La massima

La dichiarazione resa nell’atto pubblico dal coniuge non acquirente, ai sensi dell’art. 179, secondo comma, cod. civile, in ordine alla natura personale dell’immobile contestualmente acquistato, si atteggia diversamente a seconda che la personalità dell’acquisto dipenda dal pagamento con provvista proveniente dal prezzo del trasferimento di beni personali del coniuge acquirente, o invece dalla destinazione del bene all’uso personale o all’esercizio della professione propria di quest’ultimo. Nel primo caso, la dichiarazione riveste natura ricognitiva e portata confessoria dei presupposti di fatto già esistenti (la provenienza del denaro utilizzato per l’acquisto): con la conseguenza che l’azione di accertamento negativo della natura personale del bene postula la revoca della confessione stragiudiziale resa dall’altro coniuge, nei limiti in cui la stessa è ammessa dall’art. 2732 cod. civile, e cioè per errore di fatto o violenza. Laddove, nell’ipotesi alternativa la verifica dell’effettiva destinazione consente la prova contraria libera, indipendentemente dall’indagine sulla sincerità dell’intento manifestato.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE I CIVILE

SENTENZA 17 luglio 2012, n. 12197

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato il 18 novembre 2002 il sig. V.D.  conveniva dinanzi al Tribunale di Verona la propria moglie, signora S..T. , per ottenere la dichiarazione di separazione personale, con addebito ed assegnazione a sé dell’abitazione coniugale.

Costituitasi ritualmente, la signora T. svolgeva domanda riconvenzionale di addebito della separazione al coniuge per inadempimento dei doveri di fedeltà, coabitazione ed assistenza, chiedendo, a sua volta, l’assegnazione della casa coniugale ed un assegno di mantenimento di Euro 1.500,00.

Nel corso del giudizio veniva disposta la riunione ex art. 274 cod. proc. civ. con altro processo promosso dalla signora T. per l’accertamento della simulazione dell’atto di compravendita del terreno su cui era stato edificato il fabbricato adibito a casa coniugale, nella parte in cui conteneva la sua dichiarazione che il prezzo era stato pagato con il ricavo di una precedente vendita di immobile di proprietà del V. .

Nel corso dell’istruttoria era ammessa ed espletata prova testimoniale. Con sentenza 6 dicembre 2007 il Tribunale di Verona pronunziava la separazione personale, rigettando le reciproche richieste di addebito; respingeva la domanda di simulazione e confermava il provvedimento presidenziale ex art. 708 cod. proc. civ. che assegnava la casa coniugale al V. , a cui carico poneva un assegno mensile di mantenimento di Euro 600,00, soggetto a rivalutazione.

Compensava tra le parti le spese di lite.

In parziale accoglimento dei gravami hinc et inde proposti, la Corte d’appello di Venezia, con sentenza 16 gennaio 2009, dichiarava addebitabile al V. la separazione personale, riducendo il suo contributo di mantenimento ad Euro 450,00 mensili,ed accertava che il fondo oggetto dell’atto di compravendita 30 luglio 1991, stipulato in costanza di matrimonio, ricadeva nella comunione coniugale; così come, per l’effetto, la casa familiare su esso edificata. Confermava nel resto l’impugnata sentenza e compensava per un terzo le spese del doppio grado di giudizio, ponendo la residua frazione a carico del V. .

Motivava:

– che dalle prove assunte emergeva una relazione extraconiugale intrattenuta dal marito all’origine della crisi matrimoniale: in assenza di prova, il cui onere incombeva sull’autore della violazione dell’obbligo di fedeltà, del venir meno, già in precedenza, dell’affectio coniugalis;

– che la disparità reddituale tra i coniugi appariva minore di quella ritenuta dal giudice di primo grado: onde si doveva ridurre il contributo di mantenimento a carico del V. ;

– che la dichiarazione della signora T. , resa in sede di rogito della compravendita del terreno su cui era poi stata edificata la casa coniugale, che il prezzo era stato pagato con denaro proveniente dal trasferimento di beni personali del V. aveva solo natura ricognitiva ed appariva smentita dalla mancata prova dell’effettiva provenienza della provvista da precedenti vendite di beni personali.

Avverso la sentenza, notificata il 16 febbraio 2009f il sig. V. proponeva ricorso per cassazione, articolato in otto motivi e notificato il 16 aprile 2009.

