Corte di Cassazione, sezione I penale, sentenza 13 dicembre 2016, n. 52819

Per spazio minimo individuale in cella collettiva va intesa la superficie della camera detentiva fruibile dal singolo detenuto e idonea al movimento, il che comporta la necessità di detrarre dalla complessiva superficie non solo lo spazio destinato ai servizi igienici e quello occupato dagli arredi fissi ma anche quello occupato dal letto

Suprema Corte di Cassazione

sezione I penale

sentenza 13 dicembre 2016, n. 52819

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VECCHIO Massimo – Presidente

Dott. NOVIK Adet Toni – Consigliere

Dott. SANDRINI Enrico Giusepp – Consigliere

Dott. MANCUSO Luigi Fabrizio – Consigliere

Dott. MAGI Raffaello – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

avverso l’ordinanza n. 241/2014 TRIB. SORVEGLIANZA di PERUGIA, del 02/10/2014;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. RAFFAELLO MAGI;

lette le conclusioni del PG Dott. Mario Pinelli, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

IN FATTO E IN DIRITTO

1. Il Tribunale di Sorveglianza di Perugia (ord. 890 del 2014) in data 2 ottobre 2014 ha respinto il reclamo proposto da (OMISSIS), in tema di tutela inibitoria e risarcitoria ex articolo 35 bis e ter ord.pen., avverso la decisione emessa dal Magistrato di Sorveglianza in data di (OMISSIS).

1.1 L’azione sostenuta dal detenuto in secondo grado, per come risulta dal provvedimento impugnato, ha carattere essenzialmente inibitorio (rimozione degli ostacoli alla fruizione dei diritti soggettivi) pur se in prima istanza – innanzi al Magistrato di Sorveglianza – era stata formulata congiunta istanza risarcitoria, rientrante nella previsione di legge di cui all’attuale articolo 35 ter ord.pen..

1.2 Il Tribunale di Sorveglianza esamina, in via prioritaria, la questione dello spazio vitale minimo interno alla camera detentiva, stante la denunzia di sovraffollamento posta a base del reclamo (in una con altri aspetti accessori, anch’essi valutati).

In tale contesto, il Tribunale richiama i recenti arresti della CEDU e si pone il problema – a fronte dei dati istruttori comunicati dalla Direzione dell’istituto – di stabilire la metodologia di calcolo dello spazio vitale in cella collettiva, partendo dal presupposto di una assenza di indicazioni specifiche da parte della Corte Europea sulle modalita’ di computo.

1.3 Va pertanto rievocato il contenuto del provvedimento, nei sensi che seguono:

a) la superficie utile riferita al singolo occupante deve essere conteggiata includendo le dimensioni del letto. Cio’ in rapporto alla considerazione per cui, anche in ragione della ampia fascia oraria di socialita’ a celle aperte (in concreto fruibile da parte dei reclusi) le ore trascorse all’interno della stanza sono dedicate in larga misura ad attivita’ sedentarie, la qual cosa evoca la centralita’ del letto quale superficie di appoggio, pertanto inidonea a limitare lo spazio vitale. Va altresi’ ritenuto irrilevante l’ingombro derivante da tavolini o sedie;

b) vanno invece esclusi dal computo della superficie utile, oltre allo spazio dedicato al bagno (pur se annesso alla stanza) i manufatti fissi poggianti sul pavimento e le mensole o i pensili posti ad una altezza inferiore a mt. 1,70, posto che determinano una superficie di “ingombro” suscettibile di togliere spazio a chi si trova ad occupare la stanza detentiva.

1.4 In aderenza a tale criterio di misurazione il Tribunale espone che il reclamante ha avuto a disposizione, presso la Casa di Reclusione di Spoleto ed in cella collettiva, in un primo periodo mq. 4.64 ed in un secondo periodo (che comprende l’attualita’) mq. 3.75.

Cio’ porta a ritenere infondata la denunzia di trattamento inumano o degradante, non essendosi mai verificata una offerta di spazio minimo inferiore ai tre metri quadrati.

