Corte di Cassazione bis

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE I

SENTENZA 19 settembre 2014, n.19790

Ritenuto in fatto

Con ricorso del 21/7/1995 B.L. chiedeva al Tribunale di Firenze che fosse dichiarata l’ammissibilità dell’azione di dichiarazione giudiziale di paternità naturale da Ac.Ar. .
Al riguardo affermava di essere nata nel (…). Sua madre B.E. aveva svolto mansioni di segretaria e direttrice del personale domestico presso villa (omissis) ove risiedeva Ac.Ar. ed aveva avuto una relazione con quest’ultimo dalla quale era nata la parte attrice.
Ac.Ar. moriva improvvisamente nel 1953 e l’unico erede A.H. nel (…). Nelle disposizioni testamentarie erano indicati come beneficiari New York University, il British Institute ed altri legatari oltre alla previsione della costituzione di un fondo patrimoniale.
In giudizio erano convenuti e si costituivano l’esecutore testamentario, La New York University e il British Institute of Florence.
Il tribunale dichiarava inammissibile la domanda. La Corte d’Appello accoglieva il reclamo ed infine la Corte di Cassazione cassava il provvedimento della Corte d’Appello e rinviava alla Corte territoriale che, infine, dichiarava ammissibile l’azione.
Venivano allora proposte due domande con un’unica azione, una di dichiarazione giudiziale di paternità ed una di natura successoria.
Nel 2000 moriva la parte attrice ed il giudizio proseguiva con la costituzione della figlia e del proprio marito in proprio e quali esercenti la potestà genitoriale sui figli minori nominati eredi dalla B. .
Il giudice istruttore provvedeva alla separazione dei giudizi, disponendo la prosecuzione della dichiarazione giudiziale di paternità.
Al fine di superare l’eccezione di estinzione gli eredi dell’attrice riproponevano integralmente le domande proposte. Veniva disposto l’esame del DNA di A.A. e B.L. previa riesumazione.
Il Tribunale con ordinanza del 15/1/2007, ritenuta l’opportunità ai sensi dell’art. 107 cod. proc. civ. che il processo si svolgesse anche nei confronti di un curatore speciale ne disponevano la nomina mediante procedimento ex art. 78 cod. proc. civ.. L’impugnazione di questa ordinanza in sede di reclamo veniva dichiarata inammissibile dalla Corte d’Appello.
L’istanza di nomina del curatore speciale veniva, tuttavia, rigettata; il reclamo avverso di essa dichiarato inammissibile così come il ricorso per cassazione.
All’esito del giudizio di primo grado relativo alla dichiarazione giudiziale di paternità, il Tribunale respingeva l’eccezione di estinzione; revocava l’ordinanza che aveva disposto la nomina di un curatore speciale e ne aveva ordinato la chiamata in causa; dichiarava improponibile la domanda proposta dagli eredi B. .
La Corte d’Appello, in ordine all’impugnazione di questi ultimi, incentrata sulla reiterazione dell’istanza di nomina del curatore speciale e sulla prospettata incostituzionalità dell’art. 276 cod. civ. nella parte in cui non veniva riconosciuto il diritto all’accertamento della paternità naturale per difetto di legittimazione passiva degli eredi degli eredi e non veniva prevista la nomina di un curatore speciale, affermava:
a) Il giudicato sull’ammissibilità dell’azione non poteva determinare il definitivo accertamento della legittimazione passiva dei convenuti, attesa l’autonomia tra tale giudizio e quello successivo di merito. Il decreto aveva attitudine al giudicato anche esterno ma limitatamente alla ritualità della procedura preliminare e alle questioni incidenti sulla predetta ammissibilità. Altri accertamenti rivestivano natura incidentale.
b) Le S.U. con sentenza n. 21287 del 2005 avevano affermato il principio secondo il quale i legittimati passivi esclusivi ex art. 276 cod. civ., in caso di morte del preteso genitore erano solo i suoi eredi e non gli eredi degli eredi, con conseguente improponibilità dell’azione proposta. Le altre parti interessate potevano soltanto intervenire così come statuito al secondo comma. La soluzione doveva ritenersi costituzionalmente legittima alla luce dell’art. 30, quarto comma Cost. (“la legge detta le norme ed i limiti per la ricerca della paternità”) e 42 comma quarto (“la legge stabilisce le norme ed i limiti per la successione legittima e testamentaria”).
La prospettata eccezione d’illegittimità costituzionale doveva, pertanto, ritenersi priva anche di rilevanza perché l’istanza di nomina del curatore non era stata formulata prima dell’instaurazione del giudizio.
Peraltro la questione prospettata risultava già essere stata respinta dalla Corte Costituzionale da ultimo con l’ordinanza n. 279 del 2009. La Corte aveva ribadito in quella sede che l’individuazione dei soggetti verso i quali promuovere l’azione era materia riservata alla discrezionalità legislativa. Infine la modifica dell’art. 276 cod. civ., per effetto della L. n. 219 del 2012, entrata in vigore il 1/1/2013 non poteva applicarsi nella specie perché la previsione innovativa della nomina del curatore speciale non costituiva una condizione dell’azione ma valeva soltanto ad identificare una legittimazione sostanziale – processuale che doveva sussistere fin dalla proposizione della domanda. La norma doveva conseguentemente, ritenersi inapplicabile perché la nomina deve precedere l’instaurazione del giudizio. Il curatore non era un litisconsorte necessario ma il contraddittore unico in assenza di eredi diretti. Non poteva, pertanto, disporsi la sua partecipazione in un giudizio che è pervenuto alla sua conclusione. Nel giudizio vi erano già in qualità di legittimati passivi gli eredi degli eredi, i quali non possono essere ritenuti estranei al giudizio. Né poteva disporsi la rimessione al giudice di primo grado, non ravvisandosi alcune delle ipotesi tassative previste dall’art. 354 cod. proc. civ..
La Corte d’Appello non ravvisava, infine, alcun contrasto con norme CEDU così come interpretate dalla Corte di Strasburgo.
Avverso tale pronuncia hanno proposto ricorso gli eredi B. , A.d.M.V. , (+Altri) , affidati a cinque motivi. Ha resistito con controricorso La New York University. Hanno proposto ricorso incidentale altri eredi B. , D. , J. e L.O.C.A. , affidato a tre motivi. Sono state depositate memorie dai ricorrenti principali e dal contro ricorrente, New York University.