Deduceva:

1) la violazione degli artt. 151 e 1^3 cod. civ. nell’accogliere la domanda di addebito sulla base del solo accertamento della violazione dell’obbligo di fedeltà, senza verificarne il nesso di causalità con la crisi del matrimonio;

2) la carenza di motivazione in ordine all’accertamento dei comportamenti contrari ai doveri coniugali;

3) la violazione dell’art. 2697 cod. civ. in ordine all’onere della prova dei presupposti giustificativi della pronunzia di addebito;

4) l’inosservanza dell’art. 2697 cod. e dell’art. 156 cod. civ. nella determinazione dell’assegno di mantenimento mediante ricorso all’equità;

5) la violazione degli artt. 179, 2733-2735 cod. civ. e la carenza di motivazione nell’accertamento della comunione legale sul terreno, acquistato dal solo V. con i proventi della vendita di beni personali, come da conforme dichiarazione del coniuge riportata nell’atto pubblico di compravendita;

6) l’erroneità della ritenuta inefficacia della dichiarazione, avente natura negoziale, resa dalla signora T. in sede di stipulazione e riportata nell’atto pubblico;

7) la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per omessa pronunzia sulla domanda riconvenzionale, riproposta in secondo grado, per ottenere il rimborso pro quota dei costi di edificazione del fabbricato sul terreno, subordinatamente all’eventuale accertamento della comunione legale.

8) la violazione di legge e la carenza di motivazione nel rigetto della domanda di revoca del sequestro dell’immobile, disposto ex art. 156, sesto comma, cod. civ..

Resisteva con controricorso la signora T. .

Entrambe le parti depositavano memoria illustrativa ex art.378 cod. proc. civile. In essa il ricorrente eccepiva l’inammissibilità del controricorso, tardivamente notificatogli.

All’udienza del 21 maggio 2012 il Procuratore generale e i difensori precisavano le rispettive conclusioni come da verbale, in epigrafe riportate.

Motivi della decisione

Dev’essere preliminarmente dichiarata l’inammissibilità del controricorso, notificato al V. in data 29 ottobre 2009, e quindi oltre il termine di giorni venti dal 26 maggio 2009, data di scadenza del termine per il deposito del ricorso, notificato il 16 aprile 2009 (artt. 369 e 370, primo comma, cod. proc. civ.). Dalla predetta tardività discende, in via derivativa, l’analoga preclusione della successiva memoria illustrativa.

Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione degli articoli 151 e 153 cod. civ..

Il motivo è infondato.

Dal tenore della motivazione si evince, in punto di fatto, che la corte territoriale ha positivamente attribuito alla violazione dell’obbligo di fedeltà da parte del V. piena efficienza causale in ordine alla intollerabilità della prosecuzione della convivenza, all’origine della separazione giudiziale (art. 151 cod. civ.); con esclusione, per contro, di analogo comportamento a carico della moglie. Ciò si evince dalla descrizione delle modalità della relazione adulterina, definita stabile e perfino ostentata, sfociata poi nell’abbandono della casa coniugale. La successiva enunciazione del riparto dell’onere della prova liberatoria riveste quindi solo natura teorica; senza revocare in dubbio l’accertamento del nesso eziologico autonomamente motivato.

Con il secondo ed il terzo motivo, da esaminare congiuntamente per affinità di contenuto, si denunzia la carenza di motivazione e la violazione dell’art. 2697 cod. civ. in ordine alla ritenuta sussistenza dei presupposti giustificativi della pronunzia di addebito.

Entrambe le censure si palesano infondate, dal momento che la corte territoriale ha dato adeguatamente conto dell’addebito, ponendo in evidenza, con corretto riparto dell’onere probatorio, gli elementi di fatto giustificativi dell’addebito, consistenti nella violazione del dovere di fedeltà, all’origine della crisi coniugale.

Per il resto, le doglianze si risolvono in una difforme valutazione, nel merito, delle risultanze istruttorie – di cui si chiede la disamina diretta da questa Corte – che non può trovare ingresso in questa sede.

