Suprema Corte di Cassazione
sezione I
sentenza 10 settembre 2014, n. 19020
Svolgimento del processo
La Curatela del fallimento della E.N.N. s.r.l., dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Napoli in data 21 dicembre 2000, nel dicembre 2005 convenne in giudizio N.F., deducendo: che con scrittura privata autenticata del 8 luglio 1999 la società fallita aveva venduto al convenuto un appartamento in Melito, via Roma 8, per il prezzo di lire 280.000.000 (pari a E 144.607,93); che il prezzo della vendita appariva irrisorio, essendo di gran lunga inferiore a quello di mercato, e che l’acquirente ben conosceva lo stato di dissesto della società. Chiedeva quindi che il negozio venisse dichiarato inefficace, a norma dell’art. 67 comma 1 n. l l.fall.
Il convenuto si costituiva deducendo, nel merito, che non sussistevano i presupposti per l’azione instaurata. Il Tribunale di Napoli, istruita la causa, con sentenza n.7088/07 accoglieva la domanda, dichiarando inefficace la vendita.
La sentenza, gravata di appello dal F., cui resisteva il Fallimento, veniva confermata dalla Corte d’appello di Napoli con sentenza n.265/10 depositata il 26 gennaio 2010.
Avverso la sentenza di appello N.F. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui resiste con controricorso la Curatela del Fallimento E.N.N. s.r.l. Nel termine posto dall’art.378 cod.proc.civ. il ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso il F. denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art.67 comma I n. 1 l.fall., lamentando che la Corte d’appello avrebbe confermato l’accertamento in ordine alla conoscenza dello stato di insolvenza ed alla sproporzione tra le reciproche prestazioni senza approfondire minimamente l’indagine sullo svolgimento dei fatti, bensì sulla base di elementi illogicamente interpretati, e per di più considerando erroneamente che il momento rilevante ai fini della valutazione sulla sproporzione fosse quello della stipula del contratto definitivo, non già della precedente conclusione del contratto preliminare, pur non essendo intervenute modifiche nel regolamento contrattuale stabilito in sede preliminare.
1.1. Tali doglianze non meritano accoglimento, essendo in parte inammissibili, in altra parte infondate. Inammissibili perché la sentenza impugnata ha dichiarato inammissibile -per difetto di specificità- il settimo motivo di appello riguardante anche la prova dell’elemento soggettivo, e tale statuizione non ha formato oggetto di ricorso per cassazione, ove piuttosto le (peraltro meramente assertive) considerazioni del ricorrente si rivolgono contro argomentazioni che non si rinvengono nella sentenza impugnata. Infondate nella parte in cui tornano a sostenere una tesi, disattesa dalla Corte distrettuale rigettando il secondo motivo di appello, che non trova conforme la giurisprudenza di questa Corte di legittimità. Nella quale è al contrario consolidato l’orientamento secondo cui, in tema di revocatoria fallimentare (diversamente dalla revocatoria ordinaria: cfr. per la distinzione, ex multis, Cass. n. 17365/11) di compravendita stipulata in adempimento di contratto preliminare, l’accertamento dei relativi presupposti -soggettivi ed oggettivi- va compiuto con riferimento alla data del contratto definitivo, in quanto la sproporzione tra le prestazioni e la consapevolezza dell’insolvenza vanno ricollegate al momento in cui il bene, uscendo dal patrimonio, viene sottratto alla garanzia dei creditori, e d’altra parte il promissario acquirente ha la facoltà, qualora nel momento fissato per la stipulazione del definitivo sussista pericolo di revoca dell’acquisto per la sopravvenuta insolvenza del promittente venditore, di non addivenire alla stipulazione, avvalendosi della tutela apprestata dall’art.1461 cod.civ. (cfr. ex multis Cass. n.5058/07; n. 2005/08; n. 12634/11; n. 21927/11). Orientamento, questo, dal quale non vi è ragione per discostarsi non offrendo il ricorso argomenti idonei a tal fine.
2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia l’omessa o insufficiente motivazione in ordine al rigetto della sua istanza di espletamento di una consulenza tecnica d’ufficio, ribadito anche dal giudice di appello. Anche tale doglianza non merita accoglimento. La sentenza impugnata ha invero congruamente motivato la sua adesione alle valutazioni del primo giudice sulla piena utilizzabilità dell’elaborato -regolarmente prodotto in atti- del consulente tecnico incaricato dal giudice delegato, rilevando come, esclusa ogni astratta preclusione all’utilizzo da parte del giudice di merito di consulenze anche stragiudiziali (così come di prove formatesi in altro processo), il tribunale avesse compiutamente e condivisibilmente dato atto delle ragioni per le quali ritenesse detto elaborato tecnico corretto ed esaustivo, in un contesto peraltro in cui tali risultanze non erano state neppure contestate dal convenuto. Tali considerazioni si sottraggono alla critica rivolta loro in ricorso, tenendo presente: a) che la consulenza tecnica d’ufficio è mezzo istruttorio ( e non una prova vera e propria) sottratta alla disponibilità delle parti ed affidata al prudente apprezzamento del giudice di merito, rientrando nel suo potere discrezionale la valutazione di disporre la nomina dell’ausiliario giudiziario (cfr. ex multis: Cass. n. 4660/06; n. 15219/07; n. 27247/08; n. 9461/10); b) che la Corte distrettuale ha congruamente motivato la valutazione discrezionale di non disporre c.t.u., tanto più che il ricorrente non ha dimostrato in ricorso (cfr. pag. 13) di aver svolto in sede di merito specifiche contestazioni in ordine al contenuto della consulenza prodotta da controparte.
3. Si impone dunque il rigetto del ricorso, con la conseguente condanna del ricorrente alle spese, che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso in favore del resistente delle spese di questo giudizio di cassazione, in complessivi E 4.200,00 -di cui e 200,00 per esborsi- oltre rimborso forfetario spese generali come per legge e accessori di legge.
Leave a Reply