L’azione di natura “reale”, esperita per l’accertamento dell’illegittimita’ delle immissioni e per la realizzazione delle modifiche strutturali necessarie al fine di far cessare le stesse nei confronti del proprietario del fondo da cui tali immissioni provengono e’ distinta e puo’ essere cumulata con la domanda verso altro convenuto, per responsabilita’ aquiliana ex articolo 2043 c.c., volta ad ottenere il risarcimento del pregiudizio di natura personale da quelle cagionato. Quest’ultima domanda risarcitoria va proposta secondo i principi della responsabilita’ aquiliana e cioe’ nei confronti del soggetto individuato dal criterio di imputazione della responsabilita’; quindi nei confronti dell’autore del fatto illecito (materiale o morale), allorche’ il criterio di imputazione e’ la colpa o il dolo (articolo 2043) e nei confronti del custode della cosa allorche’ il criterio di imputazione e’ il rapporto di custodia ex articolo 2051 c.c..
Allorche’ le immissioni intollerabili originino da un immobile condotto in locazione, dunque, la responsabilita’ ex articolo 2043 c.c., per i danni da esse derivanti puo’ essere affermata nei confronti del proprietario, locatore dell’immobile, solo se il medesimo abbia concorso alla realizzazione del fatto dannoso, e non gia’ per avere omesso di rivolgere al conduttore una formale diffida ad adottare gli interventi necessari ad impedire pregiudizi a carico di terzi
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Suprema Corte di Cassazione
sezione II civile
ordinanza 4 luglio 2017, n. 16407
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente
Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere
Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere
Dott. SABATO Raffaele – Consigliere
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 20793/2013 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrenti –
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente e ricorrente incidentale –
e contro
(OMISSIS) SRL;
– intimata –
avverso la sentenza n. 2269/2013 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 31/05/2013.
FATTO
Con atto di citazione notificato nel settembre 2006 (OMISSIS) ed (OMISSIS) convennero innanzi al Tribunale di Sondrio la societa’ (OMISSIS) s.r.l. ed (OMISSIS) per sentir accertare che le immissioni sonore nell’abitazione degli attori, sito in (OMISSIS), e provenienti dall’esercizio pubblico “La Birreria”, sito in via (OMISSIS), eccedevano i limiti della normale tollerabilita’ e per sentir condannare la (OMISSIS) s.r.l., in qualita’ di gestore dell’esercizio pubblico, ed (OMISSIS), quale proprietario dei locali, in via solidale, ad eseguire le opere necessarie a mettere a norma il locale ed evitare la produzione di immissioni sonore oltre i limiti consentiti, nonche’ al risarcimento del danno biologico e morale subito dagli attori a causa delle immissioni suddette, nel periodo tra dicembre 2005 e luglio 2006.
Il Tribunale di Sondrio accolse la domanda attorea e condanno’ i convenuti, in solido, a corrispondere a ciascuno degli attori la somma di Euro 10.000,00 a titolo di risarcimento del danno biologico e di Euro 5.000,00 a titolo di risarcimento del danno morale.
La Corte d’Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza di primo grado, dichiaro’ cessata la materia del contendere su tutte le domande diverse da quelle di risarcimento dei danni, atteso che il pub – birreria era stato chiuso nel luglio 2006, circa due mesi prima della notifica dell’atto di citazione innanzi al Tribunale di Sondrio. La Corte, inoltre, rigetto’ le domande di risarcimento del danno proposte contro (OMISSIS), assumendo che la produzione delle immissioni sonore intollerabili non era addebitabile alla condotta del proprietario dei locali.
Ed infatti, sulla base della relazione predisposta dall’ARPA, la fonte di inquinamento acustico andava essenzialmente individuata nel vociare degli avventori che si trattenevano all’esterno dell’esercizio commerciale, unitamente alla musica diffusa ad alto volume all’interno del locale ed alle voci dei clienti ivi presenti e, dunque, la produzione delle immissioni acustiche intollerabili era riconducibile esclusivamente alla condotta del gestore dell’esercizio, per aver riprodotto brani musicali oltre limiti consentiti e per non aver dissuaso i clienti dal trattenersi all’esterno del locale vociando. A cio’ e’ da aggiungersi che il (OMISSIS) aveva inserito nel contratto di locazione il divieto per il conduttore di esercitare attivita’ rumorose che potessero arrecare disturbo ai condomini”. Ancora, lo stesso era stato informato della situazione solo poco prima della chiusura del locale e, comunque, recependo le lamentele, aveva invitato i gestori del pub a un comportamento rispettoso della quiete del vicinato. In relazione alla domanda di risarcimento del danno proposta contro la (OMISSIS) s.r.l., la Corte territoriale riduceva, in via equitativa, a Euro 6.000,00 per ciascun coniuge il risarcimento del danno non patrimoniale, tenuto conto che le certificazioni mediche risultavano non idonee a provare il danno alla salute derivante dall’esposizione alle immissioni intollerabili e che il periodo di tale esposizione risultava di breve durata. La Corte, dunque, riteneva opportuno ridurre la liquidazione del danno non patrimoniale, ritenuto sussistente in re Osa, per renderla compatibile con la modesta entita’ del fatto.