Peraltro, li’ dove lo spazio minimo si e’ collocato tra i tre ed i quattro metri quadrati (nel secondo periodo) la esistenza di una buona offerta complessiva (sezione aperta con ampia fascia oraria di socialita’) esclude, parimenti, la violazione dei parametri derivanti dalla interpretazione dell’articolo 3 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali.

1.5 Viene altresi’ affermato che l’assenza di acqua calda nella cella e’ compensata dalla possibilita’ di fruire della doccia esterna (con acqua calda) giornalmente, e che i problemi di illuminazione, evidenziati nel reclamo, risultano oggetto di intervento teso a ripristinare la funzionalita’ degli impianti.

2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione – con personale sottoscrizione – (OMISSIS), deducendo erronea applicazione della disciplina regolatrice.

2.1 Nel ricorso si evidenzia come la valutazione della carenza di spazio minimo vitale in cella collettiva – secondo gli arresti della CEDU – non puo’ essere operata di per se’ ma deve tener conto di altri fattori concorrenti. Si evidenzia in particolare come l’auspicio formulato dal CPT (Comitato per la prevenzione della tortura o dei trattamenti inumani o degradanti) era teso alla disponibilita’ di almeno quattro metri quadrati individuali in cella collettiva. Si contesta la funzione di riequilibrio assegnata alle condizioni concorrenti, posto che l’acqua calda e’ presente solo nelle docce esterne, in numero di due per tutta la sezione, e il riscaldamento invernale della cella e’ del tutto insufficiente.

3. Il ricorso e’ fondato, per le ragioni che seguono.

3.1 Appare preliminare ad ogni statuizione – circa la sussistenza o meno degli estremi del trattamento inumano o degradante ed in ordine alla congruita’ dell’assetto interpretativo e motivazionale esposto dal Tribunale – la verifica delle modalita’ di computo dello spazio minimo vitale per l’individuo posto in cella collettiva.

3.2 E’ lo stesso andamento motivazionale del provvedimento impugnato, che correttamente ha esplicitato i criteri di misurazione, a rendere necessaria la precisazione, posto che la “quota” dei tre metri quadrati di spazio vitale e’ quella al di sotto del quale si verifica, secondo le linee interpretative esposte dalla CEDU: a) l’esistenza di per se’ della violazione dei contenuti prescrittivi dell’articolo 3 Conv. Eur., senza possibilita’ di compensazioni derivanti dalla bonta’ della residua offerta di servizi o di spazi comuni esterni alla cella (in tal senso, tra le altre, le decisioni Sulejmanovic contro Italia del 6.11.2009 e Torreggiani contro Italia del 8.1.2013); b) la forte presunzione di trattamento inumano o degradante, compensabile – eventualmente – con la considerazione del tempo ristretto di permanenza in tale ambiente e con l’esistenza di una complessiva concorrenza di aspetti positivi del trattamento individuale secondo la decisione Mursic contro Croazia del 12 marzo 2015 (tale e’ da ritenersi l’orientamento prevalente in sede CEDU, essendo intervenuta – in epoca successiva alla camera di consiglio relativa alla presente decisione -, la sentenza della Grande Camera nel citato caso Mursic contro Croazia, in data 20 ottobre 2016, della quale il Collegio terra’ conto al fine di meglio illustrare le coordinate interpretative sul tema trattato).

3.3 Questa Corte ha gia’ fornito, in alcune decisioni, indicazioni sulla modalita’ di computo dello spazio minimo individuale in cella collettiva, secondo le coordinate interpretative estraibili dalla decisione CEDU nel caso Torreggiani ed altri contro Italia.

