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La massima
Grava sulla parte che richieda, per l’inosservanza dell’obbligo di fedeltà, l’addebito della separazione all’altro coniuge l’onere di provare la relativa condotta e la sua efficacia causale nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza; mentre, é onere di chi eccepisce l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda, e quindi dell’infedeltà nella determinazione dell’intollerabilità della convivenza, provare le circostanze su cui l’eccezione si fonda, vale a dire l’anteriorità della crisi matrimoniale all’accertata infedeltà.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE I

SENTENZA 19 dicembre 2012, n. 23426

 

Ritenuto in fatto

N.S., con ricorso del marzo 1999, chiedeva al Tribunale di Barcellona PG di pronunciare la separazione giudiziale dalla moglie M.F.C., con cui aveva contratto matrimonio il 18 aprile 1964, con addebito alla stessa, attribuzione a proprio favore dell’assegno di mantenimento ed assegnazione della casa coniugale. Analoga domanda svolgeva in via riconvenzionale la convenuta, ed il Tribunale adito, can sentenza del 24.7.2007, accoglieva la domanda di separazione disponendo il rigetto delle altre domande.
La C. impugnava la sentenza innanzi alla Corte d’appello di Messina per dolersi dell’accoglimento della domanda di separazione fondata dal primo giudice sull’intervenuta riconciliazione, protrattasi dal 1986 al 1989, che aveva posto nel nulla una precedente separazione; del mancato addebito della separazione al coniuge, dovendo la crisi coniugale ascriversi alle sue numerose relazioni extraconiugali ed al manifestato disinteresse per 1a famiglia legittima; infine del rigetto della domanda d’attribuzione dell’assegno di mantenimento.
La Corte territoriale con sentenza n. 75 depositata il 2 febbraio 2009 ha respinto il gravame.
M.F.C. ha infime proposto avverso questa decisione ricorso per cassazione affidandolo a tre motivi resistiti dallo S. con controricorso.
Il P.G. ha rassegnato le sue conclusioni chiedendo l’accoglimento del primo motivo ed il rigetto dei restanti.
Il collegio ha disposto farsi luogo a motivazione semplificata.

Motivi della decisione

1. – La ricorrente deduce violazione degli artt. 143 e 151 c.c. in riferimento all’art. 360 n. 3 c.p.c..

L’errore ascritto alla Corte del merito risiederebbe nel rigetto della domanda di addebito della separazione a carico del coniuge per la rilevata insufficienza delle circostanze incontroverse dedotte a sostegno, rappresentate dalla deprecabile condotta posta in essere da predetto, consistita nell’abbandono del tetto coniugale, nel disinteresse per la famiglia legittima, nelle numerose relazioni adulterine in costanza di matrimonio, da cui sono nati due figli. In particolare la Corte del merito avrebbe fatto malgoverno del dettato dell’art. 143 .c. che impone l’obbligo di fedeltà, la cui violazione, peraltro nella specie reiterata, rappresenta indiscutibile causa d’addebito della crisi matrimoniale, e sarebbe incorsa peraltro in ulteriore errore per aver ritenuto irrilevante l’abbandono del tetto coniugale da parte del coniuge, seppur si tratti di circostanza decisiva ai fini dell’ascrivibilità dell’addebito della separazione. Il conclusivo quesito di diritto chiede se, tenuto conto del motivo formulato, la Corte d’appello abbia violato gli artt. 143 e 151 c.c. nel non addebitare la separazione allo S. in considerazione della condotta deprecabile posta in essere dallo stesso, palesemente contraria ai doveri verso il coniuge e i figli.

Il resistente chiede il rigetto della censura.

Il motivo è inammissibile. Va rilevato anzitutto che i1 quesito di diritto è formulato con palese genericità che lo rende inidoneo alla funzione predicata dall’art. 366 bis c.p.c., risolvendosi in astratta affermazione di principio.

A lume di consolidato orientamento nel caso in cui il quesito sia inerente ad una censura in diritto “dovendo assolvere alla funzione di integrare il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale, non può essere meramente generico e teorico, ma deve essere calata nella fattispecie concreta, per mettere la Corte in grado di poter comprendere dalla sua sola lettura, l’errore asseritamene compito dal giudice di merito e la regola applicabile. Ne consegue che esso non può consistere in una semplice richiesta di accoglimento del motivo ovvero nel mero interpello della Corte in ordine alla fondatezza della propugnata petizione di principio o della censura così come illustrata nello svolgimento del motivo” (da ultimo e per tutte Cass. n. 3530/2012). La censura espressa nel motivo comunque neppure coglie nel segno. La Corte distrettuale ha rilevato che la ricorrente non aveva assolto all’onere di provare che le circostanze addotte a sostegno si riferissero ad epoca antecedente alla crisi coniugale e comunque l’abbandono del tetto coniugale da parte dello S. non era rilevante costituendo conseguenza e non causa della crisi. Ha dunque definito la questione controversa a lume della stessa regola che la ricorrente asserisce violata, reputandola inapplicabile alla fattispecie esaminata per la riscontrata carenza istruttoria. La critica dalla ricorrente è eccentrica a questo percorso logico.

