Corte di Cassazione – Sezione I – sentenza 14.09.2011 n. 18808. La lesione del diritto alla definizione del processo in un termine ragionevole va riscontrata, anche per le cause davanti al giudice amministrativo, con riferimento al periodo intercorso dall’instaurazione del relativo procedimento, senza che una tale decorrenza possa subire ostacoli o slittamenti in relazione alla mancanza dell’istanza di prelievo od alla ritardata presentazione di essa.

 

Il testo integrale

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE I

Sentenza 14 settembre 2011, n. 18808

Svolgimento del processo

C.A. ricorre avverso il decreto della corte d’appello di Milano del 10 marzo 2009 con il quale è stata rigettata la domanda di equa riparazione per l’irragionevole durata di un giudizio promosso davanti al t.a.r. del Lazio con ricorso del 1 dicembre 2000 deciso con sentenza del 7 aprile 2008. La corte d’appello ha ritenuto che il ricorso, depositato dopo l’entrata in vigore del D.L. n. 112 del 2008, art. 54 è proponibile perchè nel corso del procedimento davanti al giudice amministrativo era stata presentata istanza di prelievo in data 7 giugno 2002, data dalla quale doveva calcolarsi la durata del procedimento. La domanda non poteva essere accolta nel merito dovendosi valutare l’infondatezza della pretesa azionata davanti al giudice amministrativo, circostanza che escluderebbe ogni patema d’animo.

Il Ministero dell’economia resiste con controricorso. Il ricorrente ha presentato memoria.

Motivi della decisione

Il ricorrente censura la decisione della corte territoriale per avere ritenuto applicabile nella specie il D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2 convertito in L. n. 133 del 2008 mentre il ricorso davanti al giudice amministrativo è stato proposto prima dell’entrata in vigore della norma indicata, e per avere ritenuto che l’infondatezza della pretesa di per sè dimostri l’assenza di pregiudizio non patrimoniale.

Il ricorso è fondato.

Questa corte ha già in più occasioni (Cass. n..24901 e 28428 del 2008) affermato che la norma di cui al D.L. n. 133 del 2008, art. 54, comma 2 non ha efficacia retroattiva e pertanto non si applica agli atti processuali compiuti prima della sua entrata in vigore, dovendosi dare continuità all’orientamento secondo cui in difetto di una disciplina transitoria e di esplicite previsioni contrarie il principio dell’immediata applicabilità della legge processuale concerne soltanto gli atti processuali successivi all’entrata in vigore della legge stessa, come ha affermato anche la Corte costituzionale (sentenza n. 155 del 1990) senza potere incidere su quelli anteriormente compiuti, i cui effetti, in virtù del principio tempus regit actum restano regolati dalla legge sotto il cui imperio sono stati posti in essere.

Inoltre, è orientamento costante che l’esito negativo del processo di merito non esclude il diritto della parte soccombente al ristoro del pregiudizio subito a causa dell’irragionevole durata del processo, salvo che non sia provato che l’attore abbia promosso una lite temeraria o che la parte abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire proprio il diritto all’equa riparazione, circostanze che configurano l’abuso del processo.

Nella specie la corte territoriale non ha accertato tale abuso ma ha dato rilievo solo all’esito della lite.

Il provvedimento impugnato deve essere quindi cassato.

Non essendovi ulteriori accertamenti di fatto da compiere può decidersi nel merito accogliendo il ricorso.

Quanto alla durata del giudizio, come le sezioni unite (n. 28507/2005) hanno affermato, la lesione del diritto alla definizione del processo in un termine ragionevole va riscontrata, anche per le cause davanti al giudice amministrativo, con riferimento al periodo intercorso dall’instaurazione del relativo procedimento, senza che una tale decorrenza possa subire ostacoli o slittamenti in relazione alla mancanza dell’istanza di prelievo od alla ritardata presentazione di essa.

La previsione di strumenti sollecitatori, infatti, non sospende nè differisce il dovere dello stato di pronunciare sulla domanda, in caso di omesso esercizio degli stessi, nè implica il trasferimento sul ricorrente della responsabilità per il superamento del termine ragionevole per la definizione del giudizio, salva restando la valutazione del comportamento della parte al solo fine dell’apprezzamento della entità del lamentato pregiudizio (in senso conforme, successivamente v. cass. n. 9853/2006, 9411/2006, 10894/2006, 7118/2006, 15603/2006, 24438/2006, 24258/2006, 14753/2010, 1359/2011).

Il giudizio presupposto è durato sette anni e quattro mesi, la durata ragionevole avrebbe dovuto essere di tre anni e pertanto il ritardo eccessivo è di quattro anni e quattro mesi.

L’amministrazione deve essere pertanto condannata al pagamento della somma di Euro 3.250,00, oltre agli interessi dalla data della domanda.

Le spese del giudizio di merito e quelle del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

la corte accoglie il ricorso, cassa il provvedimento impugnato e decidendo nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c. condanna l’amministrazione al pagamento in favore del ricorrente di Euro 3.250,00 oltre agli interessi legali dalla data della domanda e al pagamento delle spese che si liquidano in Euro 873,00 per il giudizio di merito (Euro 445,00 per onorari ed Euro 378,00 per diritti) e in Euro 665,00 per il giudizio di cassazione (compresi Euro 100,00 per esborsi) oltre alle spese generali e agli accessori come per legge.

 

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