d’indebito era soltanto la parte cui fosse riferibile il pagamento non dovuto. Soggetto che, nel caso di somme corrisposte a titolo di corrispettivo d’un contratto d’opera professionale, era colui il quale aveva conferito l’incarico al professionista, e dunque, nella specie, (OMISSIS). Egli, infatti, nella propria comparsa di risposta aveva precisato di aver incaricato l’avv. (OMISSIS) della difesa della moglie, poiche’ quest’ultima all’epoca non era in grado d’intendere e di volere a causa delle gravi lesioni riportate nell’incidente. Infine, escludeva che il marito dell’attrice potesse considerarsi un mero adiectus solutionis causa nell’interesse di lei, sia che avesse assunto la veste di terzo adempiente dell’obbligazione altrui, sia che avesse assunto quella di cliente dell’avvocato.
Per la cassazione di quest’ultima pronuncia (OMISSIS) e (OMISSIS) e (OMISSIS) propongono ricorso, affidato a quattro motivi, successivamente corredati da memoria.
Resiste con controricorso l’avv. (OMISSIS).
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Il primo motivo di ricorso censura come omessa, insufficiente o contraddittoria la motivazione della sentenza impugnata, sostenendo che erroneamente la Corte territoriale abbia considerato la (OMISSIS) come soggetto terzo rispetto al rapporto di prestazione d’opera; il secondo deduce, del pari, il vizio motivazionale sul fatto che il pagamento eseguito dal marito dell’attrice non avrebbe avuto efficienza nei confronti di lei, ed aggiunge la censura di violazione dell’articolo 1388 c.c.; anche il terzo mezzo lamenta l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione sulla legittimazione dell’attrice, ma deduce, in particolare, che l’azione di ripetizione d’indebito compete non solo al solvens ma anche a colui al quale e’ stata sottratta la disponibilita’ dell’oggetto prestato; infine, il quarto motivo denuncia “la violazione e falsa applicazione dell’articolo 360, n. 3, per l’omessa motivazione in ordine alla mancata applicazione delle tariffe forensi”, nonche’ la “mancata restituzione delle somme pretese” e la “violazione e falsa applicazione del codice deontologico forense”, in quanto dagli atti di causa non risulta che (OMISSIS) abbia pattuito alcun compenso con l’avv. (OMISSIS).
2. – I primi tre motivi, da esaminare congiuntamente perche’ interdipendenti e in buona sostanza iterativi, sono fondati nei limiti e nei termini che seguono.
2.1. – Pacifica e ad ogni modo esatta e’ la qualificazione dell’azione esercitata come ripetizione d’indebito oggettivo (articolo 2033 c.c.). poiche’ in causa si discute d’un pagamento sovradimensionato rispetto alla causa debendi. Controversa, invece, la legittimazione attiva.
Quest’ultima nell’azione di ripetizione d’indebito compete certamente al solvens; ma se questi ha agito nell’interesse di un mandante, ne abbia speso o non il nome, il pagamento e’ da imputare al mandante stesso non solo nel rapporto interno di mandato, ma anche all’esterno verso l’accipiens. Tale imputazione, del tutto ovvia ai sensi dell’articolo 1388 c.c., nel caso di mandato con rappresentanza, ricorre anche nell’ipotesi di rappresentanza c.d. indiretta, atteso che ai sensi dell’articolo 1705 cpv. c.c., il mandante, sostituendosi al mandatario, puo’ esercitare i diritti di credito derivanti dall’esecuzione del mandato (salvo che cio’ possa pregiudicare i diritti attribuiti al mandatario, prosegue la norma).
2.1.1. – Orbene, le regole del mandato sono applicabili non soltanto in presenza del relativo contratto ovvero di altra fattispecie negoziale a questo riconducibile, ma anche in ogni altra ipotesi, incluse le obbligazioni ex lege, che si dispiegano nell’ambito della medesima cornice giuridica.
Tra queste, la negotiorum gestio, che pacificamente puo’ essere rappresentativa o non rappresentativa, secondo che il gestore agisca in nome del gerito o in nome proprio.
La riconduzione della gestione d’affari allo schema del mandato, oltre ad essere affermata dalla dottrina unanime sulla base delle origini dell’istituto (sorto appunto per consentire l’estensione della disciplina del mandato ai casi in cui mancava un incarico espresso da parte del dominus), riposa sui dati positivi dell’articolo 2030 c.c., comma 1, secondo cui il gestore e’ soggetto alle stesse obbligazioni che deriverebbero da un mandato; dell’articolo 2031 c.c., comma 1, il quale nel disporre che qualora la gestione sia iniziata utilmente, l’interessato deve adempiere le obbligazioni che il gestore ha assunto in nome di lui, e deve tenere indenne il gestore di quelle assunte in nome proprio, rimborsandogli le spese necessarie o utili, con gli interessi dal giorno in cui sono state fatte, espressioni, queste, che ricalcano quelle degli articoli 1719 e 1720 c.c.; e dell’articolo 2032 c.c., per cui la ratifica dell’interessato produce, relativamente alla gestione, gli effetti che sarebbero derivati da un mandato, anche se la gestione e’ stata compiuta da persona che credeva di gestire un affare proprio.
