Corte di Cassazione, Sezione I – Sentenza 8 settembre 2011, n. 18438. Nonostante la Legge Fallimentare preveda l’ipotesi della revoca del curatore prima dell’esercizio dell’azione di responsabilità, tale indicazione non deve considerarsi tassativa, bensì solo normale, secondo l’id quod plerumque accidit; con esclusione, quindi, di alcun effetto preclusivo in dipendenza di dimissioni volontarie e preventive, accettate dall’ufficio e seguite da sostituzione

 

La massima

Nonostante la Legge Fallimentare preveda l’ipotesi della revoca del curatore prima dell’esercizio dell’azione di responsabilità, tale indicazione non deve considerarsi tassativa, bensì solo normale, secondo l’id quod plerumque accidit; con esclusione, quindi, di alcun effetto preclusivo in dipendenza di dimissioni volontarie e preventive, accettate dall’ufficio e seguite da sostituzione. La predetta consecutio temporale – revoca ed esercizio dell’azione – ha infatti natura accidentale ed estrinseca alla fattispecie, il cui requisito oggettivo riposa sulla violazione dei doveri del munus.

Il testo integrale

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE I

Sentenza 8 settembre 2011, n. 18438

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 23 luglio 2003 il fallimento P.D. conveniva dinanzi al Tribunale di Roma l’avv. L.A., ex curatrice della procedura, per sentirla condannare al risarcimento del danno da inesatto inadempimento dell’incarico, per aver ritardato il recesso da un contratto di locazione dei locali aziendali, con conseguente maturazione del debito dei canoni, ed aver consentito alla fallita di continuare la sua attività imprenditoriale di gestione di un’agenzia di viaggi, percependo introiti non confluiti nell’attivo fallimentare.

Costituitasi ritualmente, l’avv. L. eccepiva in via pregiudiziale l’inammissibilità della domanda ai sensi della L. Fall., art. 38, il cui presupposto era la revoca dall’incarico: al quale ella aveva, per contro, volontariamente rinunziato. Nel merito, contestava il fondamento degli addebiti di responsabilità e l’eccessività del quantum debeatur.

Con sentenza 23 marzo 2006 il Tribunale di Roma condannava l’avv. L. al risarcimento del danno, liquidato nella somma di Euro 50.465,23, oltre la rivalutazione monetaria, gli interessi legali e la rifusione delle spese di giudizio.

In parziale accoglimento del gravame principale dell’ex curatrice e incidentale del fallimento, la Corte d’appello di Roma, con sentenza 28 settembre 2009, condannava l’avv. L. al pagamento della minor somma di Euro 49.002,42, oltre gli accessori, e dichiarava interamente compensate le spese del secondo grado di giudizio.

La corte territoriale motivava:

– che il R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 38, comma 2, pur prefigurando, testualmente, l’azione di responsabilità nei confronti del curatore revocato, non ne escludeva l’ammissibilità anche verso 11 curatore dimissionario: come doveva desumersi in virtù di un’interpretazione teleologia, non irrazionale, della norma;

– che gran parte delle censure proposte dall’avv. L. non era specificamente riferibile all’iter argomentativo percorso dal Tribunale di Roma e non rispondeva quindi ai requisiti previsti, a pena di inammissibilità, ex art. 342 c.p.c.;

– che, per il resto andava confermato l’addebito per la mancata disdetta del contratto di locazione dell’immobile, più oneroso rispetto al canone di affitto dell’azienda stipulato con terzi dalla ex curatrice;

– che era fondato il gravame incidentale, limitatamente alla somma di L. 26.211.680, per biglietti acquistati dalla fallita senza pagarne il prezzo e rivenduti a terzi con utilizzazione prolungata del locale aziendale pur dopo la dichiarazione di fallimento.

Avverso la sentenza, non notificata, l’avv. L. proponeva ricorso per cassazione, articolato in tre motivi e notificato il 4 marzo 2010.

Deduceva:

1) la violazione della L. Fall., art. 38, comma 2, e art. 116, nonchè la carenza di motivazione, perchè la corte territoriale aveva ritenuto ammissibile l’azione di responsabilità in assenza del presupposto della revoca dall’incarico – al quale ella aveva invece volontariamente rinunziato – e nonostante l’intercorsa approvazione del rendiconto, di efficacia preclusiva;

2) la violazione degli artt. 1218, 1223 e 1256 c.c., nonchè la carenza di motivazione in ordine al mancato apprezzamento, in senso esimente, dell’inadempimento della società locatrice – che aveva rifiutato la risoluzione dell’originario contratto, dopo essersi impegnata in tal senso – nonchè in ordine alla liquidazione del danno;

3) la violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., e la carenza di motivazione nella ritenuta responsabilità per l’acquisto e la vendita di biglietti dopo la dichiarazione di fallimento.

Resisteva con controricorso la curatela del fallimento P. D.

All’udienza del 21 aprile 2011 il Procuratore generale e i difensori delle parti precisavano le rispettive conclusioni come da verbale, in epigrafe riportate.

Motivi della decisione

Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione della L. Fall., art. 38, comma 2, e art. 116, nonchè la carenza di motivazione, nel ritenere ammissibile l’azione di responsabilità.

