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SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE I

SENTENZA 19 settembre 2013, n. 38699


Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 20 settembre 2011, la Corte d’appello di Brescia ha confermato la sentenza del 17 novembre 2010 del G.u.p. del Tribunale di Bergamo, che, all’esito del giudizio abbreviato, aveva dichiarato B.V. colpevole dei reati di detenzione illegale di arma comune da sparo (marca Smith & Wesson, 357 magnum, matricola …) e del relativo munizionamento consistente in cinquanta proiettili blindati, del reato di ricettazione della detta arma oggetto di furto commesso il 13 dicembre 2009, in Manerbio, in danno di Be.Gi. , e del reato di minaccia grave, continuata e aggravata dall’uso dell’arma in danno di Br.Fe.Mo. , e l’aveva condannato, riuniti i reati nel vincolo della continuazione e operata la riduzione per il rito, alla pena di anni quattro di reclusione e di Euro mille di multa, con la confisca delle munizioni in sequestro e la restituzione dell’arma al suo proprietario.

1.1. La Corte, richiamata la descrizione dei fatti contenuta negli stessi capi d’imputazione e sviluppata nella parte narrativa della sentenza di primo grado, e sintetizzati i motivi di appello, rilevava, a ragione della decisione, che:

– l’imputato aveva chiesto l’assoluzione dal reato di ricettazione di cui al capo b), deducendo che occorreva un quid pluris rispetto al furto o all’impossessamento dell’arma, rappresentato dalla cancellazione della relativa matricola, dimostrativa della sua provenienza delittuosa;

– il precedente giurisprudenziale di questa Corte del 15 maggio 1992, richiamato dall’imputato a conferma della sua deduzione, aveva solo affermato che il delitto presupposto, nel delitto di ricettazione di arma, poteva essere vario, e quindi potevano esserlo il furto o la cancellazione del numero di matricola dell’arma;

– non poteva sostenersi la mancanza del dolo perché l’imputato, adulto e pregiudicato, doveva chiedersi, avendo trovato, come assumeva, l’arma abbandonata, a chi la stessa, che aveva il numero di matricola, fosse appartenuta, e portarla senza indugio alla più vicina autorità;

– la circostanza che l’imputato si era avvalso della facoltà di non rispondere aveva inoltre consentito che la ricostruzione del fatto fosse avvenuta senza la sua fattiva collaborazione.

1.2. Secondo la Corte, la ricettazione non poteva essere attenuata ai sensi dell’art. 62 n. 4 cod. pen., né ai sensi dell’art. 648, comma 2, cod. pen., avuto riguardo alla micidialità e tecnologia dell’arma.

La pena inflitta in primo grado era del tutto adeguata ai fatti e alla personalità del loro autore e gli aumenti applicati alla pena base in continuazione erano congrui, non eccessivi, proporzionati alla gravità dei fatti e attestati sul minimo nello ‘spettro di dosimetria appropriato per i fatti commessi’.

2. Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione personalmente B.V. , che ne chiede l’annullamento sulla base di tre motivi.

2.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia inosservanza e/o erronea applicazione di legge, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., e mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., con riguardo all’affermazione della sua responsabilità penale in relazione al reato di ricettazione.

Secondo il ricorrente, egli, non avendo realizzato la condotta di acquisto o di ricezione dell’arma, necessaria per l’integrazione del delitto di ricettazione, poiché ha dichiarato di avere trovato l’arma in strada a pochi chilometri dalla sua abitazione, non ne ha certamente occultato la presunta provenienza illecita cancellando la matricola e ha palesato la sua convinzione che l’arma era stata smarrita dal legittimo proprietario e non che era stato oggetto di furto o di altro reato contro il patrimonio.

Il numero di matricola, che l’ha reso sicuro della non illiceità della provenienza dell’arma, ha, ad avviso del ricorrente, valore indiziario a suo favore e non a suo discapito, dimostrando la mancanza da parte sua del dolo, anche nella forma eventuale, in difetto della rappresentazione della esistenza dei presupposti del reato come certa o come possibile, con accettazione della eventualità della loro stessa esistenza.

Anche l’intervallo temporale di cinque mesi tra la denuncia di furto dell’arma e il rinvenimento della stessa presso la sua abitazione senza la cancellazione della matricola conferma, secondo il ricorrente, l’assenza dell’elemento psicologico del reato.

2.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia inosservanza e/o erronea applicazione di legge, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., e mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., con riguardo al mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen. e/o dell’attenuante di cui all’art. 648, comma 2, cod. pen..

