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Suprema Corte di Cassazione

sezione I

sentenza 10 settembre 2013, n. 20695

Svolgimento del processo

La IFI s.r.l., impresa attiva nel settore delle informazioni economiche e finanziarie, per la prestazione di rapporti informativi sulla consistenza patrimoniale di persone fisiche giuridiche, conveniva dinanzi la Corte d’appello di Ancona l’Agenzia del Territorio – più tardi Agenzia delle Entrate – per ottenerne la condanna al risarcimento del danno da abuso di posizione dominante, posto in essere a seguito dell’entrata in vigore della legge 30 dicembre 2004 n. 311 (Legge finanziaria 2005), che ai commi 367-374 dell’art. 1 introduceva il divieto generalizzato di riutilizzazione commerciale dei documenti e delle informazioni ipocatastali, se non nel rispetto di specifiche convenzioni stipulate con l’Agenzia del territorio, verso il pagamento preventivo dei tributi dovuti.
Assumeva che la normativa si poneva in contrasto con l’ordinamento comunitario perché attribuiva una riserva esclusiva, di tipo monopolistico, all’Agenzia pubblica, fonte di pregiudizio economico durato per tutto il periodo di vigenza della legge, fino alla sua successiva abrogazione in parte qua.
Costituitasi ritualmente, l’Agenzia del territorio eccepiva il difetto di giurisdizione e la carenza di legittimazione attiva di un soggetto non destinatario di specifici provvedimenti emessi dall’Agenzia; e nel merito contestava la fondatezza della domanda.
Con sentenza 26 giugno 2012 la Corte d’appello di Ancona rigettava la domanda, con compensazione delle spese di giudizio.
Motivava:
– che, secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia Europea, la nozione di impresa ricomprendeva qualsiasi soggetto esercitante un’attività economica di offerta di beni o servizi sul mercato, indipendentemente dallo statuto giuridico e dalle modalità di finanziamento;
– che tale qualificazione doveva essere quindi riconosciuta all’Agenzia del territorio, che nell’esercizio di attività prive di nesso funzionale con il carattere non economico delle proprie funzioni era dunque soggetta alla disciplina comunitaria nazionale in materia di divieto di attività anticoncorrenziale;
– che la legge 311/2004 configurava un abuso di posizione dominante perché attribuiva una riserva esclusiva di riutilizzazione commerciale dei dati, con conseguente situazione di monopolio in favore dell’Agenzia, salva la possibilità di stipulazione di una convenzione, in contrasto con la legge numero 287/1990 che faceva divieto allo Stato di riservare a se stesso, o ad un’impresa pubblica, l’esercizio di un’attività imprenditoriale, in assenza di ragioni di pubblico interesse;
– che peraltro la domanda di risarcimento del danno per equivalente, riferita al periodo di vigenza della legge in esame 1 gennaio 2005-31 dicembre 2006, doveva essere respinta perché rimasta sprovvista di prova: non surrogabile per mezzo di consulenza tecnica d’ufficio, di carattere esplorativo, richiesta solo con una memoria istruttoria successiva alle preclusioni maturate;
– che in ogni caso era pure insussistente l’elemento psicologico del dolo o della colpa dell’Agenzia del territorio, che si era limitata a dare applicazione ad una normativa nazionale, in una materia particolarmente complessa, che aveva dato luogo a contrasti interpretativi nella giurisprudenza di merito: senza che la convenzione-tipo precostituita per la disciplina dei rapporti con le imprese del settore introducesse ulteriori vincoli anticoncorrenziali.
Avverso la sentenza non notificata, la Ifi s.r.l. proponeva ricorso per cassazione notificato l’11 dicembre 2012 e affidato a cinque motivi ed ulteriormente illustrato con memoria ex art. 378 cod. proc. civile.
Resisteva con controricorso l’Agenzia del territorio.
All’udienza del 18 luglio 2013 il Procuratore generale precisava le conclusioni come da verbale, in epigrafe riportate.

