Suprema Corte di Cassazione
sezione I
sentenza 11 giugno 2015, n. 24704
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GIORDANO Umberto – Presidente
Dott. DI TOMASSI Maria Stefani – Consigliere
Dott. CAVALLO Aldo – rel. Consigliere
Dott. ROCCHI Giacomo – Consigliere
Dott. CENTONZE Alessandro – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);
(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 228/2013 CORTE APPELLO di POTENZA, del 10/10/2013 visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/02/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO CAVALLO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. IACOVIELLO Francesco Mauro che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito il difensore Avv. (OMISSIS).
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Matera, con sentenza deliberata il 4 giugno 2012, assolveva (OMISSIS) e (OMISSIS) – rispettivamente titolare e direttore sanitario dello studio odontoiatrico-laboratorio odontotecnico denominato “(OMISSIS)”, dal delitto di tentata somministrazione di medicinali guasti (capo 1 della rubrica) e dalla contravvenzione di gestione non autorizzata di una struttura privata in cui si praticano attivita’ sanitarie (capo 2 della rubrica), reati ad essi contestati in concorso.
1.1 Ne premettere che la contestazione scaturiva da un sopralluogo eseguito dai carabinieri del N.A.S. di (OMISSIS), che aveva accertato l’esistenza in (OMISSIS), in un immobile di pertinenza degli imputati, di una struttura sanitaria regolarmente in attivita’ senza che fosse stata rilasciata la prescritta autorizzazione regionale nonche’ la detenzione, all’interno dei due locali adibiti a studio odontoiatrico, di specialita’ medicinali ad uso medico scadute di validita’ tra il luglio (OMISSIS) (in parte riposti su di un tavolo mobile e nel cassetto dello stesso, in parte in un armadio a vetri), il giudicante riteneva, infatti, che l’istruttoria dibattimentale – specie quella documentale – aveva permesso di chiarire che da parte dei due professionisti inquisiti non vi era stata alcuna volonta’ di eludere in modo consapevole e cosciente le norme che si reputavano da essi violate (ovvero gli articoli 56 e 443 cod. pen. e il Regio Decreto n. 1265 del 1934, articolo 193), cio’ desumendosi in particolare: (a) dalla circostanza che piu’ volte gli imputati avevano inutilmente sollecitato il rilascio delle prescritte autorizzazioni ai vari enti competenti, e cio’ almeno dieci anni prima dall’effettivo suo rilascio, sopravvenuto il 10 giugno 2009; (b) che i farmaci asseritamente scaduti si trovavano in zona diversa da quella di utilizzo e che la loro innocuita’ non era sta posta in dubbio da alcuna indagine di carattere scientifico.
Sulla scorta di tali considerazioni, il giudicante riteneva, in altri termini, di poter escludere la sussistenza “di qualsiasi elemento soggettivo”, pervenendo alla conclusione che il fatto storico in se’ considerato non appariva “assumere rilevanza penale e rivestire gli elementi costitutivi delle fattispecie in contestazione”.
2. Proposta tempestiva impugnazione avverso l’indicata decisione dal Procuratore Generale della Repubblica della sede, la Corte di appello di Potenza, con sentenza del 10 ottobre 2013, ha riformato quella emessa dal primo giudice, dichiarando gli imputati colpevoli dei reati loro ascrittigli, unificati nel vincolo della continuazione, e concesse ad entrambi le attenuanti generiche, riqualificato il delitto contestato al capo 1 come reato consumato, ha condannato ciascuno degli imputati alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi quattro e giorni quindici di reclusione ed euro 1200,00 di multa.