3.4 In particolare, nel respingere il ricorso per cassazione proposto dal Pubblico Ministero nel caso Berni (sentenza num. 5728 del 2014), caratterizzato dalla evenienza rappresentata dalla scelta del Magistrato di Sorveglianza di detrarre dalla superficie utile l’ingombro del mobilio, e’ stato affermato, tra l’altro, che:.. nella specie, il ricorrente censura che il giudice a quo non si sarebbe attenuto al canone fissato dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, in particolare colla sentenza pilota dell’8 gennaio 2013, Torreggiani, circa la determinazione dello spazio minimo intramurario da assicurare a ogni detenuto perche’ lo stato non incorra nella violazione del divieto dei trattamenti inumani e degradanti, stabilito dall’articolo 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, adottata a Roma il 4 novembre 1950 e resa esecutiva con L. 4 agosto 1955, n. 848. 4.3 – Nel sancire il divieto (della tortura,) delle pene e dei trattamenti inumani o degradanti, l’articolo 3 della Convenzione cit. non ha tipizzato le condotte integratrici della violazione del divieto. Analogamente neppure l’articolo 27 Cost., comma 2, stabilendo che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanita’”, ha stabilito alcuno specifico canone per la determinazione dei trattamenti vietati. Con particolare riferimento agli spazi intramurari l’articolo 6 dell’Ordinamento penitenziario prescrive, al comma primo, che “i locali nei quali si svolge la vita dei detenuti devono essere di ampiezza sufficiente…” e, al comma secondo, che “i locali destinati al pernottamento consistono in camere dotate di uno o piu’ posti”. La corrispondente disposizione dell’articolo 6 del Regolamento penitenziario non contiene alcuno stardard o parametro metrico in ordine alle dimensioni dei locali destinati al soggiorno dei detenuti e delle celle di pernottamento (..) Anche alla luce di criteri elaborati dal Comitato per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti disumani o degradanti, la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, mediante plurimi arresti, ha fissato canoni particolari in funzione di specifici standard dimensionali in ordine alla superficie degli spazi intramurari. (..) Adito dalla doglianza del detenuto, di sottoposizione a trattamento inumano o degradante, per essere ristretto in ambienti carcerari di ampiezza cosi’ esigua da non soddisfare i requisiti minimi della abitabilita’ intramuraria fissati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, il giudice del reclamo e’ chiamato ad accertare e valutare la condizione di fatto della carcerazione; e tale valutazione e’ operata esclusivamente alla stregua dei canoni e degli standard giurisprudenziali, in difetto di alcuna disposizione normativa e tampoco legislativa o codicistica. Sicche’ lo scrutinio compiuto sulla base della regola di giudizio di matrice giurisprudenziale e’ sindacabile, sotto il profilo della violazione di legge, esclusivamente in relazione al vizio della motivazione ai sensi dell’articolo 125 c.p.p., comma 3, in relazione all’articolo 69 ord. pen., comma 6 (come integrato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 26 dell’11 febbraio 1999) e in relazione all’articolo 71 ter dell’Ordinamento cit., e, cioe’, sotto il profilo della mancanza di motivazione. Tale vizio e’ pacificamente fuori discussione nel caso in esame. Il giudice a quo ha dato conto adeguatamente (..) delle ragioni della propria decisione, sorretta da motivazione congrua e, pertanto, sottratta a ogni sindacato nella sede del presente scrutinio di legittimita’. E per incidens – deve osservarsi che la inammissibilita’ del ricorso preclude il positivo vaglio della fondatezza della valutazione operata dal magistrato di sorveglianza il quale si e’ esattamente uniformato al criterio stabilito dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo nella citata sentenza pilota, avendo scomputato dalla superficie lorda della cella del reclamante lo spazio occupato dall’arredo fisso dell’armadio allocato nel vano; mentre non e’ condivisibile l’obiezione del Pubblico Ministero concludente, fondata sulla mancata specificazione della superficie di ingombro da parte della Corte Europea dei diritti dell’uomo nell’arresto in parola; gli e’ che, avendo quel giudice accertato, nel caso scrutinato, che la superficie della cella era pari al limite minimo di tre metri quadrati, sarebbe stata affatto superflua e irrilevante la determinazione dello spazio occupato dal mobilio, in quanto necessariamente l’ingombro – a prescindere dalla ampiezza della superficie occupata- comportava indefettibilmente l’inosservanza dello standard dei tre metri quadrati…

3.5 Con detta decisione, sia pure attraverso l’utilizzo di una – voluta precisazione non strettamente necessaria, si e’ dunque fornita conferma alla opzione interpretativa che intende i tre metri quadrati – piu’ volte indicati come criterio di riferimento nelle decisioni emesse dalla CEDU – come spazio utile al fine di garantire il “movimento” del soggetto recluso nello spazio detentivo, il che esclude di poter inglobare nel computo gli arredi fissi, in ragione dell’ingombro che ne deriva.

