Cassazione logo

Suprema Corte di Cassazione

sezione I

sentenza 9 marzo 2015, n. 9957

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 26.6.2013, il Tribunale di Messina in composizione monocratica condannava D.M.D. alla pena di 150,00 euro di ammenda per essersi rifiutato di fornire ai Carabinieri del R.O.N.R. di quella città i propri documenti e le proprie generalità, così integrando il reato contravvenzionale di cui all’art. 651 cod. pen. (fatto commesso il 12.5.2010).
Il Giudice di merito perveniva all’affermazione di responsabilità in base alle testimonianze dei militari G. e F., i quali avevano fermato per un controllo l’imputato che viaggiava privo di casco a bordo di uno scooter. Il D.M. dichiarava, nell’occorso, che avrebbe fornito le sue generalità e i documenti d’identità solo a personale della Polizia di Stato, corpo al quale egli apparteneva con la qualifica di Ispettore; infatti, solo al successivo sopraggiungere di una pattuglia di colleghi l’imputato si decideva a fornire i suoi documenti, come dichiarato dai Carabinieri P. e S., nelle more intervenuti in ausilio agli altri due operanti prima menzionati.
2. Nel ricorso per cassazione, il difensore del D.M. deduce violazione di legge e vizio di motivazione, assumendo, da un lato, che il rifiuto di fornire i propri documenti d’identità – l’unica condotta ascritta al suo assistito – non poteva integrare il reato previsto dall’art. 651 cod. pen., ma, eventualmente, quello di cui agli artt. 4 T.U.L.P.S. e 294 del relativo regolamento; dall’altro, che non erano indicati nella sentenza impugnata gli elementi dimostrativi del rifiuto da parte dell’imputato di fornire le proprie generalità ai Carabinieri che lo avevano fermato.

Considerato in diritto

1. Il ricorso va dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza.
2. Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, l’elemento materiale dei reato previsto dall’art. 651 cod. pen. consiste nel rifiuto di fornire indicazioni sulla propria identità e non nella mancata esibizione di un documento, che costituisce violazione degli artt. 4, comma secondo, T.U.L.P.S. e 294 del relativo regolamento: pertanto, l’indicazione orale delle proprie generalità è sufficiente ad escludere il reato (fra molte, Sez. 6, n. 14211 del 12/3/2009 Trovato, Rv. 243317; Sez. 1, n. 10676 del 24/2/2005, Albanese, Rv. 231125).
E’ pacifico che le due fattispecie possano concorrere, trattandosi di reati aventi un diverso elemento materiale ed una diversa obiettività giuridica (Sez. 6, n. 34 del 18/10/1995, dep. 4/1/1996, Cozzella, Rv. 203852).
Occorre, infine, rammentare che, in considerazione della natura di reato istantaneo, caratterizzante la fattispecie di cui all’art. 651 cod. pen., deve ritenersi irrilevante, ai fini della sussistenza dell’illecito, che le indicazioni sulla propria identità personale vengano fornite successivamente (Sez. 6, n. 34689 del 3/7/2007, Tedesco, Rv. 237606; Sez. 6, n. 9337 del 28/6/1995, P.G. in proc. Masiero, Rv. 202978).
3. II Giudice di merito si è puntualmente attenuto agli enunciati principi, ritenendo correttamente integrato il reato contestato al ricorrente, il quale, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa, non si è semplicemente astenuto dall’esibire i suoi documenti d’identità (condotta che sarebbe ricaduta nell’alveo della diversa fattispecie prevista dagli artt. 4, comma secondo, T.U.L.P.S. e 294 del relativo regolamento), ma si è anche rifiutato di declinare le proprie generalità ai due Carabinieri che lo avevano fermato per un controllo, così perfezionando la fattispecie di cui all’art. 651 cod. pen., scopo della quale – lo si ricorda – è quello di evitare che la Pubblica amministrazione sia intralciata nell’identificazione della persona cui le generalità sono richieste nell’esercizio dei potere discrezionale attribuito al pubblico ufficiale (Sez. 1, n. 3764 del 25/3/1998, Soldani, Rv. 210123).
Irrilevante, ai fini della sussistenza dell’illecito, che le indicazioni sulla propria identità personale siano state fornite dal D.M. successivamente ai colleghi della Polizia di Stato.
Del tutto destituita di fondamento è la censura sulla carenza di motivazione a proposito dell’indicazione degli elementi di prova del reato, precisamente indicati in sentenza nelle dichiarazioni testimoniali dei due Carabinieri G. e F..
4. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma, equa al caso, di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.q.m.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *