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Suprema Corte di Cassazione

sezione I
sentenza 10 febbraio 2014, n. 6138

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SIOTTO Maria Cristi – Presidente
Dott. BONITO F.M.S. – rel. Consigliere
Dott. BARBARISI Maurizio – Consigliere
Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere
Dott. CAPRIOGLIO Piera Maria – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI GENOVA;
nei confronti di:
(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);
inoltre:
(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);
avverso l’ordinanza n. 2438/2012 TRIB. SORVEGLIANZA di GENOVA, del 11/04/2013;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA SILVIO BONITO;
lette le conclusioni del PG Dott. R. Delehaye il quale ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il Tribunale di sorveglianza di Genova, con ordinanza del giorno 11 aprile 2013, rigettava l’istanza con la quale (OMISSIS), condannato ad anni tre e mesi otto di reclusioni per condotte delittuose accertate a suo carico, quale dirigente della PS, nell’ambito dei noti fatti verificatisi nel (OMISSIS) in occasione del vertice dei capi di stato e di governo del (OMISSIS), aveva chiesto di espiare nelle forme dell’affidamento in prova al servizio sociale la pena di mesi otto, dedotti anni tre per il riconosciuto condono, disponendo nel contempo, ai sensi dell’articolo 1 Legge 199/2010, l’esecuzione di tale residuo di pena nelle forme della detenzione domiciliare.
A sostegno della decisione il tribunale, articolando una ampia, diffusa ed argomentata motivazione, valorizzava, innanzitutto, la natura e la “estrema” gravita’ dei fatti, la contrarieta’ delle condotte giudicate, tenuto conto delle funzioni esercitate in tali ambiti dal condannato, ai principi della nostra Costituzione e dalla CEDU e del discredito internazionale cagionato; la mancanza in capo all’interessato di un serio atteggiamento di revisione critica del suo comportamento e delle sue responsabilita’, dedotta, quest’ultima, dal comportamento processuale (improntato ad una negazione delle responsabilita’); dall’indifferenza evidenziata rispetto ad un volontario atteggiamento riparatorio e risarcitorio in favore delle vittime del reato; dal rifiuto di una pubblica dichiarazione autocritica. Non mancava inoltre il tribunale di prendere atto del curriculum professionale del condannato, di elevato profilo, della relazione dell’UEPE, favorevole alle ragioni del medesimo, delle attivita’ di volontariato di recente intraprese, circostanze queste che il giudice di prime cure bilanciava pero’ in termini di subvalenza rispetto a quelle negative come innanzi ritenute.
Precisava infine il tribunale che il giudizio di non meritevolezza pregiudicava negativamente non soltanto la richiesta di affidamento al servizio sociale, bensi’ anche quella relativa alla detenzione domiciliare, misura alternativa quest’ultima che veniva comunque riconosciuta non gia’ ai sensi dell’articolo 47 ter O.P. (ostandovi appunto il giudizio di non mertitevolezza) ma ai sensi della Legge n. 199 del 2010, articolo 1. Tale disposizione normativa infatti, ad avviso del Tribunale, ricorrendo i requisiti di legge ivi previsti, impone l’esecuzione della pena infrannuale nelle forme della detenzione domiciliare indipendentemente da una preventiva valutazione di meritevolezza o meno.
2. Ricorrono per cassazione avverso detto provvedimento sia il Procuratore generale della repubblica presso la Corte di appello di Genova, sia il (OMISSIS), assistito dal difensore di fiducia.
2.1 Il rappresentante della pubblica accusa denuncia violazione della Legge n. 199 del 2010, articolo 1, e difetto di motivazione sul punto, per un verso, perche’ negato il requisito della meritevolezza ai fini dell’applicazione della disciplina di favore e, per altro verso, per la contraddittorieta’ del riconoscimento impugnato in costanza appunto di un argomentato giudizio di non meritevolezza.