Secondo il ricorrente, gli elementi connotanti il reato di ricettazione nella forma attenuata hanno un contenuto non riferito solo al valore economico della res, dovendosi tenere conto, nel caso di specie, di altri elementi, quali il non occultamento della provenienza dell’arma nonostante il decorso di cinque mesi dal suo furto, la mancanza ab origine della rappresentazione della sua provenienza delittuosa e il suo avvenuto rinvenimento.

2.3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia inosservanza e/o erronea applicazione di legge, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., e mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., con riferimento alla omessa concessione delle attenuanti generiche, che trovano giusto fondamento nei rilievi svolti con riguardo alla configurabilità del reato di ricettazione, nel suo corretto comportamento processuale, a nulla rilevando la sua mancanza di ‘collaboratività’, per essersi avvalso della facoltà di non rispondere riconosciutagli dall’ordinamento, nel comportamento tenuto durante l’esecuzione della misura cautelare, nell’attività lavorativa reperita dopo la revoca dell’obbligo di presentazione alla P.G. e nella intervenuta revoca della querela per il reato di cui al capo e), pur perseguibile d’ufficio.

Considerato in dritto

1. Quanto al primo motivo, che attiene alla contestata affermazione della responsabilità penale del ricorrente per il reato di ricettazione dell’arma ascritto al capo b), si osserva che la Corte d’appello, con corretta interpretazione della previsione normativa dell’art. 648 cod. pen. e con coerente disamina delle risultanze processuali, ha ritenuto gli elementi emersi probativi della condotta illecita contestata all’imputato.

1.1. La Corte, logicamente dando conto dell’itinerario interpretativo percorso e rappresentando le ragioni significative della decisione adottata a fronte del compiuto vaglio delle deduzioni difensive, fatte oggetto dei motivi d’appello, ha osservato che il delitto presupposto del reato di ricettazione dell’arma può essere il più vario, non esaurendosi, come dedotto dall’appellante, nel reato di cancellazione del numero di matricola abrasa e comprendendo anche il furto o altro reato contro il patrimonio, in coerenza con i principi di diritto fissati da questa Corte, che ha rimarcato il dato testuale tratto dall’art. 648 cod. pen., che indica significativamente come caratteristica della res la provenienza da ‘qualsiasi’ delitto, intesa come derivazione della cosa da una condotta illecita della quale può costituire tanto il ‘profitto’ che il ‘prodotto’ (tra le altre, Sez. 1, n. 3527 del 23/01/1997, dep. 16/04/1997, Cardellicchio, Rv. 207227; Sez. 2, n. 11727 del 19/02/2008, dep. 14/03/2008, Donatello, Rv. 239769; Sez. 2, n. 41464 del 29/09/2009, dep. 28/10/2009, Zara, Rv. 244951), e ha puntualizzato che il termine ‘ricezione’ di cui all’art. 648 cod. pen. è comprensivo di qualsiasi possesso della cosa proveniente da reato, dovendosi intendere in tale senso il termine ‘acquisto’ che si ritrova nel testo del citato articolo, sì da configurarsi il reato di ricettazione anche nel caso di impossessamento da parte di un terzo di una cosa di origine furtiva, abbandonata dal ladro (Sez. 2, n. 9291 del 16/05/1991, dep. 13/09/1991, Pezzino, Rv. 187941; Sez. 2, n. 29956 del 24/06/2009, dep. 17/07/2009, Fiorello, Rv. 244672; Sez. 2, n. 1835 del 15/04/2010, dep. 12/05/2010, Barbaro, Rv. 247468).

1.2. Sulla base di tali corretti rilievi, la Corte ha esaustivamente rilevato l’erroneità dell’assunto difensivo, posto a base del rigetto della richiesta di assoluzione, riferito alla necessaria sussistenza di un quid pluris rispetto al furto o all’impossessamento dell’arma, e rappresentato dalla cancellazione della relativa matricola, dimostrativa della provenienza delittuosa dell’arma, e fondato sulla lettura di una massima giurisprudenziale di questa sezione del 15 maggio 1992, e ha ragionevolmente evidenziato che detta massima, nell’affermare che ‘il reato presupposto non si esaurisce soltanto in quello di furto o altro contro il patrimonio, ma comprende anche quello di cancellazione del numero di matricola dell’arma’, non ha detto altro che ‘il delitto presupposto – nel delitto di ricettazione di arma – può essere il più vario, non solo il furto ma anche quello di cancellazione del numero di matricola dell’arma’, come riaffermato nei successivi interventi giurisprudenziali, prima indicati.

