Corte di Cassazione, sezione II civile, sentenza 26 luglio 2017, n. 18567

Il proprietario del veicolo, in quanto responsabile della circolazione dello stesso nei confronti delle pubbliche amministrazioni non meno che dei terzi, è tenuto sempre a conoscere l’identità dei soggetti ai quali ne affida la conduzione, onde dell’eventuale incapacità d’identificare detti soggetti necessariamente risponde, nei confronti delle une per le sanzioni e degli altri per i danni, a titolo di colpa per negligente osservanza del dovere di vigilare sull’affidamento in guisa da essere in grado di adempiere al dovere di comunicare l’identità del conducente

Suprema Corte di Cassazione

sezione II civile

sentenza 26 luglio 2017, n. 18567

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22716/2015 R.G. proposto da:

Avvocato (OMISSIS), – c.f. (OMISSIS) – da se medesima rappresentata e difesa ed elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio degli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS).

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, – c.f. (OMISSIS) – in persona del Ministro pro tempore, PREFETTO di PALERMO – c.f. (OMISSIS) – in persona del Prefetto pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, elettivamente domiciliano;

– controricorrenti –

Avverso la sentenza n. 1269/2015 del tribunale di Palermo;

Udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 27 febbraio 2017 dal consigliere dott. Luigi Abete;

Udito l’avvocato (OMISSIS), per delega della ricorrente, avvocato (OMISSIS),

Udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

In data 3.9.2011 la Polizia Stradale di Lercara notificava verbale n. (OMISSIS) del 6.6.2011 ad (OMISSIS) con il quale le si intimava la comunicazione entro sessanta giorni dalla ricezione dei dati personali e relativi alla patente di guida del conducente dell’autoveicolo targato (OMISSIS) risultato di proprieta’ della stessa (OMISSIS) ed incorso nella violazione di cui all’articolo 148 C.d.S..

In data 26.1.2012 la Polizia Stradale di Palermo notificava verbale n. (OMISSIS) del 14.12.2011 ad (OMISSIS) con il quale, in dipendenza del vano decorso del termine di sessanta giorni di cui al verbale n. (OMISSIS) del 6.6.2011, le si contestava la violazione di cui all’articolo 126 bis C.d.S..

Avverso il verbale n. (OMISSIS) (OMISSIS) proponeva opposizione al giudice di pace di Palermo.

Resisteva il Prefetto di Palermo.

Con sentenza del 10.5.2012 il giudice adito rigettava l’opposizione.

Proponeva appello (OMISSIS).

Resistevano il Ministro dell’Interno ed il Prefetto di Palermo.

Con sentenza n. 1269/2015 il tribunale di Palermo rigettava l’appello e condannava l’appellante alle spese del grado.

Esplicitava il tribunale, in ordine al primo motivo d’appello, che la contestazione era stata notificata il 26.1.2012 e dunque nel rispetto del termine di novanta giorni, di cui all’articolo 201 C.d.S., a decorrere dal 3.11.2011, all’esito della scadenza del termine di sessanta giorni per la comunicazione sollecitata con il verbale n. (OMISSIS) notificato il 3.9.2011.

Esplicitava altresi’ con riferimento al verbale n. (OMISSIS) del 14.12.2011 che la motivazione era senz’altro adeguata, giacche’ il relativo obbligo era stato assolto per relationem, con rimando agli atti del procedimento.

Esplicitava inoltre, in ordine al motivo di gravame con cui la (OMISSIS) aveva dedotto di aver comunicato di non essere in condizioni di indicare chi fosse il conducente dell’autoveicolo al momento dell’infrazione di cui all’articolo 148 C.d.S., “in quanto l’auto veniva condotta abitualmente ed indistintamente da lei stessa e dal marito” (cosi’ sentenza d’appello, pag. 3), che siffatta comunicazione non era idonea ad esimere da responsabilita’ l’appellante, proprietaria dell’autoveicolo targato (OMISSIS).

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso (OMISSIS); ne ha chiesto sulla scorta di tre motivi la cassazione con ogni conseguente statuizione in ordine alle spese.

Il Ministero dell’Interno ed il Prefetto di Palermo hanno depositato controricorso; hanno chiesto rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’articolo 201 C.d.S., per errata individuazione del momento consumativo dell’illecito.

Deduce che, contrariamente all’assunto del tribunale, il momento di consumazione dell’illecito omissivo coincide con la scadenza del termine entro il quale la condotta sollecitata deve essere eseguita unicamente nell’ipotesi in cui la condotta e’ del tutto mancata; che viceversa il momento di consumazione coincide con il momento in cui la comunicazione e’ comunque giunta a conoscenza della pubblica amministrazione in ipotesi di comunicazione reticente, incompleta o errata; che quindi il giudice d’appello avrebbe dovuto identificare il momento di consumazione della violazione di cui all’articolo 126 bis C.d.S., con il 30.9.2011, ossia con la data in cui la Polstrada ha ricevuto la raccomandata a.r. con cui si rappresentava che l’autoveicolo targato (OMISSIS) era condotto abitualmente da ella ricorrente e dal coniuge; che conseguentemente i novanta giorni di cui all’articolo 201 c.d.s. per elevare la sanzione spiravano il 29.12.2011, sicche’ il verbale, siccome spedito il 18.1.2012, e’ stato inoltrato per la notifica allorche’ la decadenza si era gia’ compiuta.

