fallimento

Suprema Corte di Cassazione

sezione I

sentenza del 10 aprile 2014, n. 8458

 REPUBBLICA ITALIANA
NEL NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
PRIMA SEZIONE CIVILE
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Fallimento D s.r.l.
– ricorrente –
CONTRO
 
EP, MS, VN
– controricorrente –
nonché sul ricorso incidentale condizionato proposto da:
EPMS, VN
-ricorrenti incidentali-
nei confronti di
Fallimento D s.r.l.
avverso la sentenza della Corte d’appello di Genova emessa in data 29 novembre 2006 e depositata il 6 dicembre 2006, R.G. n. 1836/2005
Rilevato che
1. Il Fallimento della Ds.r.l. in liquidazione ha agito davanti al Tribunale di Genova nei confronti di M SV Ne E Pex amministratori della Ms.r.l., dichiarata fallita dal Tribunale di Venezia con sentenza del 20-23 dicembre 2003, per ottenere la loro condanna, ex art. 2395 c.c., al risarcimento dei danni subìti dalla Ds.r.l. e quindi dal suo fallimento, a seguito di una serie di condotte intese al sostanziale svuotamento del patrimonio della Ms.r.l., alla  fraudolenta sottrazione della società, da loro amministrata, al fallimento e quindi al trasferimento di clientela e avviamento alla New Ms.r.l.
2.Il Fallimento ha dedotto che la Ds.r.l. aveva acquistato nel 1987 dalla Muna partita di coils di acciaio (nastri di acciaio in rotoli per un peso di oltre 3.000 tonnellate) che la società venditrice aveva omesso di consegnare, come accertato• dalla sentenza del Tribunale di Venezia del 25 febbraio 1997, confermata in appello e passata in giudicato, con la quale era stata dichiarata la risoluzione del contratto di acquisto e pronunciata la condanna della Ms.r.l. al pagamento in favore del fallimento Ds.r.l. della somma capitale di 459.220.803 lire oltre interessi e rivalutazione. Dopo aver tentato inutilmente di ottenere il pagamento della predetta somma mediante azioni esecutive risultate infruttuose, il Fallimento aveva ottenuto dal Tribunale di Genova, con decreto del 28 luglio 2004, confermato con ordinanza del 15 settembre 2004, autorizzazione al sequestro conservativo sui beni e crediti dei predetti amministratori della M, fino a concorrenza di 1.400.000 euro e aveva quindi agito proponendo il giudizio di merito in cui accertare la responsabilità degli amministratori ex art. 2395 c.c. con conseguente condanna in solido al risarcimento dei danni.
3.Si sono costituiti i convenuti e hanno eccepito l’incompetenza per territorio del Tribunale di Genova in favore del Tribunale di Venezia, la prescrizione del diritto fatto valere in giudizio e l’infondatezza della domanda proposta in base al disposto dell’art. 2395 c.c.
4.Il Tribunale di Genova ha accolto la domanda e ha condannato i convenuti al pagamento della somma di euro 1.400.000 a titolo di risarcimento del danno, con rivalutazione e interessi ulteriori, e al pagamento delle spese del giudizio.
5.La Corte di appello ha accolto l’appello degli ex amministratori della Ms.r.l. ritenendo che la domanda era fondata sulla allegazione di un fatto (lo svuotamento del patrimonio e delle risorse di Ms.r.l.) non riconducibile alla previsione dell’art. 2395 c.c. ma piuttosto a quella dell’art. 2394 c.c. La Corte distrettuale ha dichiarato l’inefficacia del sequestro conservativo e ha disposto la cancellazione della trascrizione effettuata. Ha compensato interamente le spese processuali dei due gradi del giudizio “in considerazione dei profili tecnici della ratio decidendi e degli aspetti di equità sostanziale inerenti alla fattispecie concreta”.
6.Ricorre per cassazione il Fallimento di Ds.r.l. in liquidazione con unico motivo di ricorso con il quale deduce l’erroneità dell’interpretazione della Corte di appello e pone alla Corte di Cassazione i seguenti quesiti di diritto: a) se il comportamento degli amministratori di una società di capitali che procedono a una operazione di svuotamento delle attività sociali, attraverso una cessione senza corrispettivo delle stesse a favore di un’altra società, di cui essi stessi sono amministratori e soci, sia rilevante sotto il profilo dell’art. 2395 c.c. qualora: i) a seguito di detto comportamento tutte le attività e passività aziendali vengano trasferite ad altro soggetto, meno una sola ed unica rilevante posizione debitoria che viene fatta restare dentro la società originaria; ii) detto comportamento determini’ il fallimento della società creditrice; iii) il patrimonio di detta società si appalesi pertanto del tutto inesistente e incapace di soddisfare le pretese dell’unico rilevante creditore del fallimento per rilevante importo; b) se conseguentemente il creditore danneggiato dall’incapienza del patrimonio sociale determinata dall’anzidetto comportamento degli amministratori possa agire nei confronti dei soggetti responsabili con l’azione diretta ex art. 2395 c.c.
