assegni protesti

Suprema Corte di Cassazione

sezione I

sentenza 2 luglio 2014, n. 15145

Svolgimento del processo

Con sentenza dell’8 gennaio 2007, il Tribunale di Trieste in grado di appello, confermando la decisione del giudice di pace, ha condannato Poste Italiane s.p.a. al pagamento della somma di Euro 1.523,55, oltre interessi legali dalla domanda, in favore di P.E. , in ragione dell’inadempimento contrattuale consistito nell’indebito trasferimento, in seguito al pagamento di cinque assegni postali dell’importo predetto, della somma, fra il 9 ed il 14 novembre 2001, dal conto corrente postale intestato al P. al conto intestato a tale B.A. .
Il tribunale ha ritenuto che, costituendo il pagamento di assegno falsificato un inadempimento contrattuale, la colpa del trattario si presume e la presunzione è superabile mediante la produzione del titolo e dello specimen, o con altro mezzo idoneo a dimostrare che la falsificazione non fosse accertabile con la diligenza media dell’accordo banchiere: tuttavia, la società non aveva prodotto tali documenti in originale, sebbene in suo possesso. Inoltre, dalle fotocopie depositate risultava che, in uno dei cinque assegni, la firma era apposta nel luogo deputato all’indicazione della data ed era palesemente diversa dallo specimen; in un altro vi era un’evidente cancellatura e correzione dell’importo; tutti erano stati negoziati nell’arco di pochissimi giorni e per un importo che esauriva la provvista; le altre firme erano incerte nel tratto, a confronto della sicurezza dello specimen, e mancavano alcune caratteristiche tipizzate della forma grafica, quale l’occupazione verticale dello spazio con la prima e l’ultima lettera. Da tutti questi elementi ha tratto il convincimento del mancato rispetto della diligenza media della trattarla nel pagamento dei titoli.
Ha escluso il concorso di colpa del danneggiato, ai sensi dell’art. 1227, primo comma, c.c., in quanto egli aveva subito denunziato il furto concomitante di assegni bancari, mentre solo in un secondo momento si era avveduto anche della sottrazione del carnet di assegni postali, il cui metodo di incasso (girata su altro conto corrente postale) lo aveva ragionevolmente allarmato meno, cagionando la dimenticanza scusabile dell’omessa denunzia di furto.
Ha, infine, respinto la domanda di condanna del terzo chiamato, perché, pur pacifica la responsabilità del soggetto che ha posto all’incasso gli assegni, non ha ritenuto sussistere la prova che non vi fu illecita spendita del suo nome da parte di altri, mancando in atti un documento di identificazione del prenditore.
Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione Poste Italiane s.p.a., affidato a tre motivi. Gli intimati, benché ritualmente notificati, non si sono costituiti. La ricorrente ha, altresì, depositato la memoria.

Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo, la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione degli art. 1176, 1189, 1992, 1710, 1856, 2697 c.c., 43 e 86 r.d. 21 dicembre 1933, n. 1736, oltre al vizio di motivazione, per avere la sentenza impugnata ravvisato l’assenza di diligenza media in capo alla trattarla, che tuttavia non aveva rilevato irregolarità in verità non visibili, quali la difformità del tutto minima della sottoscrizione rispetto allo specimen e l’apposizione della firma nello spazio sovrastante a quello corretto; e per avere la sentenza, inoltre, reputato non assolto l’onere probatorio in capo alla banca, in ragione dell’omessa produzione in originale dello specimen e del titolo.
Con il secondo motivo, deduce la violazione e la falsa applicazione degli art. 1227, 1992, 2056 e degli art. 115 e 116 c.p.c., oltre al vizio di motivazione, per non avere la sentenza impugnata ravvisato il concorso colposo del creditore nel ritardo di diciotto giorni nel denunciare lo smarrimento del carnet degli assegni.
Con il terzo motivo, deduce la violazione e la falsa applicazione degli art. 1, 11, 38 e 43 r.d. 21 dicembre 1933, n. 1736; 1189, 2033 e 2043 e.e, nonché il vizio di motivazione, per non avere la sentenza impugnata condannato il terzo chiamato, rimasto contumace, alla restituzione della somma versata sul proprio conto corrente, essendo stato accertato, già nel corso del primo grado, che B.A. era il portatore degli assegni presentatosi allo sportello per l’incasso.
2. – Tutti i vizi di motivazione denunciati sono inammissibili per mancanza del c.d. momento di sintesi, posto che nei ricorsi per cassazione avverso i provvedimenti pubblicati dopo l’entrata in vigore del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 ed impugnati per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, secondo l’art. 366 bis c.p.c., la censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, onde l’assenza di qualsiasi momento di sintesi ne rende inammissibile la deduzione (e multis, Cass. 20 maggio 2013, n. 12248; 18 novembre 2011, n. 24255; sez. un., 1 ottobre 2007, n. 20603).
3. – Il primo motivo è infondato.
Il tribunale ha ritenuto che la falsità fosse visibilmente rilevabile dal confronto tra la firma apposta sui titoli, di tracciato incerto ed in uno dei titoli del tutto difforme, e quella depositata dal cliente all’apertura del conto corrente, oltre alla presenza di cancellature e di una firma apposta nel luogo deputato all’indicazione della data; ulteriore elemento di imprudenza nel pagamento è stato ravvisato nel non avere rilevato l’anomalia dell’incasso in pochissimi giorni e dell’esaurimento dell’intera provvista.
In tal modo, il giudice del merito ha fatto corretta applicazione del principio consolidato, secondo cui in ipotesi di pagamento di assegni a firma apocrifa l’ente è responsabile a fronte non della mera alterazione del titolo, ma solo allorché essa sia rilevabile ictu oculi in base alle conoscenze del soggetto professionale di diligenza media, che non possiede, al momento della presentazione del titolo, particolari attrezzature strumentali o chimiche per rilevare la falsificazione, né è tenuto a mostrare le qualità di un esperto grafologo (Cass. 4 ottobre 2011, n. 20292; 15 luglio 2005, n. 15066).
3. – Il secondo motivo è infondato.
Questa corte ha più volte affermato che l’accertamento del concorso di colpa del danneggiato e la valutazione del comportamento del creditore è compito riservato al giudice del merito, ed è insindacabile in sede di legittimità, sola censura ammissibile essendo quella di idonea motivazione (Cass. 29 settembre 2005, n. 19166; 9 febbraio 2004, n. 2422).
Il tribunale, pur dando atto dell’omessa denuncia tempestiva del furto del libretto degli assegni postali, ha giustificato tale omissione con il minore allarme, cagione della dimenticanza, in ordine a tale carnet rispetto a quello degli assegni bancari, ingenerato dal particolare meccanismo di incasso, in tal modo in sostanza il tribunale negando l’apporto causale rilevante del correntista alla produzione dell’illecito da parte di terzi e reputando assorbente la negligenza dell’Ente; mentre il vizio motivazionale, non veicolato da idonea sintesi, come sopra esposto, non può essere esaminato.
4. – Il terzo motivo è infondato.
Non sussiste la denunziata violazione di legge, avendo il tribunale affermato – con accertamento insindacabile in sede di legittimità – che non risulta provato essere tale B.A. colui che effettivamente operò l’illecito.
Ne deriva che, sebbene in astratto sia certamente vero che, in caso di pagamento di assegno a firma falsa, la banca trattaria, avendone la legittimazione in qualità di solvens, può ripetere l’indebito oggettivo dall’accipiens (Cass. 29 settembre 2004, n. 19565), tuttavia la riscontrata mancata prova della identità del medesimo, con accertamento qui non censurabile, rende infondato il motivo.
5. – Non vi è luogo alla pronuncia sulle spese, attesa la mancata costituzione degli intimati.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

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