Motivi della decisione

Nel primo motivo del ricorso principale viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 276 cod. civ. nonché degli artt. 102 e 354 cod. proc. civ. oltre alla nullità della sentenza o del procedimento ex art. 360 n. 4 cod. proc. civ. per non avere la Corte d’appello ritenuto applicabile la modifica dell’art. 276 cod. civ. introdotta dalla l. n. 219 del 2012, con la quale è stato previsto che, in mancanza del presunto genitore e dei suoi eredi, l’azione debba essere proposta nei confronti di un curatore speciale nominato dal giudice.

Secondo la parte ricorrente la nuova formulazione dell’art. 276 cod. civ., entrata in vigore il primo gennaio 2013, trova applicazione nei giudizi in corso trattandosi di una innovazione di natura processuale. Tale conclusione può essere desunta anche dall’art. 4 della l. n. 219 del 2012, secondo la quale soltanto le disposizioni dell’art. 3 (quelle relative alla nuova ripartizione di competenze tra tribunale ordinario e tribunale per i minorenni) trovano esclusiva applicazione per i giudizi instaurati dopo l’entrata in vigore della legge. Peraltro, la norma avrebbe natura interpretativa, colmando un vuoto sottolineato dall’unanime dottrina ed anche dalle S.U. con la sentenza n. 21287 del 2005.

Da tali premesse consegue che la Corte d’Appello avrebbe dovuto rimettere le parti davanti al Tribunale al fine di disporre l’integrazione del contraddittorio nei confronti del curatore speciale, in quanto litisconsorte necessario. Non può, pertanto, condividersi, l’asserzione contenuta nella sentenza impugnata, secondo la quale non poteva disporsi la chiamata in causa del curatore speciale in un giudizio quasi concluso, dal momento che la richiesta era stata formulata fin dal giudizio di primo grado e reiterata. Peraltro il vizio relativo all’integrità del contraddittorio può essere sempre rilevato ed il curatore speciale deve ritenersi, anche alla luce della giurisprudenza di legittimità, litisconsorte necessario. Infine, non ha fondamento l’altra affermazione secondo la quale la legittimazione del curatore e quella degli eredi degli eredi sarebbero alternative, dal momento che questi ultimi possono rimanere in giudizio come interventori ex art. 276, ultimo comma, cod. civ..