2.2 La difesa del (OMISSIS), da parte sua, sviluppa tre motivi di impugnazione.
2.2.1 Col primo di essi denuncia la difesa ricorrente vizio logico della motivazione e travisamento degli atti processuali in particolare osservando: la gravita’ del reato, per costante insegnamento giurisprudenziale del giudice di legittimita’, non puo’ avere rilievo decisivo nel pronunciamento relativo alla concessione delle misure alternative al carcere, dovendosi valutare la personalita’ del condannato anche ai fini di verificare l’avviamento di un profondo processo di revisione critica; la motivazione impugnata argomenta sia in relazione alla gravita’ della condotta, sia in relazione alla personalita’ dell’istante ed alla mancanza di un apprezzabile atteggiamento autocritico della sua condotta delittuosa; le conclusioni giudiziali si appalesano pero’ in aperto contrasto con l’argomentata relazione dell’UEPE, col giudizio favorevole espresso in tale sede, con l’attivita’ di volontariato intrapresa dal febbraio 2013 dall’interessato e con l’attivita’ lavorativa dallo stesso svolta (di consulente per la sicurezza in favore di un importante istituto di credito) in costanza della sospensione dal servizio per anni cinque; di qui il travisamento della relazione richiamata, non adeguatamente percepita nei suoi profili favorevoli all’istante.
2.2.2 Col secondo motivo di impugnazione denuncia invece la difesa ricorrente violazione dell’articolo 47 O.P., in particolare osservando: ai fini del rigetto della istanza difensiva il Tribunale ha particolarmente valorizzato la mancanza e comunque l’insufficienza di una spontanea attivita’ di riparazione delle vittime da parte del ricorrente; siffatta circostanza non integra requisito previsto dalla legge per il riconoscimento del beneficio; i profili risarcitori delle condotte delittuose sono disciplinati ex professo da articoli del codice penale (Legge 1, Tit. 7, in particolare l’articolo 185).
2.2.3 Col terzo ed ultimo motivo di censura si duole la difesa ricorrente della violazione dell’articolo 47 ter O.P. e della illogicita’ della motivazione sul punto, in particolare osservando: illegittimamente il Tribunale ha negato il beneficio in parola sul rilievo del mancato avvio del processo di emenda; l’articolo 47 ter O.P. infatti prescinde dalla circostanza valorizzata dai giudicanti, posto che essa prescrive l’accertamento che la misura sia idonea ad evitare il pericolo che il condannato commetta altri reati; di qui la violazione di legge denunciata, violazione che diventa illogicita’ della motivazione allorche’, al fine di riconoscere il beneficio della detenzione domiciliare ai sensi della Legge n. 199 del 2010, articolo 1, il tribunale valorizza proprio quella circostanza e cioe’ che non sussiste pericolo di recidivanza.
2.2.4 Con memoria aggiunta depositata il giorno 11 novembre 2013, la difesa del (OMISSIS) ha insistito nelle ragioni gia’ esposte ed argomentate col ricorso principale, per poi confutare quelle esposte dal P.G. territoriale ricorrente quanto alla legittimita’ o meno dell’applicazione della Legge n. 199 del 2010, articolo 1, non mancando poi di censurare la interruzione della detenzione domiciliare improvvidamente disposta (per la difesa) dal tribunale di sorveglianza genovese su richiesta irrituale della procura generale.
3. Entrambi i ricorsi sono infondati.
3.1 Infondato in particolare e’ la doglianza prospettata dal P.G. genovese.
La Legge n. 199 del 2010, ha introdotto una speciale modalita’ di esecuzione della pena, volta ad attuare il principio del finalismo rieducativo, sancito dall’articolo 27 Cost., e per rendere nel contempo possibile l’esecuzione delle pene detentive brevi in luoghi esterni ai carcere, attesa la situazione di emergenza nella quale si trovano le strutture penitenziarie italiane.
L’istituto, che prevede l’esecuzione della pena detentiva presso l’abitazione del condannato o altro luogo pubblico o privato di cura e che si caratterizza per la sua efficacia temporanea, limitata temporalmente, ai sensi dell’articolo 1, comma 1, “alla completa attuazione del piano straordinario penitenziario nonche’ in attesa della riforma della disciplina delle misure alternative alla detenzione e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2013”, si applica soltanto ai condannati a pena detentiva non superiore a diciotto mesi, anche se costituente parte residua di maggior pena, ritenuti di scarsa pericolosita’.
