Suprema Corte di Cassazione

sezione I

sentenza 13 dicembre 2013, n. 27925

Svolgimento del processo

I.P. e G. hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi avverso la sentenza della Corte di Appello di Bologna in data 28.7.2009, con la quale era stata confermata la decisione di primo grado che aveva pronunziato la condanna di P..F. al pagamento di Euro 679.834,86 in favore degli I. , per i raggiri usati nel gestire gli investimenti finanziari in danno degli I. rigettando viceversa la domanda di questi ultimi nei confronti degli altri convenuti A. e Z. , chiamati a titolo di corresponsabili del F. in quanto promotori finanziari della Fineco, nonché di quest’ultima, quale Banca preposta all’intermediazione finanziaria, e degli Assicuratori Lloyd’s di Londra quali garanti.
Amadori e Assicuratori Lloyd’s hanno resistito con controricorso.
La causa dapprima inviata per la discussione in camera di Consiglio è stata successivamente rimessa alla pubblica udienza del 31.10.13.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti contestano che nella fattispecie la Corte di Appello abbia escluso l’applicazione degli articoli 2049 c.c. e 31 T.U.F. malgrado vi fosse un nesso di “occasionalità necessaria” tra il fatto commesso e il rapporto che legava la Banca Fineco al F. . Quest’ultimo, condannato sia in sede penale che civile per l’illecito commesso ai danni degli I. , avrebbe infatti operato approfittando della posizione rivestita all’interno della Banca Fin.Eco, e ciò sarebbe sufficiente ad ipotizzare una responsabilità di quest’ultima. Con il secondo motivo lamentano che la Corte di Appello erroneamente non abbia ravvisato un concorso ex art. 2043 c.c. nei confronti dei promotori Z. e A. nella causazione dell’evento dannoso avendo essi assistito il F. nelle diverse operazioni contestate.
Con il terzo motivo si dolgono per l’omessa pronuncia su quanto dedotto da essi ricorrenti circa la responsabilità della Fineco in virtù del principio dell’apparenza di cui all’art. 31, comma 3, TUF. Con il quarto motivo deducono il vizio di motivazione laddove la sentenza impugnata ha ritenuto che il F. avesse agito in proprio anziché nell’ambito del suo operare presso la Fineco. In particolare si assume che la Corte di appello, nella delibazione della controversia, abbia irragionevolmente considerato dapprima la seconda operazione finanziaria posta in essere, per poi prendere in esame quella precedente da un punto di vista cronologico.
Con il quinto motivo contestano la sentenza laddove la stessa ha ritenuto non provato il danno,quale conseguenza del comportamento del F. , nonostante sul punto si fosse formato il giudicato interno per effetto della pronuncia del giudice di primo grado che aveva accertato il danno subito dagli I. per il fatto illecito compiuto dal F. (per ciò condannato al pagamento di Euro 679.834,86, oltre rivalutazione).
I primi due motivi del ricorso, tra loro connessi,possono essere esaminati congiuntamente.
Va preliminarmente rammentato che la giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente affermato il principio che la disposizione dell’art. 5, comma quarto, della legge 2 gennaio 1991, n. 1, secondo la quale la società di intermediazione mobiliare è responsabile in solido degli eventuali danni arrecati a terzi nello svolgimento delle incombenze affidate ai promotori finanziari, anche se tali danni siano conseguenti alla responsabilità accertata in sede penale di questi ultimi, qualora sussista un rapporto di “necessaria occasionalità” tra incombenze affidate e fatto del promotore, che è ravvisabile in tutte le ipotesi in cui il comportamento di questi rientri nel quadro delle attività funzionali all’esercizio delle incombenze di cui è investito. Né rileva che il comportamento del promotore abbia esorbitato dal limite fissato dalla società, essendo sufficiente che la sua condotta sia stata agevolata e resa possibile dall’inserimento del promotore stesso nell’attività della società d’intermediazione mobiliare e si sia realizzata nell’ambito e coerentemente alle finalità in vista delle quali l’incarico è stato conferito, in maniera tale da far apparire al terzo in buona fede che l’attività posta in essere, per la consumazione dell’illecito, rientrasse nell’incarico affidato. (Cass. 6829/11; Cass. 2009/17393; Cass. 2010/21729).