2.1 La Corte territoriale, ha fondato la propria decisione:
– quanto alla condanna per il reato contravvenzionale, sul preliminare rilievo che la gestione di una struttura privata in cui si praticano attivita’ sanitarie, presuppone necessariamente il preventivo ottenimento dell’autorizzazione sanitaria di cui al Regio Decreto n. 1265 del 1934, articolo 193 il cui rilascio postumo non esclude la sussistenza del reato e sull’ulteriore considerazione che la presentazione da parte degli imputati di reiterate richieste di autorizzazione avanzate con esito negativo, costituiva una circostanza che non poteva essere utilmente invocata per escludere la sussistenza dell’elemento psicologico del reato, in quanto, anche a voler prescindere dalla natura colposa dell’elemento soggettivo richiesto per l’integrazione della fattispecie, essa era comunque dimostrativa della consapevolezza dell’obbligo di svolgere l’attivita’ in questione in regime di autorizzazione preventiva;
– quanto alla condanna per il delitto contestato al capo 1, sui preliminare rilievo che lo stesso deve ritenersi un reato di pencolo volto a sanzionare condotte (detenere, porre in commercio, somministrare) che rendono probabile o almeno possibile, la concreta utilizzazione del medicinale guasto e sulle seguenti ulteriori considerazioni: (a) che la collocazione dei farmaci in una zona diversa da quella di utilizzazione, deve ritenersi una circostanza indimostrata ed anzi smentita dalle risultanze ispettive e dichiarative, da cui era emersa la collocazione degli stessi in ambienti di ordinario accesso ed in posizione di agevole utilizzo per l’esercizio delle attivita’ di che trattasi; (b) che la quantita’ e la collocazione dei farmaci (alcuni dei quali posti in cassetti ubicati nelle vicinanze delle poltrone in cui sedevano i pazienti) nonche’ la veste professionale degli imputati, offrono elementi dai quali poter desumere, con ragionevole certezza, che gli stessi fossero a conoscenza della loro scadenza ed animati dalla volonta’ di detenerli; (c) che non risulta sia stata intrapresa alcuna attivita’ di smaltimento dei farmaci scaduti, che non erano custoditi, oltretutto, in maniera separata dai farmaci in corso di validita’ e non recavano alcun cartello con una scritta che indicasse che fossero scaduti; (d) che deve ritenersi del tutto irrilevante la circostanza che non sia stata espletata alcuna attivita’ scientifica volta a verificare la pericolosita’ dei farmaci detenuti, fondandosi l’accertamento dei reato sulla presunzione di pericolosita’ dei farmaci, desumibile dalla previsione di un limite temporale per il loro impiego, cosi’ come irrilevante deve ritenersi l’accertamento sulla durata della detenzione del farmaco; (e) che la condotta contestata va riqualificata come integrante l’ipotesi della fattispecie consumata e non gia’ di quella tentata, trattandosi di reato di pericolo, integrato da qualsiasi comportamento che renda probabile o possibile la concreta utilizzazione del medicinale guasto, senza che sia necessario provare l’effettiva somministrazione dello stesso.
3. Gli imputati hanno proposto impugnazione avverso l’indicata sentenza, congiuntamente, per il tramite del loro comune difensore, chiedendone l’annullamento senza rinvio.
3.1 Con un primo motivo d’impugnazione si deduce – attraverso il richiamo di pertinenti arresti giurisprudenziali anche della Corte Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (sentenza dell’11 dicembre 2007, Drassich c/ Italia) – la nullita’ della sentenza, per violazione della regola di correlazione tra l’imputazione contestata (tentativo) e la sentenza (articolo 521 c.p.p.), osservando, in sintesi, che nel caso di specie non solo non sussiste il richiesto nucleo comune tra fatto addebitato e fatto ritenuto, ma e’ avvenuto, altresi’, che i giudici di appello, a sorpresa, hanno individuato un fatto del tutto nuovo (ovvero l’asserita avvenuta consumazione del reato), su cui non vi e’ mai stato contraddittorio tra le parti.
