Cassazione 3

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE I

SENTENZA 19 dicembre 2014, n. 26911

Motivi della decisione

 

II motivi di ricorso.

1.1. Con tutti e sette i motivi del proprio ricorso il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso che il Comune di Roccarainola abbia riconosciuto l’utilità dell’opera svolta dal professionista.

Più esattamente:

-) col primo motivo di ricorso il ricorrente assume che la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere insussistente la prova del riconoscimento della utilità dell’opera da parte del Comune; tale riconoscimento invece esisteva ed era rappresentato dalla delibera con la quale il Comune aveva inserito il credito del professionista tra i debiti fuori bilancio;

-) col secondo motivo di ricorso il ricorrente deduce che in ogni caso, anche a prescindere dalla delibera comunale, la prova dell’utilità della prestazione per la p.a. e del riconoscimento implicito di tale utilità da parte del Comune doveva desumersi da una serie di elementi di prova (tra cui l’esistenza del progetto approvato con delibera di giunta; l’utilizzazione del progetto per chiedere alla Regione un permesso di allacciamento; l’invio del progetto al Comitato di controllo), erroneamente trascurati dalla Corte d’appello;

-) col terzo motivo di ricorso il ricorrente deduce che la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere non provato il riconoscimento dell’utilità della prestazione da parte della P.A., perché: (a) la lettera del sindaco con la quale questi comunicava al professionista l’inserimento del suo credito tra i debiti fuori bilancio aveva fede privilegiata ex art. 2700 c.c.; (b) l’inserimento del credito tra i debiti fuori bilancio non era stato contestato dal Comune;

-) col quarto motivo di ricorso il ricorrente deduce che la Corte d’appello avrebbe errato nel non considerare che il Comune aveva riconosciuto il proprio debito, e che tale ricognizione di debito risultava dalla lettera del sindaco già ricordata, con la quale si informava il professionista che il suo debito era stato inserito fuori bilancio;

-) col quinto motivo di ricorso il ricorrente deduce che, avendo il Tribunale rigettato la domanda di arricchimento sul presupposto che non fosse provato il riconoscimento della utilitas da parte della p.a., si era per ciò solo formato il giudicato sull’effettivo svolgimento della prestazione professionale da parte dell’ingegnere;

-) col sesto motivo di ricorso il ricorrente deduce che la Corte d’appello avrebbe errato da un lato nel rigettare la domanda perché non provata; e dall’altro nel rigettare l’istanza di esibizione del progetto formulata dal professionista ex art. 210 c.p.c. nei confronti del Comune;

-) col settimo motivo di ricorso il ricorrente deduce che la Corte d’appello ha adottato una motivazione illogica da un lato rigettando l’istanza di prova per testi che il contratto fosse stato concluso, che l’opera fosse stata eseguita e che la p.a. ne avesse tratto utilità; e dall’altro ritenuti non provati i presupposti dell’azione di arricchimento.

1.2. Tutti i motivi possono essere esaminati congiuntamente, e vanno dichiarati infondati per due ragioni assorbenti e preliminari.

1.3. La prima ragione è che il contratto stipulato dal ricorrente col Comune di Roccarainola è nullo per difetto di forma scritta, e tale nullità non può essere sanata dal riconoscimento dell’utilità della prestazione da parte della p.a..

1.4. E’ stato, infatti, lo stesso ricorrente ad ammettere che il contratto da lui stipulato col Comune di Roccarainola non aveva forma scritta.

La stipula con la pubblica amministrazione di un qualsiasi contratto privo della forma scritta è nulla, e tale nullità non può essere sanata attraverso il riconoscimento, da parte della amministrazione committente, dell’utilità della prestazione ricevuta.

Questa Corte, al riguardo, con orientamento ormai consolidato ha già stabilito che “il riconoscimento di un debito fuori bilancio, ai sensi dell’art. 37 del d.lgs. 25 febbraio 1995, n. 77, costituisce un procedimento discrezionale che consente all’ente locale di far salvi, nel proprio interesse, gli impegni di spesa in precedenza assunti tramite specifica obbligazione, ancorché sprovvista di copertura contabile, ma non ha la funzione di introdurre una sanatoria per i contratti nulli o, comunque, invalidi – come quelli conclusi senza il rispetto della forma scritta ‘ad substantiam’ – né apportare una deroga al regime di inammissibilità dell’azione di indebito arricchimento di cui all’art. 23 del d.l. 2 marzo 1989, n. 66, convertito, con modificazioni, nella legge 24 aprile n. 144” (Sez. 1, Sentenza n. 25373 del 12/11/2013, Rv. 629076).

Da ciò consegue che mentre la nullità derivante dall’adozione d’una delibera di conferimento dell’incarico professionale non accompagnata dall’attestazione della necessaria copertura finanziaria può essere sanata attraverso la ricognizione postuma di debito da parte dell’ente locale, ai sensi dell’art. 24 del decreto-legge 2 marzo 1989, n. 66 (convertito, con modificazioni, nella legge 24 aprile 1989, n. 144), poi seguito dal d.lgs. n. 267 del 2000 (art. 191 e 194), tale dichiarazione, per contro, non rileva e non può avere alcuna efficacia sanante ove il contratto stipulato dalla P.A. sia privo della forma scritta (Sez. 3, Sentenza n. 27406 del 18/11/2008, Rv. 605528).