Nell’ipotesi in cui le prospettate tesi non fossero condivise la parte ricorrente formula eccezione d’illegittimità costituzionale dell’art. 276 cod. civ. per l’irragionevole disparità di trattamento che si determinerebbe con l’accoglimento della soluzione contenuta nella sentenza impugnata.

Nel secondo motivo viene dedotta la nullità del procedimento ex art. 360 n. 4 cod. proc. civ. La sentenza impugnata, secondo la parte ricorrente, contrasta con il costante orientamento della Corte di Cassazione, secondo il quale, ogni qual volta il giudice di appello si trova di fronte ad un’attività processuale viziata che esuli dalle fattispecie tipiche stabilite nell’art. 354 cod. proc. civ., deve provvedere a sanare il vizio processuale e decidere nel merito. Ne consegue che l’integrazione del contraddittorio ben poteva essere disposta nel giudizio d’appello.

Nel terzo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 276 cod. civ., nonché dell’art. 117 Cost. e degli artt. 6, 8 e 14 della Convenzione Europea dei diritti umani, anche sotto il profilo della nullità della sentenza o del procedimento ex art. 360 n. 4 cod. proc. civ..

La parte ricorrente sostiene di aver posto all’attenzione della Corte d’Appello il dictum della sentenza della CEDU n. 113 del 2011 (caso Dorigo) nella quale viene evidenziato che nel caso di un’evidente e dichiarata lacuna normativa possono essere direttamente applicate le norme della Convenzione quando ciò sia reso necessario dalla necessità di porre fine ad una situazione d’ingiustizia che tocchi direttamente i diritti della persona protetti dalla Convenzione stessa. Nella specie il mancato ingresso nel giudizio degli eredi degli eredi determina una violazione dell’art. 8 e dell’art. 14 della CEDU, risultando i ricorrenti, privati, in modo discriminatorio, dell’esercizio del diritto alla vita privata e familiare.

Si riscontra inoltre anche la lesione dell’art. 6 CEDU perché la mancata partecipazione al giudizio è contraria ai principi del processo equo.

Nel quarto motivo (erroneamente denominato quinto) le parti ricorrenti evidenziano la fondatezza della domanda proposta, sulla base delle prove fornite e delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio eseguita.

Nel quinto motivo (erroneamente definito sesto) viene dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ. per avere la Corte d’Appello confermato la statuizione sulle spese processuali del primo grado di giudizio ed aver condannato gli appellanti al pagamento dei due terzi delle spese processuali del secondo grado.

Così operando la Corte territoriale non ha tenuto conto dell’obiettiva controvertibilità della questione sottoposta al suo giudizio e della vittoria nella fase di ammissibilità dei predetti appellanti.

I motivi di ricorso incidentale sono conformi a quelli del ricorso principale.

Deve essere preliminarmente disattesa l’eccezione preliminare d’inammissibilità sollevata dalla parte controricorrente ex art. 360 bis cod. proc. civ. sul rilievo che i motivi di ricorso contrastino con la giurisprudenza di legittimità consolidatasi dopo la soluzione del precedente contrasto ad opera delle S.U. con la pronuncia n. 21287 del 2005. Deve, infatti, osservarsi, che contrariamente a quanto sostenuto dal controricorrente viene all’attenzione del Collegio la questione del tutto nuova dell’applicabilità ai giudizi in corso della modifica dell’art. 276 cod. civ. intervenuta per effetto della legge n. 219 del 2012.

