Suprema Corte di Cassazione
sezione I
sentenza 18 maggio 2015, n. 20485
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SIOTTO Maria Cristina – Presidente
Dott. VECCHIO Massimo – Consigliere
Dott. CASA Filippo – Consigliere
Dott. BONI Monica – rel. Consigliere
Dott. MAGI Raffaello – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);
avverso il decreto n. 34146/2013 GIUD. SORVEGLIANZA di MILANO, del 22/11/2013;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI;
lette le conclusioni del PG Dott. Salzano Francesco, che ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 22 novembre 2013 il Magistrato di Sorveglianza di Milano dichiarava non luogo a provvedere in ordine al reclamo proposto dal detenuto (OMISSIS) avverso la determinazione della Direzione della casa circondariale presso la quale egli era ristretto, ritenendo che le indicazioni dalla stessa fornite fossero esaustive anche quanto alla risoluzione dei problemi segnalati dal reclamante.
2. Avverso detto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione l’interessato personalmente per chiederne l’annullamento per:
a) essere lo stesso privo di motivazione, in quanto non aveva considerato che egli, nonostante le richieste avanzate, nel periodo tra il 14/9/2013 ed il 26/10/2013 aveva potuto fruire di soli settanta minuti di conversazione telefonica con il proprio difensore di fiducia contro i 240 richiesti in varie occasioni scaglionate nel tempo, in violazione del disposto dell’articolo 104 c.p.p.; le difficolta’ organizzative dell’istituto penitenziario erano dipendenti dal fatto di consentire i colloqui telefonici soltanto nei giorni di mercoledi’ e sabato per un arco temporale limitato dalle ore 9.00 alle ore 12.30 e detti inconvenienti avrebbero potuto essere ovviati ampliando i giorni e gli orari di effettuazione delle comunicazioni;
b) non era stato riportato il contenuto della nota della Direzione della casa circondariale del 21/11/2013, ne’ erano specificate le ragioni di condivisione di quanto in essa riferito, in violazione degli obblighi riconosciuti anche dalla giurisprudenza di legittimita’ e del disposto dell’articolo 125 c.p.p. e articolo 111 Cost..
3. Anche il difensore dell’interessato ha proposto ricorso con il quale ha lamentato l’assoluta mancanza di motivazione, la violazione dell’articolo 125 c.p.p., n. 3 e dell’articolo 104 c.p.p. in dispregio del diritto di difesa. Ha quindi dedotto che il legittimo ricorso alla motivazione “per relationem” e’ condizionato alla conoscenza o conoscibilita’ dell’atto richiamato, requisito non sussistente nel caso in esame, nel quale non era dato nemmeno comprendere per quali ragioni il Magistrato di Sorveglianza avesse condiviso quanto esposto dalla Direzione dell’istituto; pertanto, la motivazione si era esaurita in mere formule di stile e in frasi apodittiche dal momento che gli inconvenienti segnalati col reclamo non erano stati affatto risolti con una disciplina piu’ permessiva del regime dei colloqui col difensore, come del resto consentito in altre strutture penitenziarie.
3. Con requisitoria scritta depositata il 18 novembre 2014 il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, Dr. Francesco Salzano, ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata, condividendo i motivi di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso e’ fondato nei limiti in seguito specificati.
1. E’ opportuno evidenziare come la Corte Costituzionale con la sentenza nr. 26 dell’11/2/1999, – i cui principi sono stati ribaditi dalla pronuncia nr. 526 del 22/11/2000 -, sia intervenuta a dichiarare l’incostituzionalita’ dell’articolo 35 della legge di ordinamento penitenziario per la mancata previsione di strumenti di tutela giurisdizionale, esperibili nei confronti degli atti dell’Amministrazione penitenziaria lesivi di diritti dei detenuti, titolari per effetto dell’articolo 2 Cost. – come coloro in stato di liberta’ – di posizioni giuridiche soggettive non disconoscibili, ne’ comprimibili per il solo fatto di essere il loro titolare sottoposto a restrizione carceraria, non comportante una sottoposizione generalizzata al potere dell’istituzione penitenziaria di adottare in via discrezionale misure speciali, incidenti sulle modalita’ del trattamento o comunque sulla gestione ordinaria delle condizioni di vita inframurarie. Pertanto, il riconoscimento della titolarita’ di diritti deve tradursi nel potere di farli valere innanzi a un giudice in un procedimento di natura giurisdizionale, non potendosi esaurire la loro tutela nella possibilita’ di rivolgere istanze o sollecitazioni, suscettibili di trattazione al di fuori del sistema delle garanzie procedimentali. Con tale pronuncia la Consulta si e’ astenuta dal fornire indicazioni specifiche sul rimedio applicabile, sollecitando il legislatore ad un intervento che colmasse il vuoto normativo, invito che e’ rimasto inascoltato.