1.5. Nel caso di specie, pertanto, la nullità del contratto stipulato tra l’ing. P.G.A. ed il Comune di Roccarainola, in quanto privo di forma scritta, non può essere in alcun modo sanata dal riconoscimento dell’utilità della prestazione da parte della amministrazione comunale: sicché resta irrilevante nel presente giudizio se la Corte d’appello abbia o meno correttamente escluso la sussistenza della prova di tale riconoscimento.

1.6. La seconda ragione preliminare ed assorbente di infondatezza del ricorso è che l’azione di ingiustificato arricchimento è una azione residuale, accordata dall’orientamento quando l’impoverito non disponga di alcun strumento giuridico a tutela della propria pretesa.

Tale presupposto non sussiste nel caso di spese fuori bilancio dei Comuni (e, più in generale, degli enti locali).

1.7. Giova ricordare, a tal fine, come il legislatore, per porre limite ad una preoccupante crescita delle spese degli enti locali, nel 1989 stabilì che “nel caso in cui vi sia stata l’acquisizione [da parte dell’ente locale] di beni o servizi in violazione dell’obbligo indicato nel comma 3 [e cioè senza la deliberazione autorizzativa né l’impegno contabile registrato sul competente capitolo del bilancio di previsione], il rapporto obbligatorio intercorre, ai fini della controprestazione e per ogni altro effetto di legge tra il privato fornitore e l’amministratore o il funzionario che abbiano consentita la fornitura. Detto effetto si estende per le esecuzioni reiterate o continuative a tutti coloro che abbiano reso possibili le singole prestazioni” (art. 23, comma 4, d.l. 2.3.1989 n. 66, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, I. 24 aprile 1989, n. 144).

Successivamente, tale norma venne abrogata dall’art. 123, comma 1, lettera (n), d. Igs. 25 febbraio 1995, n. 77 (recante “Ordinamento finanziario e contabile degli enti locali”), e sostituita dall’art. 35, comma 4, dello stesso decreto, il quale ha introdotto in subiecta materia una importante novità, vale a dire la possibilità per l’ente locale di riconoscere, con deliberazione consiliare, la legittimità dei debiti fuori bilancio derivanti da acquisizioni di beni o servizi non autorizzate, “nei limiti degli accertati e dimostrati utilità ed arricchimento per l’ente, nell’ambito dell’espletamento di pubbliche funzioni e servizi di competenza”.

La legge è passata quindi da un sistema di “irresponsabilità assoluta” della p.a., nel caso di assunzione di beni o servizi non regolarmente deliberate, ad un sistema di “irresponsabilità relativa”, nel quale a determinate condizioni la p.a. poteva decidere di “riconoscere” il debito fuori bilancio. L’ultima tappa dell’evoluzione normativa in subiecta materia è rappresentata dall’approvazione del testo unico sugli enti locali (d.lgs. 18.8.2000 n. 267), il cui art. 191 ha stabilito che “nel caso in cui vi è stata l’acquisizione di beni e servizi in violazione dell’obbligo indicato nei commi 1, 2 e 3 [e cioè in assenza dell’impegno contabile registrato sul competente capitolo del bilancio di previsione e l’attestazione della copertura finanziaria], il rapporto obbligatorio intercorre, ai fini della controprestazione e per la parte non riconoscibile ai sensi dell’articolo 194, comma 1, lettera e), tra il privato fornitore e l’amministratore, funzionario o dipendente che hanno consentito la fornitura. Per le esecuzioni reiterate o continuative detto effetto si estende a coloro che hanno reso possibili le singole prestazioni”. Il successivo art. 194, comma 1, lettera (e), stabilisce poi che gli enti locali, con apposita deliberazione, possono riconoscere la legittimità dei debiti fuori bilancio derivanti da “acquisizione di beni e servizi, in violazione degli obblighi di cui ai commi 1, 2 e 3 dell’articolo 191, nei limiti degli accertati e dimostrati utilità ed arricchimento per l’ente, nell’ambito dell’espletamento di pubbliche funzioni e servizi di competenza”.

Il credito di chi ha fornito la prestazione od il servizio nei confronti della p.a. sussiste dunque direttamente nei confronti del funzionario. Questi, ove manchino i necessari adempimenti formali per la validità dell’impegno di spesa assunto dalla p.a., ne risponderà in proprio verso il privato fornitore. L’insorgenza del rapporto obbligatorio direttamente tra il fornitore e l’amministratore o il funzionario che abbia consentito la prestazione comporta l’impossibilità di esperire nei confronti del Comune l’azione di arricchimento senza causa, stante il difetto del necessario requisito della sussidiarietà. Pertanto, dopo l’introduzione della normativa sopra riassunta, la questione del riconoscimento dell’utilità della prestazione può porsi di regola solo allorché siano il funzionario o l’amministratore responsabili verso il privato a proporre l’azione di cui all’art. 2041 cod. civ. nei confronti della P.A. (così, testualmente, Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 1391 dei 23/01/2014, Rv. 629726; nello stesso senso, ex multis, Sez. 1, Sentenza n. 12880 del 26/05/2010, Rv. 613213).

Le spese.

Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico dei ricorrente, ai sensi dell’art. 385, comma 1, c.p.c..

P.Q.M.

la Corte di cassazione:

-) rigetta il ricorso;

-) condanna P.G.A. alla rifusione in favore del Comune di Roccarainola delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano nella somma di euro 5.600, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A. ed accessori di legge.

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