L’inammissibilità non può neanche farsi derivare dalla dedotta irrilevanza della modifica nel giudizio in corso, in quanto instaurato esclusivamente nei confronti degli eredi degli eredi, privi di legittimazione passiva anche alla luce della novella normativa. Deve osservarsi al contrario che la partecipazione al giudizio del curatore ove ammissibile e legittima consentirebbe l’accertamento giudiziale della paternità di Ac.Ar. nei confronti di B.L. , conformemente alla domanda che costituisce l’oggetto esclusivo del presente giudizio. La reiezione dell’appello si è, infatti, fondata sul difetto di legittimazione passiva degli ‘eredi degli eredi’ di Ac.Ar. .

I primi due motivi del ricorso principale possono essere trattati congiuntamente in quanto logicamente connessi.

L’art. 276 cod. civ. nella versione anteriore a quella attualmente vigente, stabiliva che la domanda per la dichiarazione di paternità o maternità potesse essere proposta esclusivamente nei confronti del presunto genitore e dei suoi eredi. Al contrario nell’azione di disconoscimento della paternità o maternità qualora il presunto padre o la madre o il figlio fossero morti, in mancanza di discendenti diretti, l’azione doveva essere proposta nei confronti di un curatore speciale nominato dal giudice.

La differenza di regime giuridico nelle due azioni, rivolte entrambe a stabilire (o ristabilire) la verità degli status genitoriali e filiali aveva destato perplessità, anche sotto il profilo della compatibilità costituzionale rispetto ai parametri costituiti dagli art. 3, 29 e 30 Cost., in larga parte della dottrina, ed aveva dato luogo ad orientamenti contrastanti, anche in sede di giurisprudenza di legittimità, composti con la citata pronuncia delle S.U. n. 21287 del 2005. Quest’ultimo arresto, peraltro, nell’escludere la legittimazione passiva degli ‘eredi degli eredi’ alla luce del sistema normativo vigente, aveva osservato che la scelta legislativa,evidenziava ‘un punto di debolezza e di perfettibilità dell’attuale disciplina rispetto alle sempre più avvertite esigenze di tutela dell’interesse del figlio naturale all’accertamento della genitorialità, anche per il profilo del suo diritto alla identità personale’. La legittimità costituzionale dell’esclusione non veniva affrontata in concreto per difetto di rilevanza, non essendo stata richiesta, nel caso di specie, prima dell’instaurazione del giudizio, la nomina di un curatore speciale.

Il quadro generale, preesistente all’entrata in vigore della l. n. 219 del 2012 si deve completare con il richiamo alle ordinanze della Corte Costituzionale n. 379 del 2008, 80 e 279 del 2009 nelle quali è stato sottolineato che la limitazione della legittimazione passiva contenuta nell’art. 276 cod. civ. previgente, costituisce un’opzione rientrante nella discrezionalità del legislatore.

La norma è mutata per effetto dell’entrata in vigore, il 1/1/2013, della l. n.219 del 2012. Nella nuova formulazione, l’art. 276 cod. civ., al primo comma prevede ‘la domanda per la dichiarazione di paternità e maternità deve essere proposta nei confronti del presunto genitore o, in sua mancanza, nei confronti dei suoi eredi. In loro mancanza, la domanda deve essere proposta nei confronti di un curatore nominato dal giudice davanti al quale il giudizio deve essere promosso’.

La modifica normativa impone, di conseguenza, l’esame della sua applicabilità al giudizio in corso. Al riguardo deve, preliminarmente, essere osservato che nella specie, l’istanza di nomina del curatore speciale è stata espressamente formulata tempestivamente dalle parti attrici nel giudizio di merito, una volta conclusasi la complessa fase di ammissibilità dell’azione. Non può pertanto essere condivisa la tesi espressa nella sentenza impugnata, secondo la quale il curatore non avrebbe potuto essere nominato e partecipare ad un giudizio sostanzialmente concluso condividendo il ruolo di convenuto con gli eredi degli eredi. Così ragionando, la Corte territoriale ha del tutto trascurato che la nomina del curatore era stata richiesta e disposta dal giudice istruttore del primo grado del giudizio, aderendo all’orientamento dottrinale che ne riteneva già allora necessaria la partecipazione al giudizio; le parti attrici avevano formulato l’istanza di nomina nel primo momento utile; l’istanza era stata respinta ed il reclamo avverso la reiezione ritenuto inammissibile dalla Corte d’Appello. La Corte di Cassazione aveva, infine, ritenuto non impugnabile il provvedimento della Corte territoriale. Il sub procedimento aveva avuto un iter complesso che si era concluso negativamente ma senza che sull’istanza si fosse formato alcun giudicato, attesa la natura di mera volontaria giurisdizione della decisione di rigetto e il contenuto di decisioni impedienti in rito delle pronunce d’appello e di cassazione. Non si ravvisa pertanto l’implicita censura di tardività posta a base di una delle rationes del rigetto contenuta nella sentenza impugnata. L’accoglimento dell’istanza di nomina da parte del giudice istruttore, subito dopo l’instaurazione del giudizio di merito relativo all’azione di dichiarazione giudiziale di paternità evidenzia la piena validità, sotto il profilo della tempestività, della richiesta di partecipazione del curatore speciale nel presente giudizio.