Per la cassazione di detta sentenza propongono ricorso, con cinque motivi, (OMISSIS) ed (OMISSIS), illustrati da memoria ex articolo 378 c.p.c..
(OMISSIS) resiste con controricorso e propone ricorso incidentale, anch’esso illustrato da memoria ex articolo 378 codice di rito.
La societa’ (OMISSIS) s.r.l. non ha svolto nel presente giudizio attivita’ difensiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione dell’articolo 100 c.p.c., e dell’articolo 844 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, nonche’ l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, deducendo che la Corte ha erroneamente dichiarato cessata la materia del contendere sebbene il locale, chiuso nel luglio del 2006, era stato riaperto nel settembre 2007 con le stesse immissioni intollerabili.
Secondo la prospettazione dei ricorrenti, inoltre, la chiusura del locale non sarebbe idonea a determinare la cessazione della materia del contendere, sussistendo l’interesse degli attori ad ottenere un provvedimento volto ad impedire la produzione in futuro di immissioni sonore oltre i limiti consentiti.
Il motivo non ha pregio, seppure deve correggersi sul punto la sentenza impugnata.
La Corte d’appello, infatti, in relazione alla domanda di inibitoria e di adozione delle necessarie misure per rendere tollerabili le immissioni sonore proposta nei confronti del (OMISSIS), quale proprietario dei locali, pur facendo impropriamente riferimento alla cessazione della materia del contendere, che ha natura meramente processuale ed e’ riconducibile all’estinzione del giudizio (Cass. 6617/2012) in conseguenza del sopravvenuto mutamento della situazione sostanziale ivi dedotta (Cass. 11813/2016), ha in effetti esaminato la domanda nel merito, ritenendola infondata.
E cio’ non soltanto sul rilievo che le immissioni erano cessate prima della proposizione della domanda stessa, in conseguenza della cessazione dell’attivita’ commerciale, ma pure sulla base della valutazione della natura delle immissioni e dell’individuazione della fonte di inquinamento acustico, giungendo alla conclusione che la rumorosita’ non fosse imputabile a carenze strutturali dell’immobile di proprieta’ del (OMISSIS), ma a comportamenti riconducibili ai gestori dell’attivita’ commerciale ivi svolta.
Con il secondo, articolato, motivo i ricorrenti denunciano la nullita’ della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’articolo 132 c.p.c., e la violazione degli articoli 844 e 2043 c.c., in relazione rispettivamente all’articolo 360 c.p.c., nn. 4) e 3), nonche’ l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, deducendo che la Corte territoriale ha erroneamente escluso la responsabilita’ aquiliana del proprietario dell’immobile ed ha omesso di rilevare l’inidoneita’ del locale in questione, nonostante la necessita’ di lavori strutturali risultasse dalla relazione dell’ARPA, dall’ordinanza del Comune di Caspoggio e dalla stessa ammissione di (OMISSIS), proprietario del locale. Ne consegue che la Corte d’Appello ha del tutto omesso di fornire una motivazione sul fatto decisivo, costituito dalla inidoneita’ dei locali in cui veniva gestito il pub e dal mancato adeguamento degli stessi.
Le censure sono infondate.
Va anzitutto esclusa la nullita’ della sentenza per omessa motivazione, o c.d. “motivazione apparente” posto che la Corte territoriale ha chiaramente indicato l’iter logico seguito e la ratio decidendi in forza della quale ha escluso la necessita’ di lavori strutturali del locale del (OMISSIS), in relazione alle immissioni sonore lamentate dagli odierni ricorrenti. (Cass. Civ. Sez. L sent del 08/01/2009 n. 161).
Del pari, non e’ ravvisabile l’omesso esame di un fatto decisivo che, nei termini in cui e’ formulato, si risolve nella sollecitazione a un nuovo esame delle risultanze probatorie, non ammissibile in sede di legittimita’, posto che il fatto storico, rilevante in causa, e’ stato comunque preso in considerazione dal giudice di merito, ancorche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Civ. SS.UU. sent del 07/04/2014 n. 8053).
L’omesso esame di un fatto decisivo, non puo’ invero consistere nella difformita’ dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice di merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice di individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove e scegliere, tra le risultanze istruttorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione e dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge, in cui un valore legale e’ assegnato alla prova.