3.2 Con il secondo motivo d’impugnazione si deduce, ancora, in estrema sintesi, l’illegittimita’ della decisione impugnata sotto il profilo della violazione di legge – sostanziale e processuale – e del vizio di motivazione, evidenziandosi, in diritto, che e’ ormai prevalente, nella giurisprudenza di merito e di legittimita’ (in termini, Sez. 1, n. 4140 del 10/02/1995 – dep. 14/04/1995, P.M. in proc. Sdutto ed altri, Rv. 200793) il principio secondo cui l’articolo 443 cod. pen. punisce “chi detiene per il commercio, pone in commercio o somministra medicinali guasti o imperfetti”, cosicche’, dinanzi a tale inequivoco elemento testuale, non puo’ assimilarsi alla detenzione per il commercio la detenzione per la somministrazione, senza ricorrere all’applicazione analogica della fattispecie incriminatrice, con violazione dei principi di legalita’ e di tassativita’ della norma penale. Ne consegue che la detenzione per la somministrazione di medicinali guasti o imperfetti – somministrazione nel caso di specie, per altro, mai accertata, in fatto, non essendo presente nel laboratorio alcun paziente al momento dell’ispezione dei NAS – non integra il reato consumato previsto dall’articolo 443 cod. pen., ma puo’ concretare, al piu’, una ipotesi di tentativo punibile ex articolo 56 cod. pen. quando costituisca atto idoneo diretto in modo non equivoco alla somministrazione e sia accompagnata dalla consapevolezza del guasto o della imperfezione del medicinale; eventualita’ questa, per altro, neppure verificatasi nel caso di specie, in base alle risultanze processuali, quali (a) l’esame degli imputati svoltosi in data 11 aprile 2012; (b) la circostanza che i medicinali risultati scaduti erano custoditi in un armadietto e in un cassetto, chiusi a chiave, allocati in locale non accessibile dall’esterno ma dall’interno e solo se accompagnati da personale della struttura; fermo restando, per altro, che pur configurandosi la fattispecie sanzionata come un reato di pericolo presunto, facendo la norma incriminatrice riferimento alla detenzione di medicinali guasti (o imperfetti), la presunzione assoluta di pericolosita’, conformemente all’orientamento espresso dalla prevalente giurisprudenza di merito, deve ritenersi non estensibile ai medicinali scaduti, sicche’, in difetto di qualsiasi accertamento tecnico-giudiziale, la decisione assolutoria andava senz’altro confermata, tanto piu’ che l’imputato (OMISSIS), mediante l’ausilio delle sue cognizioni scientifiche, aveva precisato che i farmaci sequestrati erano incapaci di porre in pericolo l’altrui salute; risultanza probatoria, questa, incongruamente obliterata dai giudici di appello.
3.3 Con il terzo ed ultimo motivo, si denuncia, infine, l’illegittimita’ della condanna degli imputati anche relativamente al reato contravvenzionale, per violazione di legge e vizio di motivazione, evidenziando al riguardo, previa un’articolata ricostruzione, sulla scorta della documentazione prodotta in sede d’interrogatorio dall’imputato (OMISSIS), dei complesso ed annoso iter del procedimento amministrativo dallo stesso avviato per l’ottenimento dell’autorizzazione sindacale all’operativita’ della struttura, che la condotta di entrambi i prevenuti doveva ritenersi senz’altro non punibile, in applicazione quanto meno della causa di giustificazione di cui all’articolo 47 cod. pen., in presenza di “una innegabile ed evidente confusione nelle attribuzioni delle competenze amministrative”.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con riferimento al primo e pregiudiziale motivo d’impugnazione dedotto in ricorso il Collegio deve rilevarne l’infondatezza.