Tale rilievo preliminare deve ritenersi necessario anche alla luce della nuova formulazione dell’art. 276 cod. civ., secondo la quale la nomina del curatore speciale deve essere effettuata prima dell’instaurazione del giudizio. Nella specie mancando la norma espressa, la decisione del giudice istruttore, successivamente disattesa, che aveva disposto la partecipazione del curatore speciale al procedimento, era stata assunta del tutto tempestivamente, non potendo essere pretesa, nel regime giuridico antevigente, prima della conclusione della fase di ammissibilità, la formulazione dell’istanza in oggetto. Può, pertanto, procedersi all’esame della questione relativa all’applicabilità del novellato art. 276, primo comma, cod. civ. al presente giudizio.

Al riguardo deve osservarsi che la legge n. 219 del 2012 non contiene soltanto i criteri per l’esercizio della delega ma anche alcune norme di applicazione diretta sia di carattere sostanziale che processuale. Le norme sostanziali introdotte o modificate dalla legge n. 219 del 2012 riguardano la modifica : a) delle relazioni di parentela (art. 74); b) del regime di riconoscimento dei figli nati fuori del matrimonio (il capo IV del Tit. VI del libro primo del codice civile (artt. 250-258 cod. civ.); e) dell’art. 276 cod. civ.; d) dei diritti e doveri del figlio (art. 315 e 315 bis cod. civ.); c) dell’art. 448 bis cod. civ. avente ad oggetto la cessazione dell’obbligo di prestare gli alimenti al genitore che sia decaduto dalla potestà da parte dei figli, anche adottivi e dei discendenti prossimi.

Sul piano delle norme processuali è’ stato modificato il regime della suddivisione delle competenze tra tribunale ordinario e giudice minorile (art. 38 disp. att. cod. civ. ).

La legge entra in vigore il 1/1/2013. L’unica norma di diritto transitorio che contiene riguarda il differimento dell’applicabilità delle disposizioni di carattere processuale stabilite nell’art. 4, ai giudizi instaurati a decorrere dal 1/1/2013. Deve, tuttavia, osservarsi che la norma di diritto transitorio del d.lgs n. 154, 2013, l’art. 104, contiene anche regole di diritto intertemporale riguardanti le norme sostanziali della l. n. 219 del 2012.