La legge, infatti, esclude l’applicabilita’ della disciplina in parola nei confronti di soggetti condannati per taluno dei delitti indicati dall’articolo 4 bis Ord. Pen., dei delinquenti abituali, professionali o per tendenza e dei detenuti sottoposti al regime di sorveglianza particolare ai sensi dell’articolo 14 bis Ord. Pen. (salvo che sia stato accolto il reclamo previsto dal successivo articolo 14 ter) e in presenza del concreto pericolo di fuga o di commissione di altri delitti e di insussistenza della idoneita’ e della effettivita’ del domicilio, anche in funzione delle esigenze di tutela delle persone offese dal reato, a norma dell’articolo 1, comma 2.
Il dettato normativo rende palese, ad avviso del Collegio, che la detenzione domiciliare regolamentata dalla novella, al fini dichiarato di perseguire nel tempo limitato fissato dal legislatore lo scopo di alleggerire il carico carcerario, deve, e non soltanto puo’, essere eseguita nelle forme da essa fissata anche in deroga alle regole generali poste dall’articolo 47 ter O.P., e col solo limite della ostativita’ indotta da un giudizio di pericolosita’.
Di qui la corretta applicazione dell’istituto da parte del giudice territoriale il quale, prescindendo dalla meritevolezza della misura, in concreto negata per i profili ampiamente menzionati innanzi, ha comunque ritenuto di dover applicare la disciplina di cui all’articolo 1 Legge 199/2010 ricorrendo il requisito della entita’ della pena da espiare, quello temporale (il momento dell’applicazione) e quelli non ostativi del reato in espiazione e della non pericolosita’ del condannato.
E’ appena il caso di aggiungere che una mera sovrapposizione della regolamentazione normativa della detenzione domiciliare di cui all’articolo 47 ter O.P. con le modalita’ di cui alla Legge n. 199 del 2010, articolo 1, priverebbe di senso legislativo la novella e la disciplina in essa contenuta ed essa e’ comunque esplicitamente esclusa dal disposto del comma 8 della norma in esame, laddove si chiarisce che le disposizioni dell’articolo 47 ter P.P. sono applicabili in quanto compatibili con la nuova disciplina.
3.2.1 Venendo ora al ricorso del condannato, osserva il Collegio che va preliminarmente evidenziata la inammissibilita’ della censura articolata con il terzo motivo di impugnazione per evidente mancanza di interesse.
Ed invero la doglianza mira all’annullamento dell’ordinanza impugnata la’ dove non ha accolto la concessione della misura alternativa della detenzione domiciliare, beneficio comunque riconosciuto in concreto ancorche’ in forza di una norma diversa da quella difensivamente invocata, ne’ l’eventuale accoglimento sul punto della impugnazione in esame porterebbe ad effetti concreti positivi per l’istante diversi da quelli gia’ riconosciuti.
3.2.2 Infondati devono infine ritenersi il primo ed il secondo motivo sviluppati dalla difesa del (OMISSIS).
Ed in vero giova in premessa ribadire che la funzione dell’indagine di legittimita’ sulla motivazione non e’ quella di sindacare l’intrinseca attendibilita’ dei risultati dell’interpretazione delle prove e di attingere il merito dell’analisi ricostruttiva dei fatti, bensi’ quella, del tutto diversa, di accertare se gli elementi probatori posti a base della decisione siano stati valutati seguendo le regole della logica e secondo linee argomentative adeguate, che rendano giustificate, sul piano della consequenzialita’, le conclusioni tratte, verificando la congruenza dei passaggi logici. Ne consegue che, ad una logica valutazione dei fatti operata dal giudice di merito, non puo’ quello di legittimita’ opporne un’altra, ancorche’ altrettanto logica (Cass. 5.12.02 Schiavone; Cass. 6.05.03 Curcillo; cfr. Sez. 4, n. 15227 dell’11/4/2008, Baratti, Rv. 239735; cfr. in termini: Cass. sez. 2, sentenza n. 7380 dell’11/01/2007, dep. il 22/02/2007, Rv. 235716, imp. Messina; Sez. 6, n. 1307 del 14/1/2003, Delvai, Rv. 223061).