7.Si difendono con controricorso ed eccepiscono l’inammissibilità dell’impugnazione E P, V N e M Si quali propongono altresì ricorso incidentale condizionato basato su un unico motivo con il quale deducono la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa il rigetto dell’eccezione di prescrizione sollevata nel giudizio di merito.
Ritenuto che
8.L’eccezione di inammissibilità del ricorso è infondata.
In quanto la contestazione del fallimento ricorrente appare puntuale e specifica e consiste nell’aver recepito una nozione eccessivamente ristretta dell’art. 2345 c.c. Tale contestazione appare chiarita ulteriormente daí quesiti di diritto proposti dal ricorrente.
9. Va respinto anche il ricorso incidentale dei controricorrenti. In merito alla mancata prova del compimento del termine di prescrizione dell’azione risarcitoria la motivazione della Corte di appelli appare puntuale e coerente nell’affermare che il fatto lesivo dal quale prende a decorrere il periodo quinquennale al quale si riferisce l’art.2947 c.c. deve intendersi nella sua complessità e va fatto coincidere con il compimento dell’evento lesivo che, nella specie, in assenza di una prova contraria, che incombeva sugli odierni ricorrenti incidentali, deve essere fatto corrispondere con la messa in liquidazione della società debitrice. A tale motivazione i ricorrenti incidentali non muovono delle critiche specifiche e pertinenti limitandosi a richiamare le prove in atti da cui poteva evincersi come l’incapienza della società da loro amministrata si fosse concretizzata in periodo antecedente alla messa in liquidazione. Tali osservazioni, oltre che generiche, non appaiono pertinenti perché l’evento lesivo qualificante ai fini della proposizione dell’azione risarcitoria ex art. 2345 c.c. non poteva che consistere in quello identificativo di una condotta degli amministratori diretta specificamente a pregiudicare la società creditrice.
10.Il ricorso principale è fondato. Secondo la giurisprudenza di legittimità (cfr. Casa. civ., prima sezione, n. 6870 del 22 marzo 2010) in tema di azioni nei confronti dell’amministratore di società, a norma dell’art. 2395 cod. civ., il terzo è legittimato, anche dopo il fallimento della società, all’esperimento dell’azione (di natura aquiliana) per ottenere il risarcimento dei danni subiti nella propria sfera individuale, in conseguenza di atti dolosi o colposi compiuti dall’amministratore, solo se questi siano conseguenza immediata e diretta del comportamento denunciato e non il mero riflesso del pregiudizio che abbia colpito l’ente, ovvero il ceto creditorio per effetto della cattiva gestione, essendo altrimenti proponibile la diversa azione (di natura contrattuale) prevista dall’art. 2394 cod. civ., esperibile, in caso di fallimento della società, dal curatore, ai sensi dell’art. 146 della legge fall.
11.La Corte distrettuale genovese pur muovendo da una corretta e articolata identificazione della natura e delle funzioni delle norme dettate dal codice civile in tema di responsabilità degli amministratori perviene poi a una conclusione incoerente laddove, pur dando atto della ricostruzione, operata in primo grado dal Tribunale, della vicenda considerata lesiva dal fallimento De cioè il progressivo svuotamento della società con l’intento della sottrazione non della generale garanzia a favore del ceto creditorio ma della garanzia di adempimento dello specifico credito della D, ne ha escluso la rilevanza, ai fini della  applicabilità dell’art. 2395 c.c., in quanto tale comportamento, ascrivibile agli amministratori, era comunque consistito in una azione lesiva nei confronti della società da loro amministrata che aveva solo derivatamente prodotto un danno nei confronti della società D
12.Attraverso tale applicazione della norma in questione la Corte distrettuale si è venuta però a sottrarre all’esame, necessario in quanto prospettato dalla società attrice, della natura del danno subìto dalla società Me cioè se tale danno fosse da considerarsi meramente apparente, laddove avesse avuto) realmente la funzione di tenere indenni sia i soci che gli altri creditori dalle conseguenze negative che sarebbero derivate dall’adempimento del debito nei confronti della società D In tale prospettiva l’esame del merito della controversia doveva condurre, al fine di ritenere o meno applicabile l’art. 2395 del codice civile, a ritenere o escludere che il danno subito dalla prima società Ma seguito del suo svuotamento e della sua “duplicazione” nella società New M fosse esclusivamente finalizzato all’obiettivo lesivo specificodisottrarsi  all’adempimento nei confronti della D
13. Per questi motivi va respinto il ricorso incidentale e accolto quello principale con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Corte di appello di Genova che, in diversa composizione, regolerà anche le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso incidentale e accoglie il principale, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Genova che, in diversa composizione, deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 3 dicembre 2013.

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