L’accertamento di quanto sopra costituisce giudizio di merito, insindacabile in cassazione se congruamente e logicamente motivato. (Cass. 2002/10580; Cass. 2009/13529; cfr. Cass. 2006/8229; Cass. 6829/11).
Alla luce degli enunciati principi, va osservato che la sentenza impugnata ha escluso la responsabilità della Fineco e dei suoi procacciatori Z. ed A. distinguendo tra due operazioni finanziarie poste in essere dagli I. .
Giova esaminare, in primo luogo, la seconda in ordine di tempo di tali operazioni.
Alla base di questa vi è il contratto pacificamente stipulato ai primi di gennaio 2002, che precede di alcuni giorni l’apertura del conto corrente n. 299241 richiesta in data 10 gennaio 2002.
Detto contratto sottoscritto dai due I. e dal F. , reca l’intestazione “contratto di prestazione continuata di servizi finanziari”. In esso il F. : a) si qualifica come “iscritto come Ditta individuale presso il registro delle imprese di Forlì”; b) dichiara “di prestare consulenza finanziaria al signor I.P. ed a suo figlio I.G. attraverso una gestione di portafoglio, mediante movimentazione di denaro depositato presso un conto corrente intestato ad I.P. , I.G. e F.P. , utilizzando Banca Fin-Eco spa come tramite bancario”. Il contratto prevede, poi, quanto segue: c) “il portafoglio sarà gestito senza vincoli di metodo da me stesso con periodici incontri per rendicontazioni; d) la durata del contratto è di due mesi prorogabili; e) il compenso previsto per il F. era del 3% una volta raggiunto un guadagno di gestione del 15%”.
La Corte d’appello, sulla base del predetto contratto e sul fatto che gli I. avevano – rilasciato al F. sei assegni circolari per complessivi Euro 516.456,00, ha ritenuto che gli I. vollero stabilire un rapporto diretto ed esclusivo con il F. con esclusione di ogni interferenza dei promotori finanziari della Fineco e della stessa banca.
A tale proposito ha argomentato che tutti i suddetti comportamenti dimostravano, nei fatti, la volontà degli I. di attribuire al F. una fiducia piena ed incondizionata, al punto da affidargli un compito (la gestione di portafoglio, appunto) che presuppone capacità professionali e organizzazione aziendale tanto affinate che la legge riserva tale attività espressamente alle imprese di investimento, alle società di gestione del risparmio e alle banche.
Si osserva che i ricorrenti non censurano l’interpretazione fornita dalla Corte d’appello sotto il profilo della violazione degli art. 1362 e seguenti c.c. e ciò costituisce già una prima causa di inammissibilità del primo motivo (v. Cass. 4178/07).
In secondo luogo, la motivazione fornita dalla Corte d’appello, basata sull’interpretazione del contratto dianzi descritta, appare del tutto logica e giuridicamente corretta e, posto che, come già rilevato, la valutazione circa l’occasionalità dell’attività costituisce giudizio di merito, insindacabile in cassazione se congruamente e logicamente motivato (Cass. 2002/10580; 2009/13529; cfr. Cass. 2006/8229; Cass. 6829/11), ne discende che anche sotto tale profilo il primo motivo risulta inammissibile.
In relazione a tale parte della motivazione il primo motivo non risulta dunque scrutinabile in questa sede di legittimità.
Venendo ora all’esame della seconda parte della motivazione che riguarda in ordine di tempo il primo contratto stipulato dagli I. , la Corte d’appello ha rilevato in fatto quanto segue.