Motivi della decisione

Con il primo motivo la ricorrente deduce il vizio di motivazione in ordine alla esclusione del danno, nonostante l’accertamento di una condotta illecita da parte dell’agenzia del territorio.
Il motivo è infondato.
Il pregiudizio cagionato mediante abuso di posizione dominante non è in re ipsa, bensì danno-conseguenza, diverso ed ulteriore rispetto alla distorsione delle regole della concorrenza. Come tale, richiede di essere autonomamente provato secondo i principi generali in tema di responsabilità aquiliana (Cass., sez. 1, 16 gennaio 2013 n. 1000; Cass., sez. 1, 26 marzo 2009 n.7306; Cass., sez. 1, 18 dicembre 2003 n. 19430).
Con il secondo motivo si censura il mancato ingresso della consulenza tecnica richiesta per l’accertamento in punto quantum debeatur.
Il motivo è fondato.
Anche se è esatto che la consulenza tecnica d’ufficio non è mezzo di prova in senso proprio e non può quindi sopperire all’inerzia della parte che abbia omesso, per negligenza, di assolvere l’onere della prova a suo carico, è jus receptum che non è illegittimo il ricorso ad essa per acquisire dati la cui valutazione sia poi rimessa allo stesso ausiliario (c.d. c.t.u. percipiente)): purché la parte li abbia allegati, ponendoli a fondamento della sua domanda ed il loro accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche. (Cass., sez. unite 30 dicembre 2011 n.30.175; Cass., sez.3, 13 marzo 2009 n.6155; Cass., sez.3, 26 novembre 2007 n. 24620). Soprattutto nelle materie in cui occorra ricostruire svolgimenti complessi di rapporti negoziali in fieri o futuri, ai fini della determinazione del lucro cessante per effetto di un evento esterno, l’adozione di questo mezzo istruttorio è pressoché necessitata. L’unica differenza, sotto il profilo processuale è il doveroso rispetto dei termini di decadenza propri dell’istruzione probatoria, visto che l’attività acquisitiva di dati rilevanti partecipa di tale fase processuale, non potendo essere ricondotta, per definizione, alla mera funzione valutativa propria della paradigmatica Ctu c.d. deducente, esperibile senza preclusioni anche in grado di appello.
Resta vero, in ultima analisi, che non si può fare ricorso alla consulenza tecnica per sopperire a lacune istruttorie imputabili alla parte; ma, nella specie, la parte ne aveva prefigurato ab initio l’istanza di ammissione, allegando la gamma di ripercussioni negative in conseguenza dell’applicazione della normativa anticoncorrenziale (perduto avviamento commerciale, maggiori costi, minori introiti, perdita di valore dell’azienda, ecc.), al cui accertamento aveva chiesto darsi seguito con la memoria istruttoria. La stessa produzione di documenti contabili, a conferma del danno emergente e del lucro cessante, esclude nella Ctu una funzione vicariale della prova di cui l’IFI era onerata, attribuendole, per contro, il compito di una ricostruzione, particolarmente complessa, degli effetti dell’abuso di posizione dominante.
Con il terzo motivo si deduce l’erronea esclusione dell’elemento psicologico dell’illecito anticoncorrenziale, che costituisce la seconda autonoma ratio decidendi adottata in sentenza.
Il motivo è fondato.
I soggetti deputati a dare attuazione nell’ordinamento nazionale alle leggi ed atti aventi forza di legge, siano essi organi giurisdizionali o amministrativi, sono tenuti a disapplicare norme interne incompatibili con la normativa comunitaria sovraordinata, se direttamente applicabile (Corte costituzionale 18 aprile 1991 n. 168). Diversamente opinando, si ridurrebbe a mero flatus vocis la tutela offerta ai privati contro gli abusi anticoncorrenziali posti in essere dalla Pubblica amministrazione, dietro l’usbergo della doverosa osservanza degli atti normativi nazionali; e la qualificazione tecnico-giuridica dell’Agenzia del Territorio dev’essere tenuta in adeguata considerazione in sede di accertamento dell’esimente dell’ignoranza incolpevole della gerarchia delle fonti in subiecta materia: onde la positiva esclusione dell’elemento psicologico dell’illecito sulla base della presunta complessità della materia e della legge da applicare si risolve in una motivazione solo apparente.
Il quarto il quinto motivo restano assorbiti dal accoglimento delle censure già esaminate.
La sentenza deve essere quindi cassata con rinvio alla Corte d’appello di Ancona, in diversa composizione, per un nuovo giudizio ed anche per il regolamento delle spese della fase di legittimità.

P.Q.M.

– Accoglie il ricorso, cassa la sentenza e rinvia la causa alla Corte d’appello di Ancona, in diversa composizione, anche per le spese della fase di legittimità.

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