Corte di Cassazione, sezione I penale, sentenza 22 dicembre 2016, n. 54590 

Il giudizio di tenuità richiede che il fatto sia valutato globalmente, considerando una serie di parametri, quali la natura del reato e la pena edittale, l’allarme sociale provocato, la capacità a delinquere, le ragioni che hanno spinto il minore a compiere il reato e le modalità con le quali esso è stato eseguito, così da stabilire se il fatto sia tale da determinare modeste reazioni e preoccupazioni nella comunità.
L’occasionalità indica, invece, la mancanza di reiterazione di condotte penalmente rilevanti, senza coincidere con lo stato di incensuratezza, mentre il pregiudizio per le esigenze educative del minore comporta una prognosi negativa in ordine alla prosecuzione del processo, improntato, più che alla repressione, al recupero della devianza del minore stesso.

Suprema Corte di Cassazione

sezione I penale

sentenza 22 dicembre 2016, n. 54590 

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 7 settembre 2015 il Tribunale per i minorenni di Brescia, Ufficio dei Giudice per l’udienza preliminare, ha dichiarato non doversi procedere per irrilevanza del fatto nei confronti di L.J., imputato del reato di cui all’art. 4 legge n. 110 del 1975 per avere portato fuori dalla propria abitazione, senza giustificato motivo, in data 10 ottobre 2013 un “nunchaku” composto da due bastoni e una catena, utilizzato nelle arti marziali e da ritenere utilizzabile per le circostanze di tempo e di luogo per l’offesa alla persona (capo a), e dei reato di cui all’art. 612, comma 2, cod. pen. per avere, nella stessa occasione, minacciato S. C. di un danno ingiusto con le frasi “io ti ammazzo, ti spacco la faccia”, colpendolo ripetutamente con il predetto oggetto (capo b).
1.1. II Tribunale riteneva legittime le imputazioni sulla base delle risultanze degli elementi di prova emergenti dalla comunicazione di notizia di reato della Questura di Brescia dei 11 ottobre 2013, dall’annotazione e dal verbale di sequestro e dalle sommarie informazioni rese dalla indicata persona offesa, rappresentando in fatto che l’imputato era stato trovato in possesso dell’indicato oggetto mentre era per strada a Brescia e aveva minacciato un danno ingiusto alla persona offesa, che lo aveva fatto cadere dalla bicicletta e preso in giro, come confermato in udienza dallo stesso imputato, che si era dichiarato pentito per il suo comportamento e aveva affermato di essersi scusato nello stesso giorno con la persona offesa.
1.2. Tanto premesso il Tribunale rilevava, a ragione della decisione, che:
– l’imputato era capace di intendere e di volere, avuto riguardo alle modalità di esecuzione del reato e alla sua condotta processuale, e atto per la sua maturità psichica a rendersi conto della illiceità della sua azione;
– era integrata l’ipotesi della irrilevanza dei fatto, alla luce dello scarso allarme sociale determinato dal comportamento tenuto dall’imputato, consistito nel portare fuori dall’abitazione il “nunchaku”, come era solito fare nel suo paese di origine, e ad apostrofare con frasi minacciose la persona offesa, che lo aveva provocato, facendolo cadere a terra, e deriso;
– la eventuale prosecuzione dei procedimento avrebbe potuto recare pregiudizio alle esigenze educative del minore, in atto lavoratore con contratto quale cameriere in un ristorante.
2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Brescia, che ne chiede l’annullamento sulla base di due motivi.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in punto di tenuità del fatto.
Secondo il ricorrente, il Giudice ha aderito in maniera acritica alla tesi difensiva, poiché l’esistenza della provocazione e la condotta attribuita alla persona offesa sono sorrette dalle sole dichiarazioni dell’imputato, richiamate nella stessa sentenza, senza essersi valutate le dichiarazioni rese – e ripercorse nel ricorso- dalla persona offesa avanti alla Polizia giudiziaria presso la Procura minorile, delegata dal Pubblico ministero titolare delle indagini, anche solo per confutarle.
Né il Giudice, che ha fondato l’opinione della tenuità dei reato di cui al capo b) sulla condotta della persona offesa, in astratto idonea a configurare provocazione, data per provata, ha dato conto della ragione del porto dell’arma, di cui al capo a), che l’imputato ha indicato nella consegna della stessa, da lui qualificata come “gioco”, a un amico, introducendo l’affermazione, non sorretta neppure dalle dichiarazioni dell’imputato, che lo stesso avesse portato il “nunchaku” fuori dall’abitazione “come era solito fare nel suo paese di origine”, neppure indicandosi da quanto tempo lo stesso fosse in Italia e quali attività avesse svolto in Cina.
In ogni caso, le considerazioni svolte sono prive di basi oggettive e trascurano l’orientamento di questa Corte che considera l’indicato strumento arma comune non da sparo o bianca, idonea a strangolare, oltre che a colpire e ledere.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., inosservanza o erronea applicazione della legge penale, con riguardo ai requisiti per il giudizio di irrilevanza del fatto da farsi globalmente, considerando una serie di parametri elaborati dalla giurisprudenza, mentre nella specie la provocazione è contraddetta dalle specifiche risultanze processuali, il porto non può ritenersi tenue e la minaccia deve essere contestualizzata in un’aggressione ai danni della persona offesa e di altro passante.