Il motivo e’ destituito di fondamento.

Ed difatti, contrariamente all’assunto della ricorrente, “la comunicazione reticente o incompleta o errata” (cosi’ ricorso, pag. 3) non vale a determinare la “consumazione” del termine di sessanta giorni – dalla data di notifica del verbale di contestazione – entro il quale il proprietario del veicolo e’ tenuto a fornire all’organo di polizia che procede, i dati personali e della patente del conducente al momento della commessa violazione.

Siffatta opzione esegetica si impone, si badi, nell’interesse dello stesso proprietario del veicolo, che ben puo’, pur a seguito di una “comunicazione reticente o incompleta o errata”, fruire del lasso temporale residuo, onde attendere, nel rispetto comunque del termine di sessanta giorni, ad una nuova comunicazione se del caso idonea a sottrarlo alla irrogazione della sanzione pecuniaria di cui al penultimo periodo dell’articolo 126 bis C.d.S., comma 2.

In tal guisa ben avrebbe potuto la ricorrente, a seguito dell’inoltro della raccomandata a.r. n. (OMISSIS) del 23.9.2011, provvedere all’invio di un’ulteriore comunicazione entro il termine di sessanta giorni a far data dal 3.9.2011.

Il giudice d’appello dunque ha correttamente identificato il dies a quo del termine di novanta giorni di cui all’articolo 201 C.d.S..

Con il secondo motivo – subordinato al rigetto del primo – la ricorrente denuncia ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’articolo 126 bis C.d.S., comma 2, sesto periodo.

Deduce che ha errato il tribunale a ritenere non assolto di dovere di leale collaborazione; che invero in una famiglia normale non puo’ pretendersi il censimento continuo dell’uso dell’autoveicolo.

Il motivo e’ del pari destituito di fondamento.

Si rappresenta previamente che il motivo si qualifica in relazione alla previsione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (si condivide quindi la prospettazione dei controricorrenti secondo cui “siffatto convincimento (…) accede ad accertamento in punto di fatto incensurabile in cassazione”: cosi’ controricorso, pag. 4).

Occorre tener conto, da un lato, che (OMISSIS) con il motivo de quo censura sostanzialmente il giudizio di fatto cui il tribunale palermitano ha atteso (i dati comunicati “forniscono una giustificazione (prevista dalla norma in rubrica) alla impossibilita’ di individuare tra i due indicati potenziali conducenti e nello specifico occorso chi fosse l’effettivo conducente”: cosi’ ricorso, pag. 5).

Occorre tener conto, dall’altro, che e’ propriamente il motivo di ricorso ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che concerne l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia (cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28054; cfr. Cass. 11.8.2004, n. 15499).

In questi termini si rappresenta altresi’ che l’asserito vizio motivazionale de quo agitur rileva nei limiti della novella formulazione dell’articolo 360 c.p.c., applicabile ratione temporis al caso di specie (la sentenza impugnata e’ stata assunta in data 15.2.2015).

Conseguentemente riveste valenza l’insegnamento n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte.

Su tale scorta si rappresenta ulteriormente quanto segue.

Da un canto, che e’ da escludere recisamente che taluna delle figure di “anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato alla stregua dell’indicazione nomofilattica a sezioni unite teste’ menzionata, possa scorgersi in relazione alle motivazioni cui il tribunale siciliano ha ancorato il suo dictum.

In particolare, con riferimento al paradigma della motivazione “apparente” – che ricorre allorquando il giudice di merito non procede ad una approfondita disamina logico – giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16672) – il giudice di secondo grado ha compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il proprio iter argomentativo (“le allegazioni svolte non paiono idonee ad esimere da responsabilita’ il proprietario del mezzo: si tratta infatti di veicolo condotto da due soli familiari, pertanto la verifica del soggetto conducente ben avrebbe potuto essere svolta con esito positivo”: cosi’ sentenza d’appello, pag. 3; “ne’ risulta allegata una particolare giustificazione che abbia reso in concreto impossibile stabilire quale dei due soggetti fosse alla guida del mezzo”: cosi’ sentenza d’appello, pag. 3).

Dall’altro, che il tribunale (nel segno della regola per cui la L. n. 689 del 1981, articolo 3, da’ corpo ad una presunzione di colpa, sicche’ grava sull’agente l’onere della dimostrazione di aver agito senza colpa) ha sicuramente disaminato il fatto decisivo caratterizzante la res litigiosa ovvero le concrete circostanze asseritamente idonee a dar ragione dell’esimente della buona fede (“il mero utilizzo indistinto del veicolo, non puo’ infatti costituire impedimento idoneo a rendere l’obbligo di cooperazione inesigibile”: cosi’ sentenza d’appello, pag. 3. Si tenga conto, ad ulteriore conforto dell’operata qualificazione del motivo in esame, che questa Corte spiega che l’accertamento dell’esimente della buona fede rientra nei poteri del giudice di merito, la cui valutazione e’ sindacabile in sede di legittimita’ soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione: cfr. Cass. 29.9.2009, n. 20866).