1.3. La Corte, dando congrua risposta alla obiezione difensiva attinente alla mancanza del dolo nella condotta tenuta, ha inoltre rilevato che, seguendo la stessa prospettazione dell’appellante del ritrovamento per strada della pistola, nei confronti del medesimo, adulto, maturo e recidivo reiterato, era esigibile la condotta di interrogarsi responsabilmente sulla provenienza di un’arma dotata di numero di matricola e, in quanto riferibile a un individuabile proprietario, non considerabile cosa abbandonata, e di farne immediata consegna all’autorità più vicina, e ha evidenziato che lo stesso appellante, comportandosi diversamente, ha deliberatamente accettato il rischio di tenersi l’arma, compendio di delitto, poi sequestrata presso la sua abitazione, senza neppure darne alcuna contezza all’autorità, essendosi avvalso della facoltà di non rispondere.

Tale ricostruzione dell’elemento soggettivo, conforme nella valutazione operata dal giudice di merito alle regole della logica, è esatta in diritto.

Le sezioni unite di questa Corte hanno infatti stabilito, con condivisa recente decisione (Sez. U, n. 12433 del 26/11/2009, dep. 30/03/2010, Nocera, Rv. 246323), che l’elemento psicologico della ricettazione può essere integrato anche dal dolo eventuale, che è configurabile in presenza della rappresentazione da parte dell’agente della concreta possibilità della provenienza della cosa, acquistata o ricevuta, da delitto e della relativa accettazione del rischio, e che riguarda, oltre alla verificazione dell’evento, il presupposto della condotta, consistendo, in questo caso, nella rappresentazione della possibilità dell’esistenza del presupposto stesso e nell’accettazione dell’eventualità di tale esistenza.

1.4. Le svolte valutazioni, esenti da vizi logici e giuridici, resistono alle censure difensive, che, esprimendo un diffuso dissenso di merito rispetto alla decisione impugnata e non correlandosi alle ragioni, in diritto e in fatto, con la stessa articolate e illustrate in risposta agli argomenti difensivi, tendono a impegnare questa Corte in una inammissibile nuova lettura delle stesse risultanze processuali e in una, del pari inammissibile, revisione – in senso favorevole al ricorrente – delle valutazioni effettuate e delle conclusioni raggiunte dai Giudici di merito, incentrata sulla mancanza di occultamento della presunta provenienza illecita dell’arma, attraverso la cancellazione della matricola, al momento del ritrovamento della stessa da parte del ricorrente e a quello successivo del suo rinvenimento presso l’abitazione dello stesso, pur in presenza della contestazione della ricettazione in relazione alla detenzione illegale di arma di provenienza delittuosa, e non in relazione alla sua clandestinità.

1.5. Consegue la declaratoria di inammissibilità del primo motivo.

2. Del tutto destituito di fondamento è il secondo motivo, che attiene al mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen. e/o dell’attenuante di cui all’art. 648, comma 2, cod. pen., avendo la Corte d’appello logicamente rappresentato, con corretta applicazione delle norme di riferimento, la ‘micidialità e tecnologia’ dell’arma, a fondamento dell’opposto diniego, rispondendo ad analoga censura svolta con il secondo motivo d’appello, e affidando il ricorrente i suoi rilievi difensivi, dopo il generico richiamo ai principi di diritto affermati in questa sede, alla sua già proposta diversa lettura e analisi della vicenda, invasive di un ambito fattuale estraneo al giudizio di legittimità, e già valutate come non incidenti sull’espresso giudizio di responsabilità.

3. Le deduzioni che attengono alla contestata mancata concessione delle attenuanti generiche, svolte con il terzo motivo, sono precluse ai sensi dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen., non avendo formato oggetto dei motivi di appello avverso la sentenza di primo grado, che aveva ritenuto ostativi al riconoscimento di dette attenuanti ‘i precedenti penali e, più in generale, l’assenza di aspetti in qualche modo valorizzabili’.

Alla Corte d’appello, che, nei limiti del devolutum, ha ampiamente argomentato in ordine all’adeguatezza della pena, già attestata sui minimi edittali e sulla congruità dei contenuti aumenti in continuazione, e ha anche evidenziato che il contenuto aumento complessivo ha espresso l’intervenuto apprezzamento da parte del Giudice di primo grado, pur nella rilevata mancanza di elementi di meritevolezza per la concessione delle attenuanti generiche, di ‘ogni possibile elemento calmieratore presente in atti a favore dell’imputato’, non può, pertanto, addebitarsi alcuna carenza motivazionale su ragioni di censura non sottoposte alla sua valutazione.

Né la relativa questione – peraltro attinente al merito – può essere introdotta per la prima volta in questa sede.

4. Alla luce delle svolte considerazioni, il ricorso, per la inammissibilità o manifesta infondatezza dei motivi, deve essere dichiarato inammissibile.

Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma, ritenuta congrua, di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

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