Considerato in diritto

1. II ricorso è fondato.
2. Si premette in diritto che l’art. 27 del d.P.R. n. 448 del 1988, prevede – nell’ambito delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni­una particolare causa di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto, quando sussistono contemporaneamente tre requisiti: la tenuità del fatto, l’occasionalità dei comportamento e il pregiudizio per le esigenze educative del minore derivante dall’ulteriore corso del procedimento.
Secondo la condivisa giurisprudenza di questa Corte, il giudizio di tenuità richiede che il fatto sia valutato globalmente, considerando una serie di parametri, quali la natura del reato e la pena edittale, l’allarme sociale provocato, la capacità a delinquere, le ragioni che hanno spinto il minore a compiere il reato e le modalità con le quali esso è stato eseguito, così da stabilire se il fatto sia tale da determinare modeste reazioni e preoccupazioni nella comunità.
L’occasionalità indica, invece, la mancanza di reiterazione di condotte penalmente rilevanti, senza coincidere con lo stato di incensuratezza, mentre il pregiudizio per le esigenze educative del minore comporta una prognosi negativa in ordine alla prosecuzione del processo, improntato, più che alla repressione, al recupero della devianza del minore stesso (tra le altre, Sez. 2, n. 32692 del 13/07/2010, P.M. in proc. S., Rv. 248267; Sez. 6, n. 27648 del 25/05/2011, S., Rv. 250734; Sez. 6, n. 44773 del07/10/2015, H., Rv. 265488).
3. Di tali condivisi principi la sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione.
3.1. II Tribunale, che ha richiamato gli elementi tratti dalle enunciate fonti di prova (comunicazione di notizia di reato, annotazione e verbale di sequestro, sommarie informazioni testimoniali della persona offesa) e che ha giudicato le emergenze probatorie tali da far ritenere legittime le contestate imputazioni, ha valorizzato, quale ulteriore passaggio argomentativo, le dichiarazioni rese dall’imputato in udienza, apprezzate come dimostrative della condotta provocatoria tenuta dalla persona offesa e giustificative della condotta reattiva tenuta dall’imputato, apostrofando, con frasi minacciose di ingiusto danno (già giudicate provate), la persona offesa.
Tale ricostruzione fattuale, che, è stata giudicata tale da far ritenere conseguito al comportamento dell’imputato uno scarso allarme sociale, è contestata dal ricorrente, che richiamando, e riportando testualmente, le dichiarazioni rese dalla persona offesa, si duole dell’omesso confronto con le stesse della sentenza impugnata, che, astraendo da esse, pur dopo aver dato atto della loro valenza probatoria, né le ha valutate né le ha confutate in rapporto ai loro contenuti, contrastanti con la tesi dell’imputato, che, secondo la svolta disamina, è stata confermata in udienza con l’aggiunta del pentimento dello stesso, quale autore del fatto, e delle sue, già espresse, scuse verso la persona offesa.
3.2. La pertinenza delle deduzioni del ricorrente alla dimostrazione della incongruenza -al fine della prova della tenuità del fatto- del discorso giustificativo della decisione è ulteriormente attestata dal ridimensionamento della condotta di porto del “nunchaku” -già attribuita all’imputato a’ termini della imputazione di cui all’art. 4 legge n. 110 del 1975, riscontratane la legittimità- operata dal Tribunale sulla base di una affermata coerenza del porto con quanto lo stesso imputato “era solito fare nel suo paese d’origine”.
Il rinvio a comportamento tenuto dall’imputato in altri contesti, neppure circostanziato quanto a tempi e modi, né quanto alla fonte di informazione, è non solo generico laddove il ricorrente contrappone la mancanza di alcuna deduzione al riguardo per opera dello stesso imputato, ma è anche incoerente in diritto laddove il “nunchaku” rientra, per condiviso orientamento di legittimità, nel novero delle armi comuni non da sparo o “bianche” (tra le altre, Sez. 6, n. 5066 del 10/12/2013, dep. 2014, Hassanein, Rv. 258522), il cui porto ingiustificato fuori dall’abitazione costituisce reato, a norma dell’art. 4, comma 2, legge n. 110 del 1975, per “tutti coloro che, cittadini o stranieri, si trovano nel territorio dello Stato”, secondo le regole in tema di obbligatorietà della legge penale fissate dall’art. 3, primo comma, cod. pen., e il cui disvalore, con il correlato riferimento all’allarme sociale provocato, deve essere giudicato secondo le regole del luogo in cui il fatto è commesso.
3.3. Tali rilievi, che rendono conto dei vizio argomentativo della sentenza, ne esprimono anche la non conformità al parametro legislativo di cui al citato art. 27, essendosi ritenuto il fatto di lieve entità sulla base dei due aspetti della condotta dell’imputato (l’essersi lo stesso limitato a “portare fuori dall’abitazione il nunchaku come era solito fare nel suo paese d’origine” e a “apostrofare la p.o. solo perché provocato da quest’ultima che lo aveva fatto cadere a terra e lo aveva deriso”), già ritenuti non immuni dai denunciati vizi.
Essi hanno carattere assorbente rispetto a ogni ulteriore considerazione e censura, che, relative agli altri necessari concorrenti requisiti, rimangono non precluse.
4. La sentenza impugnata deve essere, quindi, annullata con rinvio al Tribunale per i minorenni di Brescia, che, in coerenza con quanto rappresentato, dovrà procedere a nuovo giudizio, in piena libertà di giudizio ma con motivazione completa e immune da vizi logici e giuridici.
Trattandosi di imputato minorenne va disposta, come in dispositivo, l’annotazione di cui all’art. 52, comma 1, d.lgs. 30/06/2003, n. 196, recante il “codice in materia di protezione dei dati personali”.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale per i minorenni di Brescia.
Dispone omettersi, in caso di diffusione del presente provvedimento, le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 d.lgs. 196/2003 in quanto imposto dalla legge.
Così deciso il 15/04/2016

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