Il principio sul quale ruota la disciplina di diritto transitorio contenuta nel citato art. 104 è costituito, in via generale, dall’applicabilità immediata delle nuove norme sostanziali salvo che i rapporti non siano stati definiti con sentenza passata in giudicato prima della data di entrata in vigore della l. n. 219 del 2012 (1/1/2013). La principale ricaduta pratica dell’adozione di tale criterio di diritto intertemporale è costituita dall’applicazione, anche ai rapporti preesistenti, dell’art. 74 cod. civ. che modifica radicalmente il rapporto di parentela giuridicamente rilevante, costituendo l’innovazione principale contenuta nella l. n. 219 del 2012 (‘la parentela è il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite, sia nel caso in cui è avvenuta all’interno del matrimonio, sia nel caso in cui è avvenuta al di fuori, sia nel caso in cui il figlio è adottivo’). Ne consegue l’immediata efficacia estensiva dei diritti successori conseguenti a tale modifica (commi da uno a cinque dell’art. 104 citato). Il legislatore ha voluto favorire, rispetto alla stabilità dei rapporti preesistenti, l’adeguamento immediato e più esteso possibile (con il solo baluardo del giudicato) della nuova configurazione del rapporto di filiazione, dettata dall’innovato contesto normativo formato dalla legge n. 219 del 2012 e dal d.lgs n. 154 del 2013. Tale opzione costituisce un’indicazione interpretativa preminente per la soluzione delle questioni di diritto intertemporale lasciate insolute dal regime speciale di diritto transitorio sopra delineato, sia con riferimento alla l. n. 219 del 2012 che al successivo decreto delegato. La nuova disciplina legislativa ha adeguato il regime giuridico della filiazione al canone costituzionale dell’uguaglianza, rimuovendo diversificazioni di situazioni giuridiche ritenute ingiustificate. A questo obiettivo si è inteso dare la più ampia applicazione, anche sotto il profilo diacronico, al fine di evitare, nei limiti dell’immutabilità del giudicato, che il mero fattore temporale potesse determinare differenze di trattamento costituzionalmente non più compatibili con i parametri degli artt.2 e 3 Cost., trattandosi di diritti inviolabili della persona quali quello all’accertamento degli elementi costitutivi dell’identità personale.

Alla luce di queste premesse, possono essere agevolmente esaminati i commi successivi dell’art. 104 del d.lgs n. 154 del 2013. In particolare, l’indagine deve rivolgersi al comma settimo del citato art. 104 secondo il quale ‘Fermi gli effetti del giudicato formatosi prima dell’entrata in vigore della legge 10 dicembre 2012, n. 219, le disposizioni del codice civile relative al riconoscimento dei figli, come modificate dalla medesima legge, si applicano anche ai figli nati o concepiti anteriormente all’entrata in vigore della stessa’. Al riguardo, deve osservarsi che la l. n. 219 del 2012, come già osservato, contiene norme direttamente innovative del pregresso regime giuridico non soltanto per quanto riguarda l’adeguamento testuale delle singole disposizioni (mediante l’eliminazione dell’attributo ‘naturale’ dopo il termine ‘figli’), successivamente completato con il d.lgs n. 154 del 2013 ma anche con la rilevante modifica relativa al riconoscimento dei figli di persone tra le quali esiste un vincolo di parentela in linea retta all’infinito o in linea collaterale nel secondo grado o di affinità in linea retta; con l’estensione degli effetti del riconoscimento ai parenti del genitore che ha proceduto al riconoscimento; nonché infine con la radicale innovazione dell’art. 276 cod. civ., con la quale si è consentito l’accertamento dello status filiale in sede di dichiarazione giudiziale di paternità o maternità anche nell’ipotesi in cui sia morto non solo il presunto genitore ma anche i suoi eredi. Le innovazioni sopra illustrate presentano come elemento unificante la volontà legislativa di rimuovere gli ostacoli, i limiti ed i pregressi divieti all’accertamento della filiazione, in ossequio all’opzione legislativa di dare preminenza all’interesse del figlio verso la propria discendenza biologica, indipendentemente dalla natura del rapporto dal quale la filiazione è sorta e dal tempo trascorso dalla nascita o dal concepimento. Il fattore temporale e la stabilità dei rapporti, tuttavia, tornano ad assumere rilievo, per il legislatore della riforma, con riferimento alla proponibilità delle azioni rivolte all’effettivo accertamento degli status filiali da parte dei soggetti legittimati diversi dal figlio. Viene in tal modo protetto l’interesse del figlio alla conservazione delle situazioni preesistenti circoscrivendo temporalmente il diritto all’accertamento da parte degli altri legittimati ma, allo stesso tempo, per quest’ultimo il legislatore ha tendenzialmente cercato di rimuovere ogni impedimento all’esercizio dei diritti connessi alla filiazione e alla nuova configurazione della parentela, (sull’applicabilità immediata della norma relativa all’imprescrittibilità dell’azione di disconoscimento di paternità da parte del figlio cfr. anche Cass. 14557 del 2014).