Al riguardo si sono, invece, espresse le Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 25079 del 26/02/2003, Gianni, rv. 224603, che, nel dirimere il contrasto insorto tra l’orientamento che pretendeva la lacuna colmabile soltanto dal legislatore e l’altro che riteneva dovesse essere fatto ricorso ad uno dei possibili mezzi di gravame, previsti dall’ordinamento penitenziario, oppure dal codice di rito, ha affermato che i provvedimenti dell’Amministrazione penitenziaria incidenti su diritti soggettivi, sono sindacabili in sede giurisdizionale con reclamo al magistrato di sorveglianza, che decide con ordinanza, impugnabile mediante ricorso per Cassazione, secondo la procedura disciplinata dalla Legge n. 354 del 1975, articolo 14 ter.
A tale linea interpretativa si e’ poi uniformata la successiva giurisprudenza di legittimita’ di questa Corte, secondo la quale, per poter individuare la rilevante lesione di un diritto soggettivo, e’ necessario indagare sulla tipologia di interesse che si assume leso e sulla regolamentazione normativa del potere esercitato dall’Amministrazione penitenziaria, sicche’ quando esso sia configurato come discrezionale il detenuto potra’ vantare soltanto un interesse legittimo ed attivare rimedi diversi dal reclamo, quali i ricorsi amministrativi o l’azione civile da proporre nelle sedi giudiziarie competenti (sez. 1, n. 21704 del 21/05/2008, Renna, rv. 239885; sez. 7, ord. n. 23379 del 12/12/2012, Lorusso, rv. 255490; sez. 7, ord. n. 23377 del 12/12/2012, Aparo, rv. 255489; sez. 1, nr. 767 del 15/11/2013, Attanasio, rv. 258398; sez. 1, nr. 9674 del 3/10/2013, Rotolo, rv. 259177).
2. Ebbene, alla luce dei principi sopra richiamati, ritiene questa Corte che il proposto reclamo per lamentare l’impedito esercizio del diritto di difesa in plurimi procedimenti penali, nei quali egli era imputato, per non avere potuto fruire di colloqui telefonici col legale, designato suo difensore, nella misura richiesta e pari a duecentoquaranta minuti, era ammissibile dal momento che il (OMISSIS) ha inteso far valere la lesione del proprio diritto soggettivo ad approntare una compiuta difesa mediante comunicazioni col proprio patrocinatore.
2.1 Il provvedimento impugnato ha declinato di prendere in esame il merito del reclamo sulla scorta di laconica ed insufficiente motivazione, con la quale ha richiamato il contenuto della nota, trasmessa dalla Direzione della Casa Circondariale di Milano Opera, ove il (OMISSIS) era ristretto, perche’ esaustiva nelle risposte date ai quesiti posti e nelle soluzioni apprestate agli inconvenienti segnalati. Ha pero’ del tutto omesso di specificare cosa avesse rappresentato l’amministrazione penitenziaria, i profili di idoneita’ e compiutezza dei chiarimenti resi sulla situazione denunciata dal reclamante e dei rimedi apprestati: tali carenze non consentono di comprendere l’iter logico-giuridico seguito e le ragioni della decisione.
S’impone dunque l’annullamento con rinvio al Magistrato di Sorveglianza di Milano del provvedimento impugnato.
Annulla il provvedimento impugnato e rinvia per nuovo esame al Magistrato di Sorveglianza di Milano.
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