Si tratta di una logica considerazione, correlata alla funzione che la nozione dello “spazio minimo vitale” assolve nel quadro della complessa ricostruzione dei parametri di un trattamento carcerario, affinche’ lo stesso possa essere ritenuto conforme ai contenuti dell’articolo 3 Conv. Eur..

3.6 Circa tale assetto interpretativo, teso ad escludere dal computo della superficie minima individuale in cella collettiva sia la parte destinata ai servizi igienici (non solo ingombrante ma destinata a funzioni diverse da quelle correlate al movimento) che quella destinata ad arredi fissi (armadietti o mensole sporgenti) non pare sussistere alcun contrasto interno in sede di legittimita’, essendo gli ulteriori arresti sul tema (tra cui Sez. VII del 18.11.2015 ric. Borrelli) condizionati, nei loro esiti, dalle prospettazioni coltivate dai ricorrenti nei singoli atti di ricorso.

3.7 Cio’ posto, l’unico reale aspetto di novita’ – che caratterizza la presente decisione – riguarda la considerazione o meno in termini di “ingombro” dello spazio occupato nella camera detentiva dal letto, che per comune esperienza e’ tipologicamente un letto a castello (la camera detentiva non e’ singola) dal peso consistente.

Non vi e’ dubbio, a parere del Collegio, che il letto a castello vada considerato come un “ingombro” idoneo a restringere per la sua quota di incidenza, lo “spazio vitale minimo” all’interno della cella, contrariamente a quanto ritenuto nel provvedimento impugnato.

Come si e’ detto, per spazio vitale minimo in cella collettiva deve intendersi quello in cui i soggetti reclusi hanno la possibilita’ di muoversi.

Cio’, pacificamente, non accade sia in quella “parte” di cella occupata dagli arredi fissi ingombranti (e dal bagno) che in quella occupata dal letto a castello, non essendovi razionale giustificazione della proposta (in sede di merito) diversificazione.

Il provvedimento impugnato, nel proporre lettura diversa, considera superficie utile quella occupata dal letto per finalita’ di “riposo” o di “attivita’ sedentaria” che non soddisfano la primaria esigenza di movimento e che pertanto non possono farsi rientrare nella nozione – cosi’ come ricostruita – di spazio minimo individuale.

Anche il riferimento al fatto che nel luogo di detenzione viene assicurata una consistente permanenza al di fuori della camera detentiva – contenuto nel provvedimento impugnato – non riguarda, in realta’, la identificazione dello spazio minimo individuale (che va computato in ragione della liberta’ di movimento interna alla cella) ma concerne il diverso versante del possibile riequilibrio (secondo le linee esposte dalla CEDU nella decisione Mursic) li’ dove lo “spazio minimo” sia inferiore alla quota-limite dei tre metri quadrati.

3.8 Da cio’ deriva, in rapporto alle coordinate interpretative necessarie ad orientare il giudizio di rinvio, la necessita’ di affermare il seguente principio di diritto: per spazio minimo individuale in cella collettiva va intesa la superficie della camera detentiva fruibile dal singolo detenuto ed idonea al movimento, il che comporta la necessita’ di detrarre dalla complessiva superficie non solo Io spazio destinato ai servizi igienici e quello occupato dagli arredi fissi ma anche quello occupato dal letto.

4. Tale principio, peraltro, appare conforme alla stessa evoluzione della giurisprudenza CEDU, ferma restando la necessita’ di tener conto del fatto che con la decisione emessa in data 20 ottobre 2016 la Grande Camera ha convalidato l’opzione interpretativa, circa le conseguenze della disponibilita’ di uno spazio minimo inferiore ai 3 mq., seguita nell’arresto Mursic contro Croazia del 12 marzo 2015 (forte presunzione di trattamento degradante, compensabile con la brevita’ della permanenza in tale condizione, l’esistenza di sufficiente liberta’ di circolazione fuori dalla cella, l’esistenza di adeguata offerta di attivita’ esterne alla cella, le buone condizioni complessive dell’istituto e l’assenza di altri aspetti negativi del trattamento in rapporto a condizioni igieniche e servizi forniti).