Il legislatore delegato, con l’art. 104 settimo comma, ha espressamente esteso anche alle innovazioni normative di carattere sostanziale contenute nella legge delega, il principio della loro applicabilità immediata ai rapporti preesistenti. Al riguardo non deve trarre in inganno il riferimento testuale alle ‘disposizioni del codice civile relative al riconoscimento dei figli’ al fine di ritenere che il comma trovi applicazione solo per le nuove norme contenute nel capo IV, del titolo VII del libro I, con esclusione dell’art. 276 cod. civ. perché contenuto nel successivo capo V. Il rinvio deve intendersi effettuato in senso ampio e non meramente testuale come riferito a tutte le norme sostanziali che hanno, peraltro coerentemente ed uniformemente, innovato la disciplina delle azioni relative agli status filiali, espandendo il diritto di agire in giudizio per il figlio. Peraltro, l’inclusione dell’art. 276 cod. civ. nell’ambito di applicazione del settimo comma dell’art. 104 d.lgs n. 154 del 2013 risulta l’unica costituzionalmente sostenibile, creandosi, nell’ipotesi una disparità di regime transitorio del tutto ingiustificata in quanto relativa soltanto a tale norma.

Deve, inoltre, osservarsi che l’applicabilità della norma ai rapporti preesistenti non coperti da giudicato non può essere esclusa dalla pendenza di un giudizio. I rapporti sub judice costituiscono una rappresentazione tipica di situazioni giuridiche non coperte da giudicato. Al riguardo risulta del tutto superabile l’argomento testuale secondo il quale soltanto nel comma sesto dell’art. 104 è contenuto un espresso riferimento ai giudizi pendenti. La disposizione riguarda la petizione di eredità ed afferma l’estensione della nuova norma sulla parentela (art. 74) ai giudizi pendenti. L’adeguamento è imposto dalla volontà di estendere la legittimazione ad agire nelle azioni ex art. 533 cod. civ., anche ai giudizi pendenti, in considerazione della peculiarità e della tendenziale complessità dell’accertamento giurisdizionale proprio di tali giudizi, non dalla volontà legislativa d’individuare l’unica esclusiva ipotesi di estensione della novella ai giudizi pendenti. (Cass.14577 del 2014). Questo richiamo, peraltro, come osservato, non incide sul significato univoco, sotto il profilo semantico e giuridico-formale dell’espressione ‘giudicato’, da intendersi come diretto in via esclusiva a definire l’intangibilità di una decisione giudiziale e conseguentemente a richiamare univocamente la pendenza del procedimento, prima del suo formarsi (Cass.14577 del 2014).

Nessun rilievo, pertanto, riveste la questione della natura sostanziale o processuale dell’art. 276 cod. civ. L’applicabilità ai giudizi pendenti deriva come per le altre norme e disposizioni richiamate dall’art. 104, (riguardanti in particolare l’estensione dell’art. 74 ai diritti successori e alle azioni relative allo status filiationis) dall’individuazione legislativa dell’esclusivo limite applicativo costituito dal giudicato formatosi prima del 1/1/2013. All’interno di questo confine applicativo le nuove norme operano anche sui giudizi pendenti. Peraltro l’art. 276 cod. civ., così come le altre norme relative allo status filiationis richiamate nell’art. 104 sono sostanziali perché incidono direttamente sulla titolarità e l’esercizio dei diritti relativi ad esso ma si riverberano sulla legittimazione ad agire e sul regime temporale di esercizio delle azioni, così rivestendo una funzione di natura processuale. Peraltro l’esclusione dell’immediata applicabilità è stata prevista, come già osservato, solo per una specifica norma di natura esclusivamente processuale della l. n. 219 del 2012, in quanto relativa al nuovo assetto della competenza per materia tra tribunale ordinario e per i minorenni (art. 4 l. n. 219 del 2012).