Orbene, nel caso di specie il giudice dell’appello, previo esame e valutazione delle risultanze istruttorie, e segnatamente la relazione dell’ARPA di Sondrio, ha ritenuto, con valutazione di merito, che, in quanto adeguatamente motivata non e’ censurabile in sede di legittimita’, che la fonte dell’inquinamento dovesse individuarsi nella musica diffusa a volume eccessivo nonche’ nel vociare degli avventori presenti nel locale e di quelli che si trattenevano all’esterno e fosse dunque unicamente riconducibile alla condotta dei gestori dell’esercizio commerciale.
Di qui la conclusione che la causa delle immissioni sonore non dovesse individuarsi nella inidoneita’ dei locali ma in un utilizzo dei medesimi non corretto da parte della conduttrice, dandosi rilievo, in particolare, alla clausola del contratto di locazione che prevedeva il divieto di esercitare nei locali in questione attivita’ rumorose e di utilizzare strumenti musicali, con conseguente esclusione della responsabilita’ del proprietario dei locali.
Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione degli articoli 844, 2043, 2051 e 2059 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, nonche’ l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, deducendo, sotto altro profilo, che la Corte ha erroneamente escluso la responsabilita’ del proprietario dei locali per la produzione delle immissioni sonore intollerabili, atteso che (OMISSIS) aveva ricevuto le lamentele del vicinato prima di ricevere la formale diffida nel giugno 2006 e, cio’ nonostante, aveva omesso di intervenire per impedire le immissioni con tutti i mezzi a sua disposizione. Da qui la grava colpa omissiva a suo carico.
Pure tale censura e’ infondata.
In relazione alla responsabilita’ di (OMISSIS), proprietario dell’immobile, occorre premettere che, secondo l’indirizzo interpretativo di questa Corte, l’azione di natura “reale”, esperita per l’accertamento dell’illegittimita’ delle immissioni e per la realizzazione delle modifiche strutturali necessarie al fine di far cessare le stesse nei confronti del proprietario del fondo da cui tali immissioni provengono e’ distinta e puo’ essere cumulata con la domanda verso altro convenuto, per responsabilita’ aquiliana ex articolo 2043 c.c., volta ad ottenere il risarcimento del pregiudizio di natura personale da quelle cagionato (Cass., Sez. Un., 27 febbraio 2013, n. 4848). Quest’ultima domanda risarcitoria va proposta secondo i principi della responsabilita’ aquiliana e cioe’ nei confronti del soggetto individuato dal criterio di imputazione della responsabilita’; quindi nei confronti dell’autore del fatto illecito (materiale o morale), allorche’ il criterio di imputazione e’ la colpa o il dolo (articolo 2043) e nei confronti del custode della cosa allorche’ il criterio di imputazione e’ il rapporto di custodia ex articolo 2051 c.c..
Allorche’ le immissioni intollerabili originino da un immobile condotto in locazione, dunque, la responsabilita’ ex articolo 2043 c.c., per i danni da esse derivanti puo’ essere affermata nei confronti del proprietario, locatore dell’immobile, solo se il medesimo abbia concorso alla realizzazione del fatto dannoso, e non gia’ per avere omesso di rivolgere al conduttore una formale diffida ad adottare gli interventi necessari ad impedire pregiudizi a carico di terzi (Cass. Civ. Sez. 3 sent del 28/05/2015 n. 11125).
Nella fattispecie in esame, pertanto, la domanda risarcitoria poteva essere proposta nei confronti del proprietario solo se egli avesse concorso alla realizzazione del fatto dannoso, quale autore o coautore dello stesso, mentre il solo fatto di essere proprietario, ancorche’ consapevole, ma senza alcun apporto causale al fatto dannoso, non e’ idoneo a realizzare una sua responsabilita’ aquiliana. Apporto causale all’evento dannoso che la Corte territoriale ha escluso in base alla valutazione, logicamente argomentata, delle circostanze di fatto e delle risultanze probatorie, in considerazione, non soltanto della gia’ evidenziata insussistenza di carenze strutturali dell’immobile e del divieto di immissioni sonore, specificamente previsto nel contratto di locazione, ma anche del comportamento tenuto dal proprietario dei locali, il quale risultava essersi in concreto adoperato presso il conduttore, sia verbalmente, che mediante diffida scritta, per la cessazione delle immissioni.
Con il quarto motivo, i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione degli articoli 2043 e 2059 c.c., e dell’articolo 185 c.p., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, deducendo che la Corte territoriale ha erroneamente ridotto la liquidazione del risarcimento del danno non patrimoniale a favore dei coniugi (OMISSIS) – (OMISSIS) atteso che non ha tenuto conto che le immissioni intollerabili si verificavano per tre – quattro volte alla settimana e negli orari notturni, circostanze confermate dai testi escussi, della relazione dell’ARPA del 19.05.2006, della querela per imbrattamento e disturbo del riposo delle persone sporta da (OMISSIS) il 17.01.2006, elementi che avrebbero comportato la liquidazione di un danno non patrimoniale piu’ elevato rispetto a quanto stabilito dalla Corte.