In ogni caso l’iter motivazionale che sorregge il dictum del secondo giudice risulta in toto ineccepibile sul piano della correttezza giuridica ed assolutamente congruo e esaustivo sul piano logico – formale.

E cio’ viepiu’ se si tiene conto che questa Corte spiega che, in tema di violazioni alle norme del codice della strada, con riferimento alla sanzione pecuniaria inflitta per l’illecito amministrativo previsto dal combinato disposto dell’articolo 126 bis C.d.S., comma 2, penultimo periodo, e articolo 180 C.d.S., comma 8, il proprietario del veicolo, in quanto responsabile della circolazione dello stesso nei confronti delle pubbliche amministrazioni non meno che dei terzi, e’ tenuto sempre a conoscere l’identita’ dei soggetti ai quali ne affida la conduzione, onde dell’eventuale incapacita’ d’identificare detti soggetti necessariamente risponde, nei confronti delle une per le sanzioni e degli altri per i danni, a titolo di colpa per negligente osservanza del dovere di vigilare sull’affidamento in guisa da essere in grado di adempiere al dovere di comunicare l’identita’ del conducente (cfr. Cass. 12.6.2007, n. 13748).

Con il terzo motivo – subordinato al rigetto del primo e del secondo – la ricorrente denuncia ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli articoli 91 e 92 c.p.c., e Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, articoli 4 e 5, nonche’ delle tabelle dei parametri forensi sub 2.

Deduce che il valore del giudizio e’ di Euro 280,69; che di conseguenza il tribunale ha liquidato a titolo di rimborso spese importi – Euro 1.200,00, oltre accessori – di gran lunga superiori ai “massimi”.

Il motivo e’ fondato e va accolto.

Si premette che in materia di infrazioni al codice della strada, nel giudizio di opposizione a sanzione amministrativa il cumulo della sanzione pecuniaria, di valore determinato, e della sanzione accessoria della decurtazione dei punti dalla patente di guida, non rende la causa di valore indeterminabile ai fini dell’individuazione del giudice competente, ne’ rileva ai fini della liquidazione delle spese processuali, che restano parametrate sull’importo della sola sanzione pecuniaria (cfr. Cass. 16.6.2014, n. 13598).

Si premette altresi’ che alla fattispecie e’ applicabile alla ratione temporis il Decreto Ministeriale 10 marzo 2014, n. 55.

Si premette inoltre che, in dipendenza dell’ammontare – Euro 280,69 – della sanzione irrogata, lo scaglione di riferimento e’ quello da Euro 0,01 ad Euro 1.100,00.

In questi termini il valore liquidato dal giudice a quo – Euro 1.200,00, oltre accessori – si svela senza dubbio superiore ai “massimi”.

Invero, considerate le fasi tutte, di studio, introduttiva, istruttoria e/o di trattazione e decisionale, i “massimi” si specificano in Euro 630,00.

Ne discende percio’ che la sentenza impugnata in parte qua non si conforma ai parametri di cui al Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, e va – in parte qua – conseguentemente cassata.

Al riguardo tuttavia non si prospetta la necessita’ di ulteriori accertamenti di fatto, sicche’ nulla osta, ai sensi dell’articolo 384, 2 co., ultima parte, cod. proc. civ., a che la causa sia decisa nel merito, cioe’ con la condanna di (OMISSIS) a pagare agli appellati, Ministero dell’Interno e Prefettura di Palermo, controricorrenti in questa sede, le spese del giudizio di appello nella (minor) misura di cui in dispositivo.

Il ricorso a questa Corte seppur in parte e’ risultato fondato. Siffatta circostanza giustifica di per se’ l’integrale compensazione delle spese del presente giudizio di legittimita’.

Il ricorso e’ da accogliere parzialmente.

Non sussistono pertanto i presupposti perche’, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, (comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17), la ricorrente sia tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione a norma dell’articolo 13, comma 1 bis, del medesimo D.P.R..

P.Q.M.

La Corte cosi’ provvede:

rigetta il primo ed il secondo motivo di ricorso;

accoglie il terzo motivo ricorso, cassa in relazione e nei limiti del motivo accolto la sentenza del tribunale di Palermo n. 1269/2015 e, decidendo nel merito, condanna di (OMISSIS) a pagare agli appellati, Ministero dell’Interno e Prefettura di Palermo, controricorrenti in questa sede, le spese del giudizio di appello, spese che si liquidano nel complesso in Euro 540,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e cassa come per legge;

compensa integralmente le spese del presente giudizio di legittimita’;

non sussistono i presupposti perche’, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, la ricorrente sia tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione a norma dell’articolo 13, comma 1 bis, del medesimo D.P.R..

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