L’accoglimento dei primi due motivi di ricorso e la conseguente applicabilità immediata ai giudizi pendenti dell’art. 276 cod. civ. impone di affrontare la questione relative alla natura giuridica della nomina e della partecipazione in giudizio del curatore speciale anche al fine di verificare se debba essere disposto rinvio al giudice di primo grado o alla Corte d’Appello. Al riguardo deve osservarsi che la partecipazione del curatore speciale è necessaria dal momento che non può essere accertato il diritto al riconoscimento giudiziale della paternità o maternità quando non vi siano eredi del presunto genitore senza la preventiva nomina e partecipazione al giudizio del predetto curatore, mentre gli eredi degli eredi possono soltanto intervenire in giudizio. Essa costituisce, di conseguenza, condizione ineludibile per l’accertamento della discendenza biologica, da ritenersi un elemento costitutivo dell’identità personale. Ne consegue che, nell’ipotesi, in cui il genitore o i suoi eredi diretti manchino fin dall’instaurazione del giudizio, come nella specie, il curatore speciale non può che ritenersi una parte necessaria. La norma, peraltro, prevede che debba essere nominato (in via esclusiva) dal giudice davanti al quale il giudizio ‘deve essere promosso’. Tale organo giudiziario, di conseguenza, non può che essere individuato, anche con riferimento al caso di specie, nel giudice di primo grado, dovendo configurarsi, la predetta nomina come un adempimento cui esso è tenuto in via esclusiva. Deve osservarsi al riguardo che nel procedimento rivolto alla dichiarazione di adottabilità la nomina del curatore speciale del minore, quando necessaria, per difetto di rappresentanza legale o per la virtuale situazione di conflitto d’interessi che può determinarsi anche nei confronti del tutore, deve essere disposta fin dall’inizio del giudizio di primo grado svolgendo una funzione preventiva rispetto alla realizzazione completa della garanzia del contraddittorio. (cfr. Cass. 10228 del 2009, nella quale la Corte riscontrata la mancata nomina del curatore speciale, ritenuta doverosa anche alla luce della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo e dell’art. 6 CEDU oltre che del canone costituzionale della protezione dell’infanzia ha rimesso ex art. 383, terzo comma, cod. proc. civ., la causa la giudice di primo grado per la nomina).

A tale soluzione non osta il rilievo, meramente fenomenico e contingente, della mancanza, nel procedimento pendente, di altre parti necessarie, dal momento che peraltro, nella specie, l’evocazione in giudizio di (quanto meno) alcuni degli eredi degli eredi ha determinato l’esistenza di un litisconsorzio processuale, attestato anche dal provvedimento con il quale il giudice istruttore aveva disposto l’integrazione del contraddittorio ex art. 107 cod. proc. civ..

Non può ritenersi, infine, che la mancata nomina del curatore integri un mero vizio processuale, sanabile dal giudice d’appello, non potendo, la mancanza fin dall’inizio della parte necessaria al fine di ottenere il riconoscimento del diritto azionato, essere equiparata alla successione a titolo universale ex art. 110 cod. proc. civ. conseguente all’insorgere di un evento interruttivo nel procedimento pendente. (Cass. 5189 del 2011).

Gli altri motivi del ricorso principale e quelli del ricorso incidentale sono, di conseguenza assorbiti.

In conclusione il ricorso deve essere accolto. Il giudizio deve essere dichiarato nullo e, ai sensi dell’art. 383, terzo comma cod. proc. civ. la causa deve essere rimessa al giudice di primo grado, perché provveda a disporre la nomina e la partecipazione al procedimento del curatore speciale ex art. 276 cod. civ., fermo restando il diritto d’intervenire delle parti convenute costituite.

Il giudice di primo grado dovrà attenersi al seguente principio di diritto:

L’art. 276 cod. civ. così come modificato dalla l. n. 219 del 2012 è applicabile ai giudizi pendenti alla data del A 1/1/2013. La mancata nomina del curatore speciale, così come richiesta dalla norma attualmente vigente, determina la necessità della rimessione della causa al giudice di primo grado.

P.Q.M.

La Corte, accoglie i primi due motivi del ricorso principale. Assorbiti gli altri motivi del ricorso principale ed incidentale. Cassa la sentenza impugnata e ai sensi dell’art. 383, terzo comma, cod. proc. civ. rimette la causa davanti al Tribunale di Firenze in diversa composizione.

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