Ed ha trovato esplicita affermazione nella giurisprudenza di questa Corte, allorche’ e’ stata qualificata come gestione d’affari non rappresentativa la locazione della cosa comune da parte di uno dei comproprietari (v. Cass. S.U. n. 11135/12).
I presupposti della gestione d’affari sono, com’e’ noto, l’impedimento dell’interessato, la consapevolezza del gestore di curare un interesse altrui in assenza di un obbligo giuridico a provvedervi, la mancanza di una prohibitio domini e l’utilita’ iniziale della gestione.
In particolare, l’impedimento non va limitato all’ipotesi tradizionale della vera e propria absentia domini (ormai irrealistica nei suoi termini primigeni, dato lo sviluppo delle comunicazioni), ne’ richiede necessariamente un’impossibilita’ oggettiva o soggettiva di curare i propri interessi, ma deve essere inteso in coerenza con la lettera della legge, ossia quale situazione di chi non e’ in grado di provvedere all’affare (articolo 2028 c.c., comma 1). Essa comprende, dunque, ogni ipotesi d’impedimento oggettivo o soggettivo, contingibile o permanente, in cui versi il soggetto gerito, inclusa l’incapacita’ naturale, che anzi ne costituisce un’ipotesi paradigmatica. Non solo, ma la giurisprudenza di questa Corte e’ pervenuta ad ampliare il requisito in parola, fino ad intenderlo quale semplice mancanza di un rapporto giuridico in forza del quale il gestore sia tenuto ad intervenire nella sfera giuridica altrui, ovvero quale forma di spontaneo intervento senza opposizione o divieto del dominus (Cass. nn. 12280/07 e 12304/11; in senso conforme, per il caso d’ingerenza espressamente o tacitamente non rifiutata, v. Cass. n. 9269/08).
2.1.2. – Nello specifico, la sentenza impugnata ha accertato che (OMISSIS) conferi’ all’avv. (OMISSIS) l’incarico professionale di tutelare i diritti della moglie perche’ quest’ultima, a causa delle lesioni riportate nel sinistro stradale. versava in condizioni d’incapacita’ d’intendere e di volere (v. pag. 5). Si tratta, dunque, di una fattispecie che – cosi’ come accertata dalla Corte di merito – deve qualificarsi senz’altro come gestione d’affari non rappresentativa (essendo irrilevante la spendita del nome ove l’agire per altri non operi su base volontaria: sull’incompatibilita’ tra articolo 1388 c.c. e rappresentanza non volontaria, cfr. Cass. n. 4261/74). L’errore in cui e’ incorsa la Corte territoriale risiede, allora, nel non aver qualificato tale presupposto di fatto, avendone apprezzato la sola ricaduta ai fini dell’individuazione delle parti del contratto d’opera professionale. E a causa di cio’ i giudici d’appello non hanno considerato che la ripetizione d’indebito compete non solo al solvens ma anche al soggetto per conto del quale questi abbia pagato.
3. – L’accoglimento dei suddetti motivi assorbe l’esame del quarto mezzo d’annullamento, peraltro avente ad oggetto una questione (il quantum del corrispettivo dovuto) che nella sentenza d’appello e’ rimasta assorbita dal ritenuto difetto di legittimazione attiva della (OMISSIS).
4. – La sentenza impugnata va dunque cassata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Palermo, che nel rinnovare il proprio esame di merito si atterra’ ai seguenti principi di diritto, che si formulano ex articolo 384 c.p.c., comma 1: “il compimento di un’attivita’ negoziale in favore d’un soggetto che versi in situazione di (ancorche’ transitoria) incapacita’ naturale, va qualificato, ricorrendo l’ulteriore requisito dell’utilita’ iniziale della gestione (utiliter coeptum), come gestione di affari (negotiorum gestio); la quale, a sua volta, e’ rappresentativa o non rappresentativa, secondo che il gestore agisca in nome del gerito o in nome proprio. In quest’ultimo caso, atteso che la gestione d’affari costituisce un’ipotesi particolare di mandato, legittimato attivamente a ripetere nei confronti dell’accipiens il pagamento indebito eseguito nomine proprio dal gestore e’ anche il soggetto gerito, in base all’articolo 1705 cpv. c.c., che consente al mandante, sostituendosi al mandatario, di esercitare i diritti di credito derivanti dall’esecuzione del mandato”.
4.1. – Al giudice di rinvio e’ rimessa, ai sensi dell’articolo 385 c.p.c., comma 3, anche la statuizione sulle spese del presente giudizio di cassazione, nell’ambito del complessivo regolamento delle spese dell’intero giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi tre motivi, assorbito il quarto, cassa la sentenza impugnata con rinvio anche per le spese del giudizio di cassazione ad altra sezione della Corte d’appello di Palermo
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