2. – La ricorrente denuncia violazione dell’art. 2697 c.c. in relazione all’affermazione della Corta Territoriale secondo cui incombeva a suo carico l’onere di provare le circostanze che avevano determinato la crisi della coppia, seppur fossero incontestate le relazioni extraconiugali dello S. sul quale, di contro, gravava l’onere di provare che tale condotta fosse stata determinata dalla crisi coniugale già in atto. Chiede con conclusivo quesito di diritto se la Corte d’appello abbia violato l’art. 2697 c.c. reputandola onerata della prova di fatti incontestati ovvero se il coniuge era tenuto a provare che la crisi aveva provocato la relazione extraconiugale.

Il resistente deduce l’infondatezza del mezzo.

Il motivo è inammissibile. Non coglie infatti la ratio fondante la statuita reiezione della domanda d’addebito, incentrata sull’assenza di prova dell’indefettibile nesso causale tra la violazione dei doveri sanciti nelle disposizioni richiamate, pacificamente riscontrati, e la rottura del vincolo matrimoniale tra le parti in causa, della cui dimostrazione era onerata l’attrice. Travisandone il senso, la ricorrente prospetta come incontestata la sussistenza del suddetto nesso causale, laddove, ad avviso della Corte del merito era invece incontroverso il solo comportamento dello S., sicuramente contrario ai suoi doveri coniugali, ma nondimeno inidoneo ex se, seppur riprovevole, a rappresentare causa fondante l’addebito. Tanto meno il mezzo in esame smentisce la correttezza dell’applicato governo dell’onere probatoria in ordire al riscontro del nesso causale tra la violazione dei doveri coniugali consumata dallo S. e la crisi matrimoniale, di cui i1 giudice d’appello ha fatto buon governo conformandosi a consolidato orientamento (Cass. nn. 25618/2007, 2059/2012) secondo cui “grava sulla parte che richieda, per l’inosservanza dell’obbligo di fedeltà, l’addebito della separazione all’altro coniuge l’onere di provare la relativa condotta e la sua efficacia causale nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, mentre, é onere di chi eccepisce l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda, e quindi dell’infedeltà nella determinazione dell’intollerabilità della convivenza, provare le circostanze su cui l’eccezione si fonda, vale a dire l’anteriorità della crisi matrimoniale all’accertata infedeltà” (Cass. n. 2059/2012). Ad avviso della Corte d’appello, infatti, l’odierna ricorrente non ha offerto siffatta dimostrazione, né per l’effetto il coniuge, che pur ha ammesso l’infedeltà, era tenuto ad assolvere al proprio contrario onere probatorio.

3. – Con l’ultimo motivo la ricorrente denuncia infine la violazione degli artt. 147 e 148 c.c. in riferimento all’art. 360 n. 3 c.p.c. per dolersi dell’omessa attribuzione dell’assegno di mantenimento in favore suo e dei figli, in ragione del fatto che questi avevano raggiunto l’indipendenza economica ed adducendo la mancata prova dello squilibrio tra le rispettive condizioni dei coniugi. Soggiunge che l’obbligo di mantenere i figli non cessa col raggiungimento della maggiore età, ma perdura finché essi non abbiano raggiunto un livello d’indipendenza economica; nella specie lo S. versava infine nella condizione di maggior favore, disponendo di risorse maggiori. Il conclusivo quesito di diritto chiede se sia ravvisabile la dedotta violazione di legge per non aver la Corte territoriale attribuito assegno di mantenimento per se e per i figli né assegnato la casa coniugale.

Anche di questo motivo il resistente chiede il rigetto.

Il motivo merita la sorte dei precedenti. La decisione impugnata si fonda sulla rilevata assenza della prova, di cui era onerata la parte interessata, dello squilibrio patrimoniale tra i coniugi e della inadeguatezza del reddito della richiedente l’assegno a mantenere il pregresso tenore di vita mantenuto in costanza di matrimonio. Quanta alla prole, il primo figlio, dell’età di 44 anni, era articolista e quindi percepiva un proprio reddito, l’altra, di anni 37, era diplomata al conservatorio ed aveva concrete prospettive di lavoro. In assenza di figli minori o non autosufficienti, l’assegnazione della casa coniugale alla richiedente non trovava infine giustificazione.

La ricorrente, quanto all’assegno di mantenimento, critica la valutazione dei riferiti elementi probatori vagliati dal collegio, mirando in sostanza alla loro rivisitazione e sollecitandone nuova lettura in tesi corretta e comunque più favorevole, che in questa sede è però preclusa. In ordine all’assegnazione della casa coniugale non smentisce la correttezza in ordine della decisione, conforme a consolidato orientamento secondo cui il potere del giudice d’assegnare la casa familiare in caso di separazione personale al coniuge che non vanti alcun diritto di godimento (reale o personale) sull’immobile, “ha carattere eccezionale ed è dettata nell’esclusivo interesse della prole” e non può essere perciò esercitata in assenta di figli affidati minori o maggiorenni non autosufficienti conviventi (per tutte Cass. n. 1491/2011).

Tutto ciò premesso, il ricorso deve esser dichiarato inammissibile con condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta i1 ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio in € 1.200,00 di cui € 1.000,00 per compenso, oltre accessori.

Ai sensi del D.Lgs n. 196 del 2003, art. 52, comma 5, in caso di diffusione della presente sentenza si devono omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.

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