1.1 Secondo il consolidato indirizzo interpretativo di questa Suprema Corte, il principio di correlazione fra contestazione e sentenza risulta violato allorche’ vi sia una sostanziale immutazione del fatto contestato, tale da determinare uno “stravolgimento” dell’imputazione originaria. Tale ipotesi, invero, ricorre solo quando il fatto accertato in sentenza si trovi, rispetto a quello contestato, in rapporto di ontologica eterogeneita’ o incompatibilita’, nel senso che viene a realizzarsi una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell’addebito nei confronti dell’imputato, posto in tal modo di fronte ad un fatto “nuovo”, rispetto al quale non ha alcuna possibilita’ di effettiva difesa. Ne consegue che non vi e’ immutazione, ma solo diversa qualificazione giuridica, quando la condotta inizialmente contestata resta identificabile in quella ritenuta in sentenza, che della prima ha mantenuto i connotati distintivi fondamentali, come ad esempio accade quando fra le due condotte vi e’ un rapporto di continenza (cfr. Sez, 1, n. 9958 dei 27/10/1997 – dep. 05/11/1997, Carelli ed altri, Rv. 208935; Sez. 3, n. 11861 del 13/07/1999 – dep. 18/10/1999, Firrincieli, Rv. 215551).
Orbene, nel caso in esame, al di la’ della difforme individuazione in grado di appello delle norme del codice penale che si assumevano inizialmente violate dagli imputati (gli articoli 56 e 443 c.p.), la condotta penalmente sanzionata non risulta affatto difforme rispetto a quella contestata, risultando in effetti sempre quella della detenzione per Sa somministrazione di farmaci scaduti.
1.2 Fondato deve ritenersi, invece, il secondo motivo d’impugnazione.
La Corte territoriale, infatti, nel riformare la decisione di primo grado e condannare gli imputati per il delitto – consumato – previsto e punito dall’articolo 443 cod. pen., non ha adeguatamente valutato che nel caso di specie agli odierni ricorrenti era stato contestato non gia’ di aver somministrato dei farmaci imperfetti, in quanto scaduti di validita’, ma bensi’ di aver detenuto gli stessi nei locali di uno studio odontoiatrico-laboratorio odontotecnico denominato “(OMISSIS)” (e segnatamente in un armadietto e in un cassetto chiusi a chiave), in vista di una possibile loro somministrazione ai pazienti della propria struttura sanitaria.
Orbene, se pure in alcuni risalenti arresti (Sez. 4, n. 11040 del 09/10/1987 – dep. 22/10/1987, Renzicchi, Rv. 176871; Sez. 1, n. 7476 dei 05/05/1994 – dep. 01/07/1994, Coturri’, Rv. 198366) questa Corte, investita della questione se nella fattispecie delineata nell’articolo, 443 cod. pen., che punisce il fatto di chi “detiene per il commercio, pone in commercio o somministra medicinali guasti o imperfetti” debba ricadere soltanto la somministrazione di medicinali imperfetti o se in essa possa, invece, comprendersi anche la detenzione per la somministrazione, aveva aderito alla linea interpretativa piu’ ampia, affermando che la detenzione di medicinali guasti o imperfetti per la somministrazione cade sotto la previsione di cui all’articolo 433 cod. pen., non avendo nessun fondamento la distinzione tra detenzione per il commercio e detenzione per la somministrazione, per la ragione che sia l’una che l’altra rendono probabile, o quanto meno possibile, l’utilizzazione concreta del medicinale guasto o imperfetto a scopo terapeutico, che il legislatore ha inteso evitare e prevenire con la norma incriminatrice citata, tale indirizzo interpretativo pero’, a partire da Sez. 1, n. 4140 del 10/02/1995 – dep. 14/04/1995, P.M. in proc. Sdutto ed altri, Rv. 200793 e’ stato sottoposto a serrata critica e motivatamente disatteso anche in successive pronunce (Sez. 1, n. 999 del 17/12/1997 – dep. 27/01/1998, Barbiera, Rv. 209684; Sez. 1, n. 3198 del 12/01/1999 – dep. 09/03/1999, P.M.in proc. Camoirano, Rv. 212633; Sez. 4, n. 9359 del 30/06/2000 – dep. 25/08/2000, Marzorati, Rv. 216931).