“Con lettera (doc. 1 e ali, ibidem) datata Cesena, 3 ottobre 2001, priva di sottoscrizione e redatta su carta non intestata – cui sono allegati vari prospetti, schede relative all’andamento di singoli titoli azionari e programmi di investimento; documenti tutti sicuramente riferibili al gruppo di promotori Fin-Eco di Cesena ed in cui compare la dicitura “Financial Planner: F.P. “- si prende in considerazione il portafoglio titoli di cui al momento erano titolari gli I. con deposito presso altra banca; si valuta in 750 milioni di lire la disponibilità di denaro che gli stessi I. sono intenzionati ad investire; si prospetta una riorganizzazione dell’intero portafoglio che, passando da un progressivo abbandono dell’investimento in singoli titoli, si sarebbe attestato su una “gestione patrimoniale diversificata in 4 fondi da noi ritenuti i più opportuni affinchè il patrimonio che li alimenterà sia protetto dal rischio specifico……omissis”..
Continua la sentenza impugnata rilevando che “in effetti, i 4 fondi comuni di investimento risultano prontamente acquistati dagli I. con l’impiego di 21.000 Euro, come risulta dal modulo di sottoscrizione di Cisalpina Gestioni-Società di Gestione del Risparmio datato Cesena 9 ottobre 2001 (doc. 3) sottoscritto da I.P. e da G. e firmato come promotore dallo Z. “.
Procede poi nell’esame dell’andamento del conto rilevando che dopo i mesi di ottobre e novembre con due sole operazioni effettuate da I.P. , nel mese di dicembre iniziano quotidiane operazioni di acquisto e vendita di titoli azionali che si prolungano nel periodo successivo con l’aggiunta anche di operazioni aventi ad oggetto warrant. La sentenza riscontra anche un pagamento a favore del F. .
La sentenza rileva poi che “nel frattempo gli I. hanno comunicato al F. i codici di accesso ai servizi di banca on line. Si tratta di un codice utente e di una password (doc. 5) inserendo i quali nell’area login del sito internet di Fin-Eco, si è abilitati a compiere ogni operazione finanziaria attinente al deposito titoli, oltre che alla movimentazione del conto corrente”.
Ritiene conclusivamente la Corte d’appello che “con la comunicazione dei codici gli I. hanno conferito personalmente ed esclusivamente al F. l’equivalente di un incondizionato mandato ad operare il che significa che essi hanno trasferito al F. il loro personale ed esclusivo potere di disporre del proprio denaro”.
In conseguenza di ciò ha ritenuto che “raffrontando questi dati con i termini del contratto stipulato all’inizio di gennaio, si nota la singolare analogia tra le due situazioni: un mandato senza vincoli ad operare in borsa affidato personalmente al F. , una remunerazione stabilita in favore del medesimo F. .
Già in questa fase, dunque, si può ritenere documentato che gli I. avevano inteso stabilire un rapporto diretto con il F. che escludesse l’interferenza di chiunque altro, al punto di riconoscere un compenso direttamente al loro consulente al di fuori del sistema delle commissioni da corrispondere, come d’uso, alla banca per quel tipo di operatività”.
Tale motivazione appare logicamente corretta e conforme a diritto. Una volta accertato infatti che la lettera datata Cesena, 3 ottobre 2001 era priva di sottoscrizione e redatta su carta non intestata, onde la stessa non era in realtà riferibile ad alcuno e non aveva alcun valore contrattuale, la Corte d’appello ha valutato quello che fu il comportamento effettivo delle parti.
In tale contesto ha ritenuto che con la comunicazione dei codici gli I. avevano conferito un mandato personale al F. ad operare sul proprio conto bancario in via esclusiva, al di fuori di ogni eventuale rapporto di questi con la Fineco, e che per questo fatto gli era stato riconosciuto un compenso ad personam.
In tale contesto il giudice di seconde cure ha implicitamente ritenuto che anche l’acquisto dei quattro fondi comuni di investimento acquistati dagli I. con l’impiego di 21.000 Euro, risultante dal modulo di sottoscrizione di Cisalpina Gestioni-Società di Gestione del Risparmio datato Cesena 9 ottobre 2001 e sottoscritto come promotore dalla Z. , fosse da considerarsi come un operazione isolata e comunque superata dal successivo mandato conferito al F. con la consegna dei codici bancari d’accesso.