Il quarto motivo è infondato nella parte in cui lamenta il ricorso all’equità, in quanto la corte territoriale non ha inteso applicare un criterio alternativo a quello legale in sede di determinazione dell’assegno di mantenimento, bensì ha tratto le dovute conseguenze dalla disparità di reddito documentata, in modo del tutto conforme ai principi ordinari in materia (art. 156, primo e secondo comma cod. civ.). Nel contesto della motivazione il riferimento all’equità riveste quindi solo un valore empirico, nel senso di conforme a giustizia sostanziale; senza deroga alcuna alla pronuncia secondo diritto (artt. 113 e 114 cod. proc. civ.). Le ulteriori argomentazioni difensive ripropongono, poi, un sindacato di merito sull’apprezzamento delle prove, esulante dai limiti del giudizio di legittimità.

Con il quinto ed il sesto motivo, di contenuto analogo, ricorrente denunzia la violazione degli artt. 179, 2733-2735 cod. civ. e la carenza di motivazione nell’accertamento della comunione legale sul terreno da lui acquistato

Le censure sono fondate.

A prescindere dalla contraddizione in cui incorre la sentenza impugnata nel riconoscere natura di presunzione juris et de jure alla dichiarazione del coniuge non acquirente sulla natura personale della provvista utilizzata per l’acquisto dell’immobile e, nel contempo, consentirne il superamento mediante la prova contraria della sua non veridicità (per definizione, esclusa in tema di presunzioni assolute), si osserva come il recente arresto di questa Corte, a sezioni unite, 28 ottobre 2009 n. 22.755 abbia risolto il contrasto in precedenza verificatosi sulla questione dell’efficacia probatoria da riconoscere alla dichiarazione stessa. Si è infatti statuito, sul punto, che la dichiarazione resa nell’atto pubblico dal coniuge non acquirente, ai sensi dell’art. 179, secondo comma, cod. civile, in ordine alla natura personale dell’immobile contestualmente acquistato, si atteggia diversamente a seconda che la personalità dell’acquisto dipenda – come nella specie – dal pagamento con provvista proveniente dal prezzo del trasferimento di beni personali del coniuge acquirente, o invece dalla destinazione del bene all’uso personale o all’esercizio della professione propria di quest’ultimo.

Nel primo caso, la dichiarazione riveste natura ricognitiva e portata confessoria dei presupposti di fatto già esistenti (la provenienza del denaro utilizzato per l’acquisto): con la conseguenza che l’azione di accertamento negativo della natura personale del bene postula la revoca della confessione stragiudiziale resa dall’altro coniuge, nei limiti in cui la stessa è ammessa dall’art.2732 cod. civile, e cioè per errore di fatto o violenza. Laddove, nell’ipotesi alternativa, non pertinente al caso in esame, la verifica dell’effettiva destinazione consente la prova contraria libera, indipendentemente dall’indagine sulla sincerità dell’intento manifestato.

Alla luce di tale insegnamento (seguito, più di recente, da Cass., sez. 1, 2 febbraio 2012, n. 1523), appare erronea la svalutazione della dichiarazione confessoria della signora T. , operata dalla corte territoriale; che, per l’effetto, ne ha ritenuto il superamento tramite la prova negativa indiretta tratta dall’inesistenza di documentate vendite precedenti di beni personali del V. : da cui inferire, presuntivamente, la non veridicità dell’enunciato pagamento del prezzo del terreno con provvista esclusivamente propria.

L’accoglimento della censura assorbe l’ulteriore deduzione circa la natura negoziale della dichiarazione della T. : cui in sostanza, secondo il ricorrente, sarebbe da ascrivere il significato di un valido rifiuto volitivo del coacquisto.

Del pari assorbito risulta anche il settimo motivo, concernente la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per omessa pronunzia sulla domanda riconvenzionale, riproposta in secondo grado subordinatamente all’accertamento positivo della comunione legale.

L’ultimo motivo, concernente il rigetto della domanda di revoca del sequestro dell’immobile disposto ex art. 156, sesto comma, cod. civ. è inammissibile.

Il provvedimento in questione ha, infatti, natura cautelare e, come tale, non è soggetto a ricorso per Cassazione, proponibile solo avverso provvedimenti definitivi e decisori (Cass., sez. 1, 2 Febbraio 2012, n. 1518).

La sentenza dev’essere dunque cassata nei limiti sopra indicati, con rinvio alla Corte d’appello di Venezia, anche per il regolamento delle spese della fase di legittimità.

P.Q.M.

Rigetta i motivi nn. 1-4, dichiara inammissibile il n.8, accoglie il quinto motivo, assorbiti i nn.6 e 7, cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia la causa alla Corte d’appello di Venezia, in diversa composizione, anche per il regolamento delle spese della fase di legittimità.

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