Il motivo e’ inammissibile per diversi profili.
Come gia’ precisato, l’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per se’, il vizio di cui all’articolo 360, n. 5) codice di rito, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Civ. SS.UU. sent del 07/04/2014 n. 8053).
Nel caso in esame, la censura formulata dai ricorrenti avverso la sentenza della Corte d’Appello non ha ad oggetto l’omesso esame di un fatto ma l’omesso esame di talune risultanze probatorie e si risolve, quindi, nella sollecitazione ad un nuovo esame delle stesse, non ammissibile in sede di legittimita’, atteso che la Corte territoriale ha tenuto conto di tutte le circostanze di fatto ritenute rilevanti ai fini della decisione della causa, come risulta dalla motivazione della sentenza impugnata, ed ha ritenuto di ridurre il risarcimento del danno non patrimoniale sulla base della valutazione, congruamente e logicamente motivata, delle certificazioni mediche prodotte dagli odierni ricorrenti, le quali, ad avviso della Corte, non risultano idonee a provare il danno alla salute lamentato a causa dell’esposizione a fonti rumorose intollerabili.
Con il quinto motivo i ricorrenti affermano l’applicabilita’ dell’articolo 384 c.p.c., comma 2, al caso in esame con conseguente decidibilita’ della causa nel merito, senza necessita’ di rinvio.
Il motivo e’ inammissibile in quanto non si sostanzia in una censura alla sentenza impugnata ma, piuttosto, nella mera sollecitazione alla decisione nel merito della causa senza rinvio al giudice di merito.
La reiezione del quarto motivo del ricorso principale, avente ad oggetto la liquidazione del danno, assorbe l’esame del ricorso incidentale condizionato.
Con il secondo motivo di ricorso incidentale, il (OMISSIS) denunzia la violazione degli articoli 91 e 92 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3), nonche’ l’insufficiente motivazione ex articolo 360 c.p.c., n. 5), in relazione alla statuizione di integrale compensazione delle spese di lite nei confronti degli odierni ricorrenti.
Il motivo non ha pregio.
Va anzitutto affermata l’inammissibilita’ della censura di carenza motivazionale atteso che l’insufficiente motivazione non e’ piu’ censurabile alla luce del nuovo disposto dell’articolo 360 codice di rito, comma 1, n. 5), (Cass. Ss.Uu. n.8053/2014)applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, atteso che la sentenza impugnata e’ stata pubblicata il 31 maggio 2013.
Cio’ posto, deve farsi qui applicazione del principio secondo cui in tema di spese processuali, avuto riguardo al regime anteriore alle modifiche dell’articolo 92, stabilite dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, articolo 2, comma 1, lettera a), e dell’art.45 1.18 giugno 2009 n.69, il potere di disporre la compensazione delle spese “per giusti motivi” e’ riservata al prudente apprezzamento del giudice di merito ed il sindacato della Corte di cassazione e’ limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa.
Ed invero, posto che la scelta di compensare le spese processuali puo’ essere censurata in sede di legittimita’ quando siano illogiche o contraddittorie le ragioni poste alla base della motivazione, e tali da inficiare per inconsistenza o erroneita’ il processo decisionale (Cass. n. 7763/2012), nel caso di specie deve rilevarsi che e’ stata accertata l’intollerabilita’ delle immissioni, ancorche’ non riconducibili ad un comportamento direttamente imputabile al proprietario dei locali, il che costituisce adeguato fondamento della disposta compensazione, in via equitativa, delle spese di lite.
In conclusione, va respinto il ricorso principale, con assorbimento del ricorso incidentale condizionato. Va respinto l’ulteriore motivo di ricorso incidentale.
I ricorrenti, maggiormente soccombenti, alla luce del limitato oggetto del ricorso incidentale, che censurava il solo capo sulla regolazione delle spese di lite, vanno condannati alla refusione delle spese del presente giudizio in favore del (OMISSIS).
Nulla sulle spese nei confronti dell’intimata (OMISSIS) s.r.l. che non ha svolto, nel presente giudizio, attivita’ difensiva.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti principali, nonche’ del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto, rispettivamente, per il ricorso principale e di quello incidentale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso principale.
Dichiara assorbito il primo motivo del ricorso incidentale condizionato, rigetta l’ulteriore motivo del ricorso incidentale proposto da (OMISSIS).
Condanna i ricorrenti, in solido, alla refusione delle spese del presente giudizio in favore di (OMISSIS), che liquida in complessivi 3.200,00 Euro, di cui 200,00 Euro per rimborso spese vive, oltre a rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti principali, nonche’ del ricorrente incidentale (OMISSIS), dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto, rispettivamente, per il ricorso principale e di quello incidentale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.
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