4.1 In effetti, quanto alle modalita’ di computo dello spazio minimo in cella collettiva, la decisione emessa dalla Grande Camera, non esprime una posizione specifica sul tema del letto ma al contempo afferma con chiarezza che per tale va inteso lo spazio in cui il soggetto detenuto abbia la possibilita’ di muoversi, all’interno della cella.

4.2 In particolare, nell’esporre le considerazioni sul tema ai paragrafi 109 e seguenti la Grande Camera ha affermato che:

109. La Cour rappelle que, sans qu’elle soit formellement tenue de suivre ses arrets anterieurs, il est dans l’interet de la securite’ juridique, de la previsibilite’ et de l’egalite’ devant la loi quelle ne s’ecarte pas sans motif valable de ses propres precedents (voir, par exemple, Christine Goodwin c. Royaume-Uni (GC), n 28957/95, § 74, CEDH 2002-VI, Scoppola c. Italie (n 2) (GC), n 10249/03, § 104, 17 septembre 2009, et Sobri Gunes c. Turquie (GC), n 27396/06, § 50, 29 juin 2012).

110. Elle ne volt pas de raison de s’e’carter de l’approche quelle a adoptee dans les arrets pilotes et les arrets de principe cites ci-dessus et dans l’arret de Grande Chambre Idalov (paragraphe 107 ci-dessus). Elle confirme donc que l’exigence de 3 m2 de surface au sol par detenu en cellule collective doit demeurer la norme minimale pertinente aux fins de l’appreciation des conditions de detention au regard de l’article 3 de la Convention (paragraphes 124-128 ci-dessous).

111. En ce qui concerne les normes elaborees par d’autres organes internationaux, dont le CPT, la Cour rappelle quelle a decide’ de ne pas les considerer comme un argument de’terminant aux fins de son appreciation au regard de l’article 3 (voir, par exemple, Orchowski, precite’, § 131, Ananyev et autres, precite’, §§ 144-145, Torreggiani et autres, precite’, §§ 68 et 76, ainsi que Sulejmanovic, precite’, § 43, Tellissi c. Italie (de’c.), n 15434/11, § 53, 5 mars 2013, et G.C. c. Italie, n 73869/10, § 81, 22 avril 2014). Il en va de meme des normes nationales applicables en la matiere: elles peuvent eclairer la decision de la Cour dans un cas donne’ (Orchowski, precite’, § 123), mais non revetir un caractere determinant pour sa conclusion sur le terrain de l’article 3 (voir, par exemple, Pozaie, pre’cite’, § 59, et Neshkov et autres, pre’cite’, § 229).

112. La principale raison de la reticence de la Cour a’ considerer les normes du CPT en matiere d’espace disponible comme determinantes pour sa conclusion sur le terrain de l’article 3 tient a’ ce que dans le cadre de son appreciation au regard de cette disposition, elle doit tenir compte de toutes les circonstances pertinentes de la cause, tandis que les autres organes internationaux tels que le CPT elaborent des normes generales en la matiere a’ des fins de prevention des mauvais traitements (paragraphe 47 ci-dessus, voir aussi Trepachkine, precite’, § 92, et Jirsdk, precite’, § 63). De meme, les normes nationales relatives a’ l’espace personnel varient grandement et constituent des exigences generales en matiere d’hebergement adequat dans un systeme penitentiaire donne’ (paragraphes 57 et 61 ci-dessus).