Il motivo è infondato.

Nonostante la L. Fall., art. 38, comma 2, preveda l’ipotesi della revoca del curatore prima dell’esercizio dell’azione di responsabilità, tale indicazione non deve considerarsi tassativa, bensì solo normale, secondo l’id quod plerumque accidit; con esclusione, quindi, di alcun effetto preclusivo in dipendenza di dimissioni volontarie e preventive, accettate dall’ufficio e seguite da sostituzione. La predetta consecutio temporale – revoca ed esercizio dell’azione – ha infatti natura accidentale ed estrinseca alla fattispecie, il cui requisito oggettivo riposa sulla violazione dei doveri del munus. Ed è fin troppo intuitivo che l’opinione contraria, oltre a non avere un solido appiglio letterale, è insostenibile in sede di interpretazione teleologia, come correttamente statuito dalia corte territoriale: consentendo al curatore, consapevole del rischio di responsabilità, la facile elusione dell’iniziativa processuale merce la subitanea rinuncia all’incarico, prima che sia venuto alla luce il pregiudizio per la massa, eziologicamente riconducibile alla sua condotta negligente.

Pure infondata è la pretesa preclusione della domanda, per effetto dall’approvazione del rendiconto.

E’ vero che l’azione di responsabilità – che investe il merito della gestione e della condotta del curatore sotto il profilo del rispetto della legge e della diligenza nell’assolvimento dei doveri – è di norma proposta in sede di giudizio di rendiconto, L. Fall., ex art. 116, non necessariamente limitato alla verifica di eventuali errori materiali, omissioni o improprietà dei criteri di conteggio adottati (Cass., sez. 1, 10 settembre 2007, n. 18940; Cass., sez. 1, 5 ottobre 2000, n. 13274). Ma per l’appunto si tratta di sede naturale; e non esclusiva, in forza di connessione assoluta, ex lege:

data l’ammissibilità della scissione del controllo più propriamente contabile da quella gestionale. Senza che la prima fase, pur conclusasi in assenza di rilievi critici, abbia effetti liberatori, rendendo inammissibile la successiva azione di responsabilità per mala gestio. Analogamente a quanto previsto in tema di approvazione dei bilancio di società per azioni (art. 2434 c.c.); o in ipotesi di omessa contestazione degli estratti-conto bancari (Cass. sez. 1, 14 febbraio 2011, n. 3574; Cass., sez. 1, 19 marzo 2007, n. 6514).

Con il secondo motivo la ricorrente censura la violazione degli articoli 1218, 1223 e 1256 cod. civile, nonchè la carenza di motivazione, anche sotto il profilo della liquidazione del danno.

Il motivo è fondato nei limiti di cui appresso.

Priva di pregio si palesa l’allegazione dell’efficacia esimente del rifiuto della società locatrice Hilton s.r.l. di novare il contratto, verso un canone ridotto, nonostante l’impegno in precedenza assunto in tal senso.

La sentenza impugnata, confermando, al riguardo, la precedente statuizione del tribunale, ha messo in rilievo come il comportamento negligente della curatrice fosse consistito nel concordare un affitto d’azienda verso canoni non remunerativi di quelli locativi dei locali aziendali: in tal modo, dando adito ad una prosecuzione in perdita della detenzione dell’immobile.

Appare invece fondata la doglianza in punto quantum debeatur.

In effetti, la corte territoriale non ha dato conto dei criteri liquidativi adottati, con riferimento alla durata del rapporto di locazione antieconomico imputabile a fatto e colpa della curatrice;

nè delle ragioni per cui abbia omesso la detrazione delle somme percepite a titolo di canoni di affitto. La motivazione addotta (“D’altro canto è pur vero che per effetto del contratto d’affitto il fallimento aveva incassato il relativo canone, ma tale incasso non aveva in alcun modo inciso sul debito quale maturatosi e preteso ex adverso”) si rivela poco chiara e potenzialmente illogica, nell’escludere il computo di un attivo comunque conseguito dalla procedura.

L’ultimo motivo con cui si censura la violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., e la carenza di motivazione nella ritenuta responsabilità per l’acquisto e la vendita di biglietti dopo la dichiarazione di fallimento, è inammissibile perchè si risolve in una difforme valutazione delle risultanze istruttorie, avente natura di merito, che non può trovare ingresso in questa sede.

E ciò, prescindere dal rilievo che la stessa ricorrente non nega l’autorizzazione illegittima – perchè non assunta nell’ambito di una rituale continuazione o esercizio provvisorio dell’impresa – a proseguire la consegna di biglietti al pubblico nei locali aziendali, per vario tempo dopo la dichiarazione di fallimento.

L’accoglimento, nei limiti di cui motivazione, del ricorso comporta la cassazione della sentenza in parte qua e la rimessione della causa alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, per un nuovo giudizio ed anche per il regolamento delle spese della fase di legittimità.

P.Q.M.

Rigetta il primo motivo, accoglie il secondo e terzo per quanto di ragione, cassa la sentenza impugnata in parte qua e rinvia la causa alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per il regolamento delle spese processuali della fase di legittimata.

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