coltello

Suprema Corte di Cassazione

sezione I
Sentenza 22 gennaio 2014, n. 2937

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ZAMPETTI Umberto – Presidente
Dott. CAIAZZO Luigi Pietro – Consigliere
Dott. ROMBOLA’ Marcello – Consigliere
Dott. TARDIO Angela – Consigliere
Dott. CASSANO Margherita – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 3422/2012 CORTE APPELLO di PALERMO, del 23/01/2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 04/12/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARGHERITA CASSANO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Mazzotta Gabriele, che ha concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla provocazione e per il rigetto del ricorso nel resto.
RITENUTO IN FATTO
1. Il 23 gennaio 2013 la Corte d’appello di Palermo riformava limitatamente alla pena, ridotta a sei anni di reclusione, la sentenza pronunziata il 18 aprile 2012, all’esito di giudizio abbreviato, dal giudice per le indagini preliminari del locale Tribunale che aveva dichiarato (OMISSIS) colpevole del delitto di tentato omicidio in danno di (OMISSIS) ed, esclusa l’aggravante contestata dei futili motivi e applicata la diminuente per il rito, lo aveva condannato alla pena di otto anni di reclusione, oltre alla pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici.
2. Da entrambe le sentenze di merito emergeva che il (OMISSIS) (OMISSIS) veniva attinto all’addome e all’emicostato sinistro da plurime coltellate sferrate dall’imputato, suo parente, con il quale esistevano gravi contrasti per ragioni familiari ed ereditarie.
I ripetuti colpi contro parti vitali del corpo determinavano un’emorragia e la fuoriuscita di un’ansa intestinale tanto che si rendeva necessario un immediato intervento chirurgico grazie al quale veniva scongiurata la morte della vittima.
La responsabilita’ dell’imputato veniva ritenuta provata sulla base degli accertamenti medico-legali, delle dichiarazioni rese dalla parte offesa, delle deposizioni di (OMISSIS) e (OMISSIS).
3. Avverso la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, l’imputato, il quale lamenta erronea applicazione della legge penale con riferimento alla ritenuta sussistenza del dolo omicidiario, all’omessa derubricazione del reato in quello di lesioni volontarie e al mancato riconoscimento dell’attenuante della provocazione.
OSSERVA IN DIRITTO
1. I primi due motivi di ricorso non sono fondati.
1. La struttura del dolo risulta normativamente caratterizzata dall’elemento di natura intellettiva della previsione/rappresentazione e dall’elemento di essenza volitiva della volizione dell’evento. La rappresentazione e la volizione debbano in realta’ avere ad oggetto tutti gli elementi costitutivi della fattispecie tipica – condotta, evento e nesso di causalita’ materiale -, e non il solo evento causalmente dipendente dalla condotta, come si desume dalla disciplina dell’errore sul fatto costituente reato contenuta nell’articolo 47 c.p., comma 1, secondo cui siffatto errore, facendo venir meno il dolo sotto il profilo della indispensabile consapevolezza degli elementi essenziali della fattispecie, esclude la responsabilita’ dolosa e la punibilita’ dell’agente. Nei reati a forma libera, quale l’omicidio volontario, l’imputazione a titolo di dolo del fatto nel suo insieme postula che la volonta’ dell’ultimo atto sia effettiva.
Nell’ipotesi di omicidio tentato, la prova del dolo – ove, come nel caso in esame, manchino esplicite ammissioni da parte dell’imputato – ha natura essenzialmente indiretta, dovendo essere desunta da elementi esterni e, in particolare, da quegli elementi della condotta che, per la loro non equivoca potenzialita’ semantica, sono i piu’ idonei ad esprimere il fine perseguito dall’agente. Assume valore determinante, per l’accertamento della sussistenza dell’animus necandi l’idoneita’ dell’azione, che va apprezzata in concreto, senza essere condizionata dagli effetti realmente raggiunti, perche’ altrimenti l’azione, per non avere conseguito l’evento, sarebbe sempre inidonea nel delitto tentato, il giudizio di idoneita’ consiste, quindi, in una prognosi formulata ex post con riferimento alla situazione che si presentava all’imputato al momento dell’azione, in base alle condizioni umanamente prevedibili del caso particolare (Sez. 1, n. 30466 del 7 luglio 2011; Sez. 1, n. 39293 del 23 settembre 2008; Sez. 1, n. 20220 del 04 aprile 2001).
2.La sentenza impugnata, in conformita’ con i principi in precedenza illustrati, ha, con motivazione compiuta e logica, argomentato la sussistenza del dolo omicidiario sulla base della reiterazione dei colpi inferti, della loro intensita’, delle zone vitali del corpo della parte offesa attinte dalle coltellate, della posizione reciproca tra aggressore e vittima, della brevissima distanza da cui i colpi di coltello vennero sferrati.
3. Sulla base di quanto in precedenza evidenziato in merito alla configurabilita’ del dolo omicidiario, la sentenza impugnata e’ esente dai vizi denunciati anche per quanto attiene alla qualificazione giuridica del fatto come tentato omicidio e all’omessa derubricazione nel delitto di lesioni volontarie
4. Fondato, invece, e’ l’ultimo motivo di doglianza.
Ai fini della configurabilita’ dell’attenuante della provocazione occorrono: a) lo “stato d’ira”, costituito da una situazione psicologica caratterizzata da un impulso emotivo incontenibile, che determina la perdita dei poteri di autocontrollo, generando un forte turbamento connotato da impulsi aggressivi; b) il “fatto ingiusto altrui”, costituito non solo da un comportamento antigiuridico in senso stretto, ma anche dall’inosservanza di norme sociali o di costume regolanti l’ordinaria, civile convivenza, per cui possono rientrarvi, oltre ai comportamenti sprezzanti o costituenti manifestazione di iattanza, anche quelli sconvenienti o, nelle particolari circostanze, inappropriati; c) un rapporto di causalita’ psicologica tra l’offesa e la reazione, indipendentemente dalla proporzionalita’ tra esse (Sez. 1, n. 16790 dell’8 aprile 2008).
5. Tanto premesso, la sentenza impugnata ha omesso di pronunziarsi sulla sussistenza o meno della circostanza attenuante della provocazione, oggetto di uno dei motivi d’appello dedotti dalla difesa avverso la sentenza di primo grado.
Sotto quest’unico profilo, pertanto, s’impone l’annullamento della sentenza d’impugnata e il rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte d’appello di Palermo.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente all’omessa pronuncia sulla provocazione e al trattamento sanzionatorio e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte d’appello di Palermo.
Rigetta il ricorso nel resto.

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