113. De plus, la Cour joue un role conceptuellement different de celui confie’ au CPT, ce que celui-ci a lui-meme reconnu. Le CPT n’a pas pour t’ache de dire si des faits donnes sont constitutifs de peines ou de traitements inhumains ou degradants au sens de l’article 3 (paragraphe 52 ci-dessus). Il agit principalement en amont dans un but de prevention, demarche qui tend par sa nature meme vers un degre’ de protection plus eleve’ que celui qu’applique la Cour lorsqu’elle statue sur les conditions de detention d’un requerant (voir, au paragraphe 47 ci-dessus, le paragraphe 51 du ler rapport general d’activites du CPT). Le CPT joue un Cede pre’ventif tandis que la Cour est chargee de l’application judiciaire a’ des cas individuels de l’interdiction absolue de la torture et des traitements inhumains ou degradants posee a’ l’article 3 de la Convention (paragraphe 46 ci-dessus). La Cour tient ne’anmoins a’ souligner qu’elle demeure attentive aux normes elaborees par le CPT et que, nonobstant cette difference de fonctions, elle examine soigneusement les cas ou’ les conditions de de’tention ne respectent pas la norme de 4 m2 fixee par lui (paragraphe 106 ci-dessus).

114. Enfin, la Cour juge important d’expliquer plus precisement la methode quelle applique aux fins de son examen sous l’angle de l’article 3 pour calculer la surface minimale de l’espace personnel devant etre alloue’ a’ un detenu heberge’ en cellule collective. Elle considere, s’appuyant en cela sur la me’thode du CPT, que dans ce calcul, la surface totale de la cellule ne doit pas comprendre celle des sanitaires (paragraphe 51 ci-dessus). En revanche, le calcul de la surface disponible dans la cellule doit inclure l’espace occupe’ par les meubles. L’important est de determiner si les detenus avaient la possibilite’ de se mouvoir normalement dans la cellule (voir, par exemple, Ananyev et autres, precite’, §§ 147-148, et Viadimir Belyayev, precite, § 34).

4.3 In traduzione (non ufficiale) puo’ pertanto ritenersi affermato che:

109. La Corte ricorda che, senza che essa sia formalmente tenuta a seguire i suoi arresti anteriori, e’ nell’interesse della sicurezza giuridica, della prevedibilita’ e dell’uguaglianza davanti alla legge che ella non si discosti senza motivo valido dai suoi propri precedenti (vedere, per esempio, Christine Goodwin c. Royaume-Uni (GC), n 28957/95, § 74, CEDH 2002-VI, Scoppola c. Italie (n. 2) (GC), n. 10249/03, § 104, 17 settembre 2009, e Sabri Gunes c. Turquie (GC), n 27396/06, § 50, 29 juin 2012).

110. Essa non vede ragioni per scostarsi dall’approccio adottato negli arresti pilota ed in quelli di principio citati in precedenza ed all’arresto della Grande Camera Idalov (paragrafo 107 che precede). Essa conferma dunque che l’esigenza dei 3 m2 di superficie al suolo per detenuto in cella collettiva deve restare la norma minima pertinente al fine di apprezzare le condizioni della detenzione sotto l’aspetto dell’articolo 3 della Convenzione (paragrafi 124-128 precedenti).

111. Per cio’ che concerne le norme elaborate da altri organi internazionali, tra cui il CPT, la Corte ricorda di aver deciso di non considerarle come un argomento determinante ai fini del suo apprezzamento in relazione all’articolo 3 (vedere, per esempio, Orchowski, citato, § 131, Ananyev e altri, citato, §§ 144-145, Torreggiani e altri, citato, §§ 68 e 76, oltre che Sulejmanovic, citato, § 43, Tellissi c. Italie (de’c.), n 15434/11, § 53, 5 mars 2013, e G.C. c. Italie, n 73869/10, § 81, 22 avril 2014). Si tratta comunque di norme nazionali applicabili nella materia: esse possono illuminare la decisione della Corte in un caso specifico (Orchowski, citato, § 123), ma non rivestire un carattere determinante per le sue conclusioni sul terreno dell’articolo 3 (vedere, per esempio, Pozaic, citato, § 59, e Neshkov e altri, citato, § 229).