1.2.1 In particolare nella richiamata sentenza n. 4140 del 1995, alla cui motivazione espressamente si rinvia, muovendo dalla premessa che l’articolo 443 cod. pen. punisce “chi detiene per il commercio, pone in commercio o somministra medicinali guasti o imperfetti”, si evidenzia, lucidamente, come, dinanzi a tale inequivoco elemento testuale, non puo’ assimilarsi alla detenzione per il commercio la detenzione per la somministrazione, senza ricorrere all’applicazione analogica della fattispecie incriminatrice, con violazione dei principi di legalita’ e di tassativita’ della norma penale. Ne consegue che la detenzione per la somministrazione di medicinali guasti o imperfetti non integra il reato consumato previsto dall’articolo 443 cod. pen., ma ben puo’ concretare, in tesi – come originariamente contestato, del resto, ai ricorrenti nel presente giudizio – una ipotesi di tentativo punibile ex articolo 56 cod. pen. quando costituisca atto idoneo diretto in modo non equivoco alla somministrazione e sia accompagnata dalla consapevolezza del guasto o della imperfezione del medicinale.
1.2.2 Alla stregua delle argomentazioni sin qui svolte deve conclusivamente riconoscersi, per un verso, l’erroneita’ della sentenza impugnata laddove e’ stato affermato che il fatto contestato agli imputati, ovvero la sola detenzione per la somministrazione di medicinali imperfetti, possa dare origine a responsabilita’ per il reato previsto dall’articolo 443 cod. pen. e ribadirsi, per altro verso, la (originaria) qualificazione del fatto come violazione degli articoli 56 e 443 cod. pen..
1.2.3 Cio’ posto, considerato che secondo unanime dottrina il delitto tentato e’ reato strutturalmente doloso e che in giurisprudenza si esclude finanche la configurabilita’ di un tentativo commesso con dolo eventuale, in assenza di concreti elementi dimostrativi che i ricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS) fossero effettivamente consapevoli che alcuni dei medicinali detenuti nella struttura sanitaria fossero scaduti, deve allora escludersi che detta detenzione – dovuta a colpa (negligenza) – possa essere punita a titolo di tentativo, i che comporta, evidentemente, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata relativamente al capo 1), perche’ il fatto non costituisce reato.
1.3 Quanto poi al reato di cui al capo 2) rileva preliminarmente il Collegio che alla data odierna il reato di cui al Regio Decreto n. 1265 del 1934, articolo 193 ascritto ai ricorrenti i ricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS) e’ estinto per prescrizione – ai sensi dell’articolo 157 c.p.p., comma 1, e dell’articolo 160 cod. pen., u.p. – essendo gia’ trascorsi, senza che si siano verificate cause di sospensione del decorso del termine in misura rilevante, piu’ di anni cinque dal momento in cui e’ stata accertata la sua commissione ((OMISSIS)).
1.1 Ne consegue che, non ravvisandosi inammissibilita’ originaria dell’impugnazione che sarebbe di ostacolo all’operativita’ della causa estintiva e non risultando le censure svolte dal ricorrente – valutate in rapporto ai motivi della decisione impugnata – idonee a escludere l’esistenza dei fatti contestati, la rilevanza penale e la relativa commissione da parte dell’imputato in termini di evidenza tale da consentite l’assoluzione nei merito, ai sensi dell’articolo 129 c.p.p., comma 2, dal momento che la presentazione da parte degli imputati di reiterate richieste di rilascio di autorizzazione sanitaria, cosi’ come affermato dai giudici di appello, non poteva essere utilmente invocata per escludere la sussistenza dell’elemento psicologico del reato punibile anche a titolo di colpa, deve allora assegnarsi prevalenza alla causa estintiva, con conseguente annullamento della sentenza impugnata senza rinvio, a norma dell’articolo 620 c.p.p., lettera a).
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata relativamente al reato di cui al capo 2) perche’ estinto per prescrizione e relativamente al capo 1), qualificato il fatto come violazione degli articoli 56 e 443 c.p., perche’ il fatto non costituisce reato.
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