Trattasi di valutazione in fatto,come già rilevato, correttamente motivata, che,come tale, si sottrae ad ogni sindacato in sede di legittimità, ed in tal senso le censure che ad essa muovono i ricorrenti appaiono investirne inammissibilmente il merito.
La decisione della Corte d’appello è inoltre basata su una seconda ratio decidendi, la stessa, infatti ha rilevato: a)che gli I. erano imprenditori tanto navigati ed avveduti da rendersi perfettamente conto di circostanze elementari quali erano il significato, la portata e le conseguenze tutte, ivi compresi i rischi, connessi all’affidamento al F. di un mandato illimitato ad operare in borsa con il loro denaro; b) che il F. li visitava settimanalmente (e ancora pin frequentemente li raggiungeva per telefono) al fine di illustrare l’andamento degli investimenti fatti; c) che essi mai segnalarono alcunché di anomalo ai promotori finanziari di Cesena o alla stessa Fin-Eco e mai ebbero nulla da eccepire o di cui lagnarsi, malgrado avessero ricevuto l’estratto conto del primo trimestre di attività ricomprendente le movimentazioni del mese di dicembre 2001, esemplificative dell’operato del F. ; d) che essi, tramite i servizi di banca on line, avevano la possibilità di controllare in ogni momento i movimenti del conto corrente e del deposito titoli; e) che nessuna obiezione e, tanto meno, nessuna rimostranza gli I. ebbero a fare (né l’hanno fatta in corso di causa) in ordine al bonifico della somma equivalente a 6 milioni di lire addebitata sul loro conto corrente n. 270583 in favore del conto del F. nella data del 5 dicembre 2001. Tale trasferimento di denaro, dunque, era considerato dagli attori come del tutto regolare.
In altri termini, la accertata consapevolezza da parte degli I. della anomalia della gestione del loro conto da parte del F. da essi stessi avallata escludeva – secondo il Giudice di seconde cure – ogni concorrente responsabilità della Fineco e dei suoi procacciatori.
Detta pronuncia è conforme a quanto già affermato da questa Corte e,cioè, che la responsabilità dell’ente finanziario deve escludersi quando la condotta del risparmiatore presenti connotati di “anomalia”, vale a dire, se non di collusione, quanto meno di consapevole e fattiva acquiescenza alla violazione delle regole gravanti sul promotore, palesata da elementi presuntivi, quali ad esempio il numero o la ripetizione delle operazioni poste in essere con modalità irregolari, il valore complessivo delle operazioni, l’esperienza acquisita nell’investimento di prodotti finanziari, la conoscenza del complesso “iter” funzionale alla sottoscrizione di programmi di investimento e le sue complessive condizioni culturali e socio-economiche. (Cass. 6829/11; Cass. 1741/11).
Il terzo motivo è manifestamente infondato poiché, ancorché la sentenza impugnata non faccia esplicito riferimento all’art. 31 TUF l’intera motivazione è in realtà basata proprio sull’accertamento della esistenza della occasionalità necessaria nel comportamento del F. .
Il quarto motivo è infondato anch’esso.
Invero non riveste un vizio di motivazione l’avere esaminato per primo il secondo dei due accordi perché comunque gli stessi presentano evidenti difformità tra di loro per cui l’esame dell’uno non interferisce su quello dell’altro né un inversione del loro esame avrebbe potuto portare a conclusioni diverse.
Il quinto motivo resta assorbito poiché l’esclusione di responsabilità della Fineco e dei suoi promotori rende irrilevante accertare l’esistenza o meno del danno e quella di un giudicato interno su di esso.
Il ricorso va in conclusione respinto.
Il ricorrente va di conseguenza condannato al pagamento delle spese processuali liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio in favore di A.A. e degli Assicuratori Lloyd’s of London, liquidate in favore di ciascuno in Euro 8000,00 oltre Euro 200,00 per esborsi ed oltre accessori di legge.

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