112. La principale ragione della riluttanza della Corte a considerare le norme del CPT in materia di spazio disponibile come determinanti per la sua conclusione sul terreno dell’articolo 3 attengono al fatto che nel quadro del suo apprezzamento a proposito di questa disposizione, essa deve tener conto di tutte le circostanze pertinenti alla causa, mentre gli altri organi internazionali quali il CPT elaborano norme generali in questa materia a fini di prevenzione dei cattivi trattamenti (paragrafo 47 precedente, vedere altresi’ Trepachkine, citato, § 92, e Jirsek, citato, § 63). Nello stesso tempo, le norme nazionali relative allo spazio personale variano grandemente e costituiscono esigenze generali in materia di alloggiamento adeguato in un dato sistema penitenziario (paragrafi 57 e 61 precedenti).

113. Di piu’, la Corte gioca un ruolo concettualmente differente da quello affidato al CPT, come esso stesso ha riconosciuto. Il CPT non ha come compito di dire se dei fatti determinati sono costitutivi di pene o di trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 3 (paragrafo 52 precedente). Esso agisce prevalentemente a monte a scopo di prevenzione, che tende per sua stessa natura verso un grado di protezione piu’ elevato rispetto a quello che applica la Corte allorquando statuisce sulle condizioni di detenzione di un richiedente (vedere paragrafi 47 e 51). Il CPT gioca un ruolo preventivo, mentre la Corte e’ incaricata di applicare giudiziariamente a casi individuali il divieto assoluto di torture di trattamenti inumani o degradanti posti dall’articolo 3 della Convenzione (paragrafo 46 precedente). La Corte tiene comunque a sottolineare che essa rimane attenta alle norme elaborate dal CPT e che, nonostante questa differenza di funzioni, essa esamina con cura i casi in cui le condizioni di detenzione non rispettano la norma di 4 m2 da esso fissate (paragrafo 106 precedente).

114. Infine, la Corte giudica importante spiegare precisamente il metodo che essa applica ai fini del suo esame sotto l’angolo dell’articolo 3 per calcolare la superficie minima di spazio personale che deve essere assegnato a un detenuto alloggiato in cella collettiva. Essa considera, adeguandosi in questo al metodo del CPT, che in questo calcolo, la superficie totale della cellula non deve comprendere quella dei sanitari (paragrafo 51 precedente). Al contrario, il calcolo della superficie disponibile nella cella deve includere lo spazio occupato dai mobili. L’importante e’ determinare se i detenuti hanno la possibilita’ di muoversi normalmente nella cella (vedere per esempio Ananyev e altri, citato, §§ 147-148, e Vladimir Belyayev, citato, § 34).

4.4 La indicazione funzionale dello spazio minimo individuale come spazio destinato al movimento e’ tale da comportare, ad avviso del Collegio, la necessita’ di escludere dal computo quelle superfici occupate da strutture tendenzialmente fisse – tra cui il letto – mentre non rilevano gli altri arredi facilmente amovibili.

5. Alla luce delle precisazioni fornite, la decisione qui impugnata muove da un erroneo presupposto in tema di modalita’ di computo dello spazio minimo individuale in cella collettiva.

Specie in rapporto al secondo periodo di detenzione dello (OMISSIS) lo scorporo della quota riferita al letto potrebbe dunque determinare in concreto la esistenza di una offerta inferiore ai tre metri quadri.

Cio’, in rapporto all’attuale assetto interpretativo fornito dalla CEDU (assetto che il giudice interno ha l’obbligo di ritenere un dato integrativo del precetto, stante la formulazione testuale dell’articolo 35 ter) non determina di per se’ una violazione dell’articolo 3 Conv. Eur. ma una forte presunzione di trattamento inumano o degradante, superabile solo attraverso l’esame congiunto e analitico delle complessive condizioni detentive e della durata di tale restrizione dello spazio minimo.

Il provvedimento impugnato, per le ragioni sinora esposte, va pertanto annullato con rinvio dovendosi procedere a nuova fissazione dello spazio minimo individuale e, li’ dove si versi in ipotesi di spazio inferiore ai tre metri quadrati dovendosi compiere un esame globale e analitico dei parametri compensativi prima evidenziati.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Sorveglianza di Perugia

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