Orbene, nel caso in esame palese e’ la natura di merito delle argomentazioni difensive, giacche’ volte le medesime, a fronte di un’ampia, diffusa e lodevolmente esaustiva motivazione del giudice territoriale, a differentemente valutare le acquisizioni del compendio istruttorio puntualmente da esso richiamati e valorizzati, onde poi accreditare conclusioni alternative a quelle logicamente dedotte con l’ordinanza impugnata.
Non puo’ infatti negarsi la legittimita’ di considerare ai fini della concessione della misura, in primo luogo e con funzione preminente nel sillogismo logico della decisione, il reato per il quale e’ stata inflitta la pena detentiva da espiare, nel caso di specie, con argomentare di esemplare logicita’ ritenuto di gravita’ estrema, per i fatti in se’ considerati (il pestaggio forsennato, di inaudita violenza e privo di alcuna ragione di inermi dimostranti colti nel sonno mentre si trovavano nel chiuso di un edificio scolastico) per la condotta direttamente riferibile al condannato (dirigente di polizia, tutore della legge e della legalita’ che si presta a comportamenti illegali di copertura poliziesca proprii dei peggiori regimi antidemocratici, in violazione di diritti fondamentali – di liberta’, di tutela giudiziaria, della dignita’ della persona – riconosciuti in tutte le democrazie occidentali, nella nostra suprema carta e nella stessa CEDU) per il clamore provocato dalle vicende ed il conseguente discredito internazionale caduto sul nostro Paese.
A tale dato, giova ribadirlo, di straordinaria valenza decisoria per il giudice territoriale, il Tribunale ha poi giustapposto, anche per questo profilo con diffuso argomentare, articolato con stretta coerenza logica, la constatazione di una non apprezzabile predisposizione del condannato ad un ripensamento critico della sua condotta, dedotta dalla sua indifferenza rispetto ad una prospettiva risarcitoria volontaria delle vittime, dalla lettura minimale delle sue responsabilita’, dal rifiuto di esprimere pubblica ammenda per quanto accaduto in riferimento alle sue colpe.
Ne’ ha mancato il tribunale, ancora una volta con esemplare completezza argomentativa, di considerare i dati positivi all’istante desumibili del compendio istruttorio, in particolare il curriculum professionale, la relazione dell’UEPE, il suo recentissimo impegno di volontariato in uno con quello lavorativo dopo la sospensione dal servizio, valutazione riportata correttamente nel contesto di una bilanciamento e motivatamente giudicato in termini sub valenti rispetto ai dati sfavorevoli, considerati, per il loro peso ed il loro rilievo ai fini del giudizio, di piu’ incidente decisivita’.
La lamentata censura motivazionale deve pertanto ritenersi manifestamente infondata.
3.2.3 Infondati si appalesano infine i profili di doglianza relativi alla denunciata violazione di legge.
Per un verso va infatti posto in evidenza che nel caso in esame la gravita’ del fatto nei termini valorizzati dal giudice territoriale e’ stata considerata come circostanza importante ma non certo esclusiva della decisione e tanto in perfetta coerenza con l’insegnamento del giudice di legittimita’, mentre, per altro verso, la sbiadita volonta’ del condannato di considerare l’importanza di un atteggiamento risarcitorio in favore delle vittime non e’ stato affatto considerato come requisito negativo della decisione, bensi’ come circostanza anche questa significativa e sintomatica, insieme agli altri argomenti innanzi riportati, di quella mancanza di processo autocritico, questo si decisivo per la decisione.
4. In conclusione deve provvedersi nel senso del rigetto di entrambi i ricorsi, con la condanna del ricorrente (OMISSIS), ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.
P.T.M.
la Corte, rigetta i ricorsi e condanna (OMISSIS